«Non c’è un sì o un no da parte dei vescovi al referendum» del 17 aprile sulle trivellazioni in mare, né un invito all’astensione. Piuttosto, «bisogna coinvolgere la gente a interessarsi di più a queste realtà, creando spunti d’incontro e confronto su temi che sono di straordinaria importanza». Queste parole del segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, pronunciate al termine del Consiglio episcopale permanente, lo scorso 18 marzo, delineano la posizione ufficiale della Chiesa sul referendum. D’altronde, i vescovi riuniti al consiglio permanente di marzo, a Genova, sulla questione «se consentire o meno agli impianti già esistenti entro la fascia costiera di continuare la coltivazione di petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento, anche oltre la scadenza delle concessioni» hanno concordato «circa l’importanza che essa sia dibattuta nelle comunità per favorirne una soluzione appropriata alla luce dell’enciclica Laudato sì’ di papa Francesco».
Niente posizioni ufficiali, dunque, ma andando a vedere tra le Chiese locali e le associazioni le posizioni espresse – che sovente traggono ispirazione dall’enciclica “verde” di Bergoglio – si dividono tra un “sì” e un invito alla riflessione per una scelta corretta, senza esplicitare una dichiarazione di voto ma al tempo stesso facendo appello alla partecipazione. È però anche vero che tante realtà non si sono espresse in proposito.
«È importante sottolineare la necessità che tutti partecipino al referendum popolare. La partecipazione è il modo concreto per dimostrare che questa cosa ci riguarda, come tutto ciò che è legato alla cura della casa comune», scrivono l’Ufficio pastorale per i problemi sociali e lavoro, giustizia, pace e custodia del creato della diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola e la Commissione diocesana per i problemi sociali e lavoro, giustizia, pace e custodia del creato, invitando «ad andare alle urne e votare Sì e, soprattutto, a modificare gli stili di vita di ciascuno di noi contribuendo, a partire da subito, ad avere più cura dei nostri territori e del nostro mare».
Per il “sì” – sulla linea del governatore Michele Emiliano, che del referendum ha fatto la sua bandiera politica – sono schierate anche diocesi e associazionismo pugliesi. A partire dalla diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, con una nota dal titolo emblematico «Difendiamo il nostro mare», nella quale definisce le trivellazioni in mare «un pericolo per il nostro ambiente» e fa appello a papa Francesco laddove «ci sollecita a un’ecologia integrale che si sposi con uno stile di vita, individuale e collettivo, sobrio e con uno sviluppo sostenibile, non più dipendente necessariamente dal petrolio e dai combustibili fossili». Sì anche da Taranto, il cui vescovo Filippo Santoro ha espresso, «in termini personali», un «ragionevole fondamento al sì». Sulla stessa linea l’Azione cattolica pugliese, il cui sostegno al sì viene motivato dalla volontà di «esprimere liberamente il nostro sentimento e la scelta in favore del bene comune e della salvaguardia del creato».
A livello nazionale, al Comitato per il Sì hanno aderito le Acli, invitando innanzitutto al voto, «per non sciupare questa occasione di partecipazione democratica su un tema di primaria importanza come quello energetico e ambientale»; «in secondo luogo le Acli invitano a votare Sì per contribuire a riavviare un dibattito sull’esigenza di pensare ad un modello energetico pulito, basato sulle energie rinnovabili; il tempo delle fossili è finito».
Tra coloro che hanno fatto appello a «prepararsi al referendum con consapevolezza e responsabilità», senza rilasciare dichiarazioni di voto, vi è la rivista dei gesuiti Aggiornamenti sociali, la quale ha espresso l’auspicio che «nelle settimane che ci separano dal referendum si apra un dibattito pubblico serio e approfondito, che consenta a noi cittadini di scegliere consapevolmente come partecipare», evitando «banalizzazioni da una parte e dall’altra».
Così pure alcune Conferenze episcopali regionali. «La partecipazione al voto “nelle forme previste dall’istituto referendario” costituisce un significativo momento di vita democratica», sottolinea la Consulta regionale per la pastorale sociale e del lavoro della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna (CEER), invitando a «guardare oltre al risultato possibile della consultazione» e riconoscendo che «qualunque sia l’esito resta aperto il problema delle decisioni politiche che comunque dovranno essere prese». Di «questione particolarmente importante e delicata rispetto alla quale i cittadini tutti e i cattolici in particolare sono chiamati a prendere una posizione ragionata e documentata» parlano i vescovi della Sardegna, mentre la Pastorale sociale e del lavoro del Piemonte ha fatto proprio lo slogan «Democrazia è partecipazione», esortando a votare «perché l’ambiente ci interessa, il mare ci interessa e interessa non solo a noi ma al nostro futuro e a quello dei nostri figli».
Alla luce del risultato del referendum sulle trivelle, un commento potrebbe essere questo: Ruini docet! Renzi è stato un ottimo discepolo dell’allora presidente della CEI, il quale diede una direttiva assai stringente a tutto il mondo ecclesiale per far fallire la consultazione referendaria del 2005 sulla fecondazione assistita. A risultato ottenuto, il cardinale affermò che si era trattata di una prova di maturità del popolo italiano. Mi chiedo chi, dei vescovi e delle diverse compagini ecclesiali che hanno insistito sulla partecipazione a questo referendum come segno di maturità democratica, manifestò allora identica preoccupazione per il “sabotaggio” di quello che era e resta un importante strumento di partecipazione civica.
Un proverbio sudamericano dice che “l’uomo è l’unico animale capace di ripetere per due volte lo stesso errore”. Questo adagio viene in mente pensando al referendum sul nucleare del 1987 ed a quello sulle “trivelle” del 17 aprile 2016. Mai e poi mai temi cosi complessi come la gestione del fabbisogno energetico in un Paese (che peraltro rimane la seconda potenza industriale europea) dovrebbero essere affidati ad uno strumento come il referendum che, per sua natura, deve porre tutto in un quesito (spesso, come anche nel caso del prossimo 17 aprile, di per sé quasi incomprensibile) e che richiede una risposta secca (si o no).
Già nel novembre 1987 per un tema comunque delicato come la produzione o meno della energia nucleare, si era andati a un voto che, anche sulla base dell’incidente di Chernobyl, invece che analizzare risvolti tecnici e/o fabbisogni energetici o riflettere su diversi stili di vita abolendo sprechi nei consumi di energia, risentiva ovviamente di un giustificato impatto emotivo. A distanza di quasi trent’ anni, anche se in scala più ridotta, si ripresenta la stessa situazione. E tutto ciò è abbastanza clamoroso. Sia chiaro, il referendum è uno strumento democratico e partecipativo la cui natura Costituzionale non merita di fare scomodare il Presidente della Corte Costituzionale stesso. Ma è proprio per questo che il suo uso dovrebbe essere mirato a temi di principio veri e precisi ( come lo sono stati ad esempio il divorzio, l’aborto o come lo sarà la riforma della Costituzione) e non a temi o troppo specifici o troppo generici o come nel caso del referendum sulle “trivelle!”, mirati ad un tema specifico (la possibilità di continuare oltre i termini normali della concessione a sfruttare impianti estrattivi già esistenti) che però si trasforma in tema generico come quello dell’estrazione di petrolio e soprattutto metano nei nostri mari.
Così ci si ritrova più o meno spaesati di fronte a quesiti complessi, su temi ancora più complessi perché la politica non è in grado, anche stavolta, rispetto alla complessità, di fare sintesi e scarica in qualche modo le scelte (anche quelle di fondo) sui cittadini. Per cui, a seconda anche degli stati di animo (come fu nel caso del dopo Chernobyl) c’è chi si scopre più ecologista e non può che vedere le trivellazioni come una negatività, c’è che riflette sullo scarso patrimonio estrattivo del sottosuolo italiano e si preoccupa del fabbisogno energetico, ma resta difficile capire perché si debba andare a votare per la prosecuzione o meno della operatività di 21 piattaforme estrattive oltre i termini della abituale concessione, a meno che le ragioni non siano altre. E le ragioni, ancora una volta, sono altre, vale a dire trasformare anche questo referendum in un “derby”, nella solita quotidiana battaglia pro o contro Renzi. Ed in questo clima calcistico si perde anche il clima del vero derby, perché, come nel calcio di oggi, ogni domenica c’è un derby in quanto non ci sono più solo Inter – Milan, Roma – Lazio e Juventus – Torino, ma anche Genoa – Sampdoria, Verona Hellas – Chievo, e Sassuolo – Carpi… Fuor di metafora ogni occasione è buona per uno scontro e di questo ne hanno demeriti tutti, sia una opposizione (esterna o interna alla stessa maggioranza poco importa) che su ogni tema polemizza invece che proporre, sia un Premier che su ogni polemica rincara la dose senza cercare di ricucire gli strappi. E non ci si focalizza sul derby vero, sul referendum politicamente vero, vale a dire quello in cui lo stesso Renzi ha messo in palio la prosecuzione o meno della sua esperienza governativa, vale a dire quello dell’ottobre 2016 sulle riforme costituzionali con particolare riferimento alla riforma del Senato.
Per cui come sempre il suggerimento non può che essere leggere il quesito e riflettere sul da farsi .
Il quesito è il seguente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’? ”
L’oggetto del referendum del 17 aprile sono quindi solo le trivellazioni effettuate entro le 12 miglia marine (che corrispondono a circa venti chilometri). Non sono quindi la maggior parte delle trivellazioni in acque italiane, complessivamente 66 e collocate soprattutto oltre le 12 miglia, e dunque fuori dal referendum. Parliamo solo di quelle localizzate entro le 12 miglia che, come si diceva in precedenza, in tutto sono 21. Il provvedimento del Governo, cioè la norma inserita nella legge di stabilità, dice che anche quando il periodo concesso finisce, l’attività può continuare fino a che il giacimento non si esaurisce. Si faccia attenzione : la legge prevede già il divieto di avviare nuove attività di «ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi gassosi o liquidi» entro le 12 miglia, per cui il referendum agisce solo su quelle già in essere. Per cui si torna alla domanda iniziale. Di cosa stiamo parlando? È un referendum che ha un senso? Ciascun elettore potrà dare la sua risposta giustamente con un si o un no, secondo le proprie convinzioni, ma fanno riflettere anche le parole dell’ex presidente della Repubblica Napolitano in una intervista a Repubblica del 14 aprile 2016 : «Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria».