A cent’anni dalla nascita del vescovo sotterraneo cecoslovacco Davidek è opportuna una nota di memoria su quella vicenda e sulle discussioni che alimentò. In particolare per la scelta di ordinare preti alcune donne.
Agli inizi degli anni ’80, incontrai a Praga l’incaricato per gli affari religiosi, Hruza, un duro, un arrabbiato hussita, al quale chiesi informazioni sulla Chiesa clandestina. Mi rispose di essere al corrente dell’esistenza di cinque vescovi clandestini, di cui aveva discusso con la Santa Sede in tanti colloqui. Netto e perentorio il suo giudizio: è una Chiesa contro la legge.
Mi disse che a Brno, in Moravia, operava il vescovo clandestino Felix Davidek, che lavorava in ospedale, il quale aveva scelto una donna, Ludmila Javorova, che aveva ordinato prete, come vicario generale. E mi fece i nomi di altri vescovi, preti, uomini e donne, che operavano nella clandestinità.
Entra in scena Davidek
Al duro Hruza successe il 1° gennaio del 1983 un uomo dall’aspetto mite, l’ing. Vladimir Janku, che avrei incontrato molte volte e con il quale ero riuscito a stringere un rapporto di simpatia. Certamente doveva attenersi alle direttive del partito, ma ero convinto che andava via via rendendosi conto che non si poteva continuare a lungo con una situazione di continue e logoranti restrizioni nei confronti della Chiesa.
L’Ostpolitik iniziò a muoversi nel maggio 1963 e finirà nel 1990. Nel novembre del 1963 la Santa Sede si decise di aprire il dialogo con la ex Cecoslovacchia. Furono colloqui intensi, aspri e trattative estenuanti. In quasi trent’anni si ebbero diciassette incontri ufficiali, ai quali vanno aggiunte decine di discorsi in occasione di funerali di vescovi cecoslovacchi.
Vladimir Janku mi confermò di essere a conoscenza non solo dell’esistenza della Chiesa clandestina, ma anche della sua attività. Mi fece dei nomi.
Nel ’68 entrò in scena l’ing. Jan Blaha di Brno, ricercatore scientifico di fama. E con lui fece il suo ingresso anche Felix Davidek. Nel gruppo clandestino era un capo, un leader. Piccolo di statura, aveva una forte personalità ed esercitava un notevole ascendente sul gruppo. Colsi una testimonianza: «Era un uomo straordinario, che amava la Chiesa ed era ossessionato dall’idea che il regime facesse di tutto per annientarla». Era molto legato a Pavel Hnilica, gesuita, ordinato nel ’50, consacrato clandestinamente vescovo nel 1951, fuggito a Roma. Aveva rapporti diretti con Paolo VI, da cui – sosteneva – aveva ricevuto un “mandato” per dare direttive alla Chiesa del suo Paese.
Blaha era stato consacrato vescovo ad Augsburg dal vescovo clandestino Peter Dubovsky. Successivamente consacrò vescovo Davidek, che consacrò altri vescovi. Era il ’68, il tempo della cosiddetta “primavera di Praga”. La Chiesa clandestina svolgeva un’attività ampia e vasta, soprattutto dopo la consacrazione di vescovi e l’ordinazione di uomini sposati e di donne.
Il 25 dicembre si tenne a Koberice un sinodo per dibattere il sacerdozio alle donne, che Davidek caldeggiava calorosamente. Vi furono aspre discussioni e il sinodo si divise. Ma il 28 dicembre procedette all’ordinazione al diaconato di Ludmila e quindi al presbiterato. Successivamente ordinò altre tre donne perché si occupassero delle detenute.
Vita della Chiesa clandestina
Nel 1972 la Congregazione romana dei vescovi lo sospese dalle sue funzioni episcopali. Nel 1975, davanti a una missione diplomatica della Santa Sede negò di essere stato consacrato vescovo. Nel 1979 si recò a Roma, ma con scarso successo. Dal 1971 al 1979 consacrò altri sette vescovi. Fu molto ammalato negli ultimi anni della sua vita e morì il 16 agosto 1988 a Brno.
Chiesi a Janku se il regime fosse a conoscenza dell’attività della Chiesa clandestina. Mi rispose: «Sapevamo tutto. Nelle ultime fasi delle trattative con la Santa Sede – era il tempo dell’Ostpolitik – ne trattammo ampiamente. Concordammo addirittura delle soluzioni. Si era arrivati alla soluzione di nominare qualcuno vescovo ausiliare di una diocesi. Non ricordo bene il numero di quanti vescovi operassero nella clandestinità del movimento Blaha-Davidek». Fonti attendibili dicevano allora che i vescovi clandestini sposati fossero quattro, ma di fatto erano molti di più. I vescovi storici erano Blaha, Konzal, Kratky. Molti i preti sposati e anche donne.
Mi disse l’arcivescovo di Praga, Miloskav Vlk, che Davidek «era ossessionato dall’idea che presto i sacerdoti sarebbero stati internati in Siberia. Era eccentrico, un po’ matto. Davidek e gli altri avevano terrore dei carri armati e della deportazione al di là degli Urali. Per questo aveva fretta di ordinare decine e decine di preti». Conosceva bene il regime comunista. Aveva fatto 14 anni di carcere.
Vlk mi assicurò che furono ordinate pure donne, compresa la donna che era suo vicario generale: «Ho saputo da un colloquio con una personalità della Santa Sede che Ludmila ha scritto al papa per risolvere la sua questione. Tutto ciò è stato recentemente pubblicato su una rivista della Chiesa clandestina». Pensava l’arcivescovo di Praga «che non fosse necessario dare vita a questa Chiesa clandestina perché, nonostante le difficoltà, i sacramenti potevano essere celebrati, all’interno delle chiese si potevano fare le celebrazioni, erano le attività all’esterno che non si potevano fare».
La personalità di Davidek
Davidek era certamente strano, eclettico Aveva però una sua idea di Chiesa, intesa come comunità di battezzati, dove uomini e donne potevano, sposati e non, accedere ed esercitare il ministero presbiterale e avere ruoli precisi all’interno delle comunità. Era appassionato del pensiero e delle opere del gesuita Theilard de Chardin. Coltivava lo studio e si procurava gli scritti dei grandi teologi del tempo, sotto la guida di Blaha, che aveva fatto gli studi in Germania e aveva una buona conoscenza anche delle opere dei teologi protestanti.
Mi fu confermato da molti che Davidek, come gli altri vescovi clandestini, nello scegliere il candidato era severo e pignolo e segretamente faceva indagini sulla sua vita e sui motivi della domanda di diventare prete. Era anche molto accorto e avveduto, dovendo fare continuamente i conti con le trappole messe dalla polizia segreta, che mirava ad infiltrare spie all’interno delle comunità clandestine, che non erano composte di molte persone e ogni nuovo candidato era visto all’inizio con un certo sospetto. Il vescovo ordinava clandestinamente uomini e donne alla presenza di un testimone con una cerimonia liturgica essenziale.
Il card. Frantisek Tomasek, arcivescovo di Praga, mi disse che aveva incontrato Davidek una volta soltanto, ma non mi disse come fosse andato il colloquio. Correva voce che al vescovo Blaha fosse stato proposto di diventare ausiliare. Rifiutò.