Martedì 10 gennaio è morto a Berlino Hans Belting, che ha singolarmente reinterpretato il concetto di storia dell’arte con un lavoro intenso sulle immagini e la loro destinazione. Di seguito pubblichiamo una breve recensione di uno dei suoi libri che hanno segnato un’epoca della cultura europea.
Il pellegrino dantesco che viene a Roma per vedere l’immagine del volto di Dio sul velo della Veronica, rimane stupefatto, quasi incredulo, di fronte ad essa, e non si sazia di contemplarla.
Incarnandosi in Cristo, Dio si è reso visibile e quindi rappresentabile in immagine: immagine spirituale, innanzitutto, che ognuno porta impressa in sé; e materiale, prodotta dalla devozione e dalla fede, segno della vicinanza e lontananza di lui, della sua temporalità e atemporalità, presenza nella liturgia e nel culto.
Di immagine e culto tratta il bellissimo libro di Hans Belting: un viaggio nella storia delle immagini sacre nelle chiese e i monasteri d’oriente e d’occidente, nel loro rapporto, appunto, con la liturgia, il culto, la devozione, la teologia, l’omiletica, i misteri della fede, la vita cittadina, la poesia, l’arte, le leggende e i miracoli, l’antichità, le vicissitudini storiche, le loro numerose riproduzioni, la storia stessa della Chiesa. Segni, tutti, d’una religiosità radicata nella natura umana, secondo i compiti che l’immagine assumeva di volta in volta da un culto all’altro, in oriente e in occidente, nella sfera privata e pubblica.
Le immagini sacre sono figure vive, con le quali il fedele parla in un dialogo tutto interiore che è la preghiera; ed esse rispondono con la loro espressività che le allontana dalla ieraticità propria della materia, e ricorda la realtà che rappresentano. L’evento, cioè, diventa immagine.
Dio è Parola, indubbiamente, e nella parola si manifesta; ma se l’immagine s’accorda al messaggio evangelico, «Immagine e Parola si illuminano a vicenda» (Catechismo della Chiesa cattolica, n.1159); anzi, «l’alleanza stretta da sempre tra Vangelo e arte […] implica l’invito a penetrare con intuizione creativa nel mistero del Dio incarnato e, al contempo, nel mistero dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999).
Leggendo questo libro, siamo avvolti, poi, da un’aura antica, lontana e meravigliosa, dal calore delle leggende, dalla devozione dell’uomo per la Madre di Dio, suo Figlio e i santi, dalla bellezza d’un cerimoniale vivo e delle immagini stesse, perché le immagini sono anche «una traduzione della realtà liturgica» (p. 341).
Ci affascinano le decorazioni delle chiese, ma soprattutto ci affascina il loro significato nella sfera liturgica, perché rafforzano visivamente la fede o ne aprono uno spiraglio, ne danno almeno il rispetto o intensificano in qualche modo la vita dello spirito.
Quando entriamo in una chiesa, ci sembra di entrare in uno spazio indefinito, dove cupola, altare, abside, presbiterio, navate, icone, mosaici, decorazioni, non sono semplicemente arte da ammirare, né svolgono solo una funzione didascalica, ma sono sacre realtà, rivelatrici di profonde verità, che gli artisti hanno cercato di rappresentare liberamente e quanto più plasticamente possibile; e la narrazione che ne fanno le rendono almeno percepibili, in aenigmate per speculum.
La Chiesa non ha ostacolato questa libertà; anzi, ha sempre mostrato «il profondo interesse al progresso della cultura e dell’arte e al dialogo fecondo con esse» (Giovanni Paolo II). Se non fosse stato così, non avremmo avuto i meravigliosi tesori che adornano chiese e monasteri d’oriente e d’occidente.
Ammiriamone l’arte, ma soprattutto contempliamoli stupefatti anche noi, come il pellegrino dantesco, perché la loro contemplazione «è il ponte per quello sguardo “nell’interiorità” in cui consiste la realtà permanente di una vita realmente religiosa» (p. 521).
- Hans Belting, Immagine e culto. Una storia dell’immagine prima dell’età dell’arte, Carocci editore, Roma 2022, pp. 900, € 100,00, EAN: 9788829010769.