Il 22 febbraio scorso la NASA ha annunciato la scoperta di un sistema solare composto da sette pianeti simili al nostro. I pianeti orbitano intorno a Trappist-1 (il nome di una nota birra belga), una stella nana rossa distante 39 anni luce da noi, e si trovano nella cosiddetta fascia di abitabilità; potrebbero dunque, in linea teorica, ospitare acqua allo stato liquido. La notizia ha rimbalzato immediatamente sui social infiammando l’immaginazione di molti. Ci sarà la vita? Qualcuno di questi pianeti potrebbe essere abitato? Magari da una civiltà più antica ed evoluta della nostra? A poche ore dall’annuncio della NASA, la Fox pubblicava in rete un nuovo video promozionale di Alien: Covenant, intitolato emblematicamente The Last supper (L’ultima cena). Una coincidenza non voluta ma certamente curiosa e rilevata da diversi siti.
Alien: Covenant è il sequel di Prometheus (2013), primo film della trilogia, prequel con il quale Ridley Scott riprendeva, a distanza di 34 anni, l’universo da lui inaugurato con Alien (1979). L’obiettivo è di creare un nuovo franchise della saga, esplorando le origini dell’entità aliena. The Last Supper è a tutti gli effetti il prologo del nuovo film, atteso nei cinema il prossimo 11 maggio. Dura quasi cinque minuti e vede protagonista l’intero equipaggio del cargo spaziale Covenant, che si imbatterà – così ci è dato sapere dalla sinossi – in un pianeta sconosciuto: un potenziale paradiso che si rivelerà un terribile inferno. Non a caso il film era stato originariamente annunciato come Alien: Paradise Lost.
In prospettiva teologica
Fin dal titolo di questo prologo Scott mette la sua nuova pellicola sotto una luce teologica, ribadendone così la continuità con il precedente e discusso Prometheus. Nei cinque minuti rilasciati vediamo l’equipaggio godersi gli ultimi momenti di spensieratezza, la loro ultima cena, prima del sonno criogenico. Il video ha poi lo scopo di presentare Daniels (Katherine Waterston), la nuova protagonista femminile del film: messia inconsapevole che sarà chiamata ad affrontare il male alieno come Reply (Sigourney Weaver) nella saga storica.
Il film dovrebbe inoltre far luce sui molti punti oscuri del precedente Prometheus. Questo raccontava le vicende dell’equipaggio della nave spaziale omonima che, seguendo una mappa stellare rinvenuta tra i manufatti di diverse civiltà umane, scopre un pianeta che potrebbe custodire il segreto dell’origine della vita sulla Terra, ma che nasconde in realtà una minaccia capace di causare l’estinzione della razza umana. Il pianeta, infatti, è la base-laboratorio degli Ingegneri, i Mala’kak[1], un’antichissima razza extraterrestre: colossali umanoidi responsabili della genesi dell’umanità e di una potentissima arma biologica, lo Xenomorfo, ovvero l’alieno che dà il nome al primo film della saga.
Tra fantascienza e orrore
Prometheus si basava su teorie creazioniste, abbracciando la «teoria degli antichi astronauti», ovverosia l’insieme delle teorie che ipotizzano un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane, come sumeri, egizi, civiltà dell’India antica e civiltà precolombiane. Il film si concentrava poi sul tema della fede attraverso i dubbi della protagonista Elizabeth Shaw (Noomi Rapace). Se infatti gli Ingegneri hanno creato l’uomo, chi ha creato gli Ingegneri? Il film si concludeva con Elizabeth che partiva alla volta del pianeta degli Ingegneri per avere risposte.[2] È questo il pianeta che sarà raggiunto dalla Covenant nel sequel, in uscita a maggio.
L’idea che antiche e più evolute civiltà extraterrestri possano essere alla base della nascita del genere umano non è nuova nella sci-fiction. Uno dei contributi più importanti e originali in questo senso è offerto dallo scrittore americano H.P. Lovecraft (1890-1937), il quale anticipa, più che la fantascienza tout court, quell’alleanza tra fantascienza e orrore che diventerà dilagante a partire dalla seconda guerra mondiale nell’immaginario statunitense. Un’alleanza che proprio Alien sancì in modo insuperato nell’industria culturale contemporanea.
Nei suoi racconti Lovecraft immagina i Grandi antichi, esseri che hanno conquistato la terra attraversando lo spazio profondo nel corso delle ere precedenti la venuta dell’uomo. Dopo un periodo di decadenza, i Grandi antichi sono entrati in una sorta di letargo nelle viscere della terra, sotto gli oceani e i ghiacci dell’Antartide, attendendo il momento favorevole per risvegliarsi e dominare nuovamente la Terra, soggiogando gli uomini.
Una singolare conferma…
Alien non è direttamente ispirato a un’opera di Lovecraft, ma ne incarna magistralmente l’idea di orrore cosmico, dell’alieno come entità sovrannaturale e altra. Gli alieni di Lovecraft, infatti, non usano astronavi ma possono viaggiare direttamente nello spazio con i loro corpi, o anche con la mente, e sono concepiti dall’autore come entità metafisiche più che materiali.[3] Anche Prometheus continuava ad attingere a piene mani dall’universo letterario di Lovecraft, condividendo l’idea che stava alla base del suo ultimo lavoro, Alle montagne della follia. Vedremo come il nuovo film della saga porterà avanti il progetto mitologico e teologico di Scott.
Rimane interessante ad ogni modo come la pubblicazione del prologo di Alien: Covenant si presenti incidentalmente come contraltare negativo all’entusiasmante scoperta di Trappist-1, quasi a ribadire quel matrimonio tra ragione e incubo, tra vertigine della conoscenza e terrore dell’ignoto che ha dominato il XX secolo e ci accompagna tutt’ora.
[1] Chiamati così nei romanzi ispirati all’universo di Alien. Si noti l’assonanza con il nome ebraico malak che definisce l’angelo.
[2] Per un’analisi delle diverse implicazioni teologiche di Prometheus vedi M. Pohlmeyer, Il sogno degli déi. Science fiction e religione, EDB, Bologna 2016, 98-108.
[3] La creatura ideata dall’artista svizzero H.R. Giger (1940-2014) per il film, invece, si ispirava direttamente al pantheon di creature aliene descritte da Lovecraft nei suoi racconti.