Sabato 1° giugno 2024 si è tenuto nei locali del Seminario Vescovile di Mantova l’incontro conclusivo del ciclo di conferenze dedicato a Democrazia è Partecipazione (dei precedenti incontri è stata data nota qui: primo incontro, secondo incontro, terzo incontro).
A organizzare l’evento è il Tavolo per il Bene Comune, il movimento – nato nello scorso settembre, per iniziativa della diocesi – che, nel ruolo di «facilitatore delle comunità territoriali», in linea con l’enciclica Fratelli tutti e la dottrina sociale della Chiesa – si dedica ai temi della cura del bene comune, del creato e dell’ambiente, della pace e della giustizia sociale, in particolare delle forme della marginalità adulta e della carità verso i più fragili.
L’obiettivo del Tavolo è trovare delle risposte ai temi dibattuti durante il ciclo e fare sintesi di quanto emerso, per elaborare, da una parte, progetti relativi alle tematiche più urgenti – fra cui quelle della Cittadinanza e della Giustizia sociale – e, dall’altra, un documento da presentare alla Settimana Sociale di Trieste.
Sulla strada da Gerusalemme a Gaza
Anche questa volta è la parola biblica a offrire spunti all’incontro. Il racconto dal titolo Filippo battezza un eunuco (Atti degli Apostoli 8,26-40) parla di missionarietà: l’evangelizzazione corre fino ai confini della terra, attraverso la strada che – verso Sud – va da Gerusalemme a Gaza.
I due personaggi, Filippo e l’eunuco, sono lontani da Gerusalemme, zona di confort, e prossimi al deserto. È un angelo che invita Filippo ad alzarsi e ad incamminarsi verso mezzogiorno. Il versetto induce anche noi a chiederci quali siano, oggi, i confini che possiamo percorrere e valicare, perché lo facciamo e che cosa portiamo al nostro prossimo.
Le domande sono fondamentali: Filippo, lungo la strada, incontra un etiope, eunuco e funzionario della regina d’Etiopia che, venuto a Gerusalemme per il culto, durante il ritorno, seduto sul suo carro, sta leggendo un passo di Isaia, incomprensibile per lui. Per questo, rivolto a Filippo, che per ordine dello Spirito si era accostato al suo carro e gli chiedeva se capiva quel passo, l’eunuco risponde: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?” Il passo di Isaia parla della “pecora condotta al macello” e di “un agnello senza voce davanti a chi lo tosa”. Alla domanda dell’Etiope su chi sia quella persona, Filippo gli annuncia Gesù.
A questo punto, la domanda spontanea è: “Ogni azione di bene è pianificata e guidata dalla volontà divina, oppure siamo liberi?”. Il focus, tuttavia, non è sugli attori, ma sull’annuncio del Cristo.
Da questa zona di confine, lungo una strada, mentre i protagonisti sono in cammino, in un’ora assolata e deserta, tutto evolve verso una conclusione di libertà e di gioia: l’eunuco scende nell’acqua e chiede a Filippo di essere battezzato. Il rito è del tutto sui generis: si consuma in un luogo non deputato, senza professione di fede, ma consente che un emarginato, a causa della menomazione fisica, sia ammesso nella comunità e recuperi la speranza nel futuro: «pieno di gioia, proseguiva la sua strada».
Da solo, però, l’eunuco non ce l’avrebbe fatta: l’aiuto di qualcuno che guida a capire è indispensabile. È di un leader, allora, che abbiamo bisogno? E che leader vogliamo?
A queste domande ci vengono incontro le parole pronunciate da papa Francesco nella sua recente visita a Verona:
«L’autorità è essenzialmente collaborativa; l’altro è l’autoritarismo e le tante malattie che da qui nascono. L’autorità per costruire processi solidi di pace sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo».
Cittadinanza
Ad approfondire il tema della Cittadinanza, interviene Paolo Lomellini, a lungo impegnato in politica e giornalista. Il suo intervento prende le mosse da un passo di Montaigne, che sottolinea l’importanza della parola nel regolare i rapporti fra gli uomini. È attraverso di essa che si comunicano volontà e pensieri, perché essa è «l’interprete della nostra anima: se ci viene a mancare, non abbiamo più nessun legame, non ci conosciamo più tra noi. Se ci si inganna, distrugge ogni nostro scambio e dissolve tutti i vincoli del nostro ordinamento».
Tuttavia la parola, nel dibattito, è degradata; in tutti i contesti c’è bisogno di «purificare la nostra parola» (card. Martini), perché risponda alla consegna di Gesù nel Discorso della Montagna: «sia il vostro parlare sì sì; no no». L’invito è alla trasparenza: se il significato della parola è ambiguo, non solo ogni comunicazione si interrompe, ma viene meno la partecipazione a tutti i livelli.
Difficile anche il nostro rapporto con il tempo: abbiamo paura del futuro, mentre il legame con il passato e la storia è finito. Viviamo in un eterno presente, dentro al quale occorre decidere, fare, realizzare. Ma la Democrazia richiede tempo, perché le cose dipendono da noi solo in parte – come ci dice l’evangelista Marco attraverso la parabola del seme -: esso cresce indipendentemente da colui che l’ha seminato, secondo un tempo giusto.
C’è una fatica che è nostra, ma una parte delle cose non sono nelle nostre disponibilità: per attuare, ad esempio, la transizione energetica ci vogliono scienza e pazienza. Così è anche nella politica, che richiede pianificazione, disponibilità economiche e tempi per soddisfare le richieste anche di chi ha bisogno. Ma serve anche una pedagogia della domanda, perché i cittadini siano resi consapevoli e partecipi dell’agire politico; mentre trasparenza e chiarezza sono indispensabili da parte di chi lo esercita.
Giustizia sociale
Laura Acerbi dell’Associazione Agape illustra il tema raccontando la storia di tre persone fragili, vittime dell’ingiustizia sociale. Si tratta di due immigrati e di una donna, madre di famiglia, vittima della violenza del marito.
La fragilità degli immigrati è legata alla mancanza di lavoro, condizione che sottrae loro il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno, alla casa e all’assistenza sanitaria. Diritti negati che si amplificano nel caso di malattie gravi.
Difficile il percorso lungo i meandri dei servizi sociali anche per la madre di famiglia, le cui legittime richieste hanno incontrato spesso le non dovute risposte. Se non c’è qualcuno che aiuta – come nel passo di At – la condizione del bisogno condanna i fragili all’invisibilità.
Non ci si deve abituare all’ingiustizia del non riconoscere quanto spetta per diritto e «non si può dare per carità – come dice don Benzi – ciò che è dovuto per giustizia».
Un esempio di promozione alla partecipazione
Davide e Mimmo della comunità di Sermide-Felonica hanno illustrato il laboratorio di formazione sociopolitico, in atto da tre anni nel territorio, al fine di stimolare alla partecipazione. L’esperimento ha previsto l’organizzazione di incontri con esperti su tematiche diverse.
Elena Bonetti – Ministro alle Pari opportunità nella precedente legislatura – ha sviluppato i temi della periferia, futuro e sviluppo, mentre un gruppo di imprenditori della zona ha parlato di ecosostenibilità e dell’apporto che tale scelta, in ambito produttivo, può apportare a livello di occupazione per il futuro.
Lucia Fronza, parlamentare PD, ha raccontato l’esperienza legata all’apertura di una scuola di sociopolitica in Trentino. Per estendere al maggior numero possibile di cittadini la partecipazione agli eventi, gli organizzatori hanno scelto di tenere gli incontri in locali non parrocchiali e di evitare di connotarli in termini religiosi. Il fine, inoltre, non è la formazione di un partito dei cattolici, ma – secondo le intenzioni Paolo VI – di cattolici in politica.
La connotazione laica data all’iniziativa è stata vincente anche in occasione della presentazione delle liste dei candidati alle prossime elezioni, per l’affluenza significativa.
L’esperimento ha permesso di comprendere che le persone vogliono capire il senso delle scelte operate dall’Amministrazione locale ed essere informate sulle analisi condotte. In quest’ottica, sono stati siglati dei Patti di collaborazione e civici, che prevedono di affidare a gruppi di cittadini la soluzione di determinate questioni o la loro realizzazione. Di fondamentale importanza diventa quindi la formazione; solo così ci saranno cittadini in grado di interagire con il potere.
«Cogovernance» è il termine che, per i promotori, designa l’obiettivo da raggiungere: in questa prospettiva il nuovo leader è tutta la cittadinanza che, in questa veste, avvia progetti di welfare, nell’ottica di un modello di sussidiarietà circolare.
A conclusione del ciclo, per la qualità degli interventi e per l’attualità delle questioni affrontate, è doveroso un grazie ai volontari della diocesi. Peccato che la maggioranza sia composta da over.