L’episcopato cileno si riunirà con il papa tra il 15 e il 17 di questo mese. Possiamo essere certi che, in un intervallo relativamente breve, molti vescovi lasceranno l’incarico per diverse ragioni. Come si giungerà alle nuove nomine?
Tentare nuove strade
È una grande occasione per introdurre cambiamenti che permettano di guardare al futuro con speranza. È essenziale lavorare a fondo sui procedimenti elettivi che verranno adottati per correggere gravi errori e debolezze presenti nel sistema attuale, che hanno reso possibile l’elezione del vescovo Barros a Osorno e di molti altri vescovi che non sembrano idonei all’incarico.
Non sarebbe prudente, ad esempio, che intervenisse l’attuale nunzio. In futuro sarebbe auspicabile che i nunzi mantenessero una posizione molto più defilata.
Visto come vanno le cose, gli stessi vescovi cileni, nel loro insieme, si sono posti l’interrogativo.
Si accumulano critiche giustificate. La Conferenza è screditata. L’episcopato, in questa situazione, incontra seri ostacoli per reagire in modo propositivo e da protagonista di fronte ai mutamenti in corso.
Nelle circostanze attuali va da sé che la decisione ultima per le nomine ricadrà sul papa. Dico “nelle circostanze attuali”, perché è urgente che la Chiesa riveda le modalità con le quali il papa eserciterà in futuro la sua autorità nell’elezione dei vescovi. Non può essere che la nomina di tutti i vescovi del mondo dipenda in modo pressoché assoluto dal pontefice. Sono ben cinquemila!
L’istituzione ecclesiastica, che adottò a suo tempo il modello delle monarchie assolute, deve aggiornarsi sulla base della cultura democratica delle civiltà contemporanee e, soprattutto, in maniera conforme alle più antiche tradizioni della Chiesa stessa. È di fondamentale importanza che i nuovi eletti siano in comunione col papa, però questo non significa che debba essere il papa in persona ad eleggerli direttamente senza la partecipazione delle Chiese locali.
Aprire alla partecipazione
Per questa stessa ragione, il meccanismo da adottare perché si abbia un vero progresso dovrebbe essere aperto alla partecipazione in diversi modi:
a) dovrebbe essere noto a tutti. Tutti i cattolici dovrebbero sapere come inizia e come finisce la nomina di ciascuno dei vescovi che saranno eletti all’incarico e chi interviene nella scelta;
b) tutti, senza eccezione, dovrebbero avere la possibilità di contribuire a tracciare il profilo del vescovo del quale la Chiesa ha oggi bisogno;
c) nei passaggi più riservati della procedura – certamente necessari data la rilevanza dell’incarico – dovrebbero poter prendere parte anche alcuni laici stimati. Anche le donne dovrebbero poter dire una parola, in condizioni paritetiche. Non si può continuare ad escludere le donne.
Si deve tener conto che oggi ci sono laici che hanno effettiva influenza, ma lo fanno “entrando dalla finestra”. Non è piccolo il peso che hanno avuto certi cattolici facoltosi in queste decisioni. Anche i governi sono soliti far conoscere discretamente le loro preferenze.
Un meccanismo come quello che abbiamo proposto è canonicamente irregolare. Però, mentre il diritto canonico – che, per altro, ha subito parecchie modifiche lungo la storia – appare irreformabile, in casi specifici potrebbero essere introdotti nuovi procedimenti. Niente dovrebbe impedire che il papa, il quale ha la maggiore responsabilità nella soluzione di questa crisi, possa dar vita ad un meccanismo adeguato.
Una premessa di fondamentale rilievo sarà stabilire chi guiderà questo processo. Dopo quanto abbiamo scritto, sarebbe opportuno che nessun vescovo cileno se ne facesse carico. Nessuno godrebbe dell’indipendenza richiesta. Tanto meno la nunziatura dovrebbe assumere il compito, visto il suo discredito.
Credo converrebbe che papa Francesco inviasse una persona come Scicluna, un esterno, a farsi carico della procedura di nomina di tutti i vescovi che dovranno essere eletti nel corso del prossimo anno. Questo permetterebbe, probabilmente, una partecipazione molto più ampia e rinnoverebbe la fiducia nel governo della Chiesa cilena, ricupererebbe la stima, il credito e l’affidabilità senza i quali la crisi di “fede” dei cristiani diventerà sempre più acuta.
Ho udito alcune persone preoccupate per la divisione presente nella Chiesa. Non fanno riferimento tanto alle differenze esistenti tra cattolici, quanto al solco di incomunicabilità che c’è tra l’istituzione ecclesiastica e il resto del popolo di Dio. La mancanza di partecipazione dei battezzati e delle battezzate nelle decisioni della propria Chiesa è pressoché totale. Vescovi e sacerdoti non rendono conto a nessuno delle loro azioni.
Se i cristiani comuni potessero essere tenuti in considerazione al momento dell’elezione di chi esercita su di loro l’autorità, ciò darebbe una legittimazione maggiore alla loro investitura. Una cosa è essere nominati per governare, altra cosa è poter governare.
Senza autorità, il potere ecclesiastico, nel XXI secolo, sarà come il re del Piccolo principe che, dal suo trono regale, vestito di porpora e di ermellino, comandava su tutto quanto si supponeva potesse obbedirgli, il sole e le stelle, ma non aveva nessuno che potesse disobbedirgli. Era l’unico abitante del pianeta…
[Il testo rielabora un post pubblicato su Bizkaiko Abadeen Foroa]