Kumush Imanalieva, nata a Frunze in Kirghizistan, è laureata in musicologia presso il Conservatorio Čiajkovskij di Mosca. In Italia ha conseguito il titolo magistrale presso facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna. Tiene normalmente conferenze e seminari sulla musica e sulla cultura russa presso Università e Istituzioni culturali. È docente nel Conservatorio di Mantova. Qui introduce ai tratti essenziali della trama e della drammaturgia musicale dell’opera lirica Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, in prima rappresentazione annuale al Teatro alla Scala di Milano nell’odierna festività ambrosiana.
Quando prendiamo in esame un capolavoro operistico, volgiamo quasi subito lo sguardo alla fonte letteraria su cui si basa il libretto. In alcuni casi tale fonte potrebbe sorprendere per la sua non notorietà letteraria, basti ricordare a questo proposito la poco conosciuta e non certo eccelsa novella di Prosper Mérimee da cui prese spunto il libretto della Carmen di Bizet, considerata indiscusso caposaldo del teatro d’opera.
In altri casi, un’opera magistrale si basa su una fonte che, nella sua valenza, non è inferiore all’opera stessa. Questo è certamente il caso di Boris Godunov, capolavoro di Modest Petrovič Musorgskij basato sull’omonima tragedia di Aleksandr Sergeevič Puškin, scritta circa quarant’anni prima.
Dal libro all’opera
Ritenuto un classico della letteratura russa – il poeta che più di tutti ha caratterizzato le scelte testuali della musica teatrale russa – si trovava nel novembre del 1825, all’epoca del completamento di Boris, in esilio nella tenuta materna vicino a Pskov Michajlovskoe in seguito al sequestro di una lettera in cui faceva professione di ateismo. Il confino lo salvò dalla sorte ben più grave che toccò ai suoi amici, i quali un mese dopo si radunarono a protestare sulla piazza del Senato a Pietroburgo. La rivolta, chiamata in seguito dei “decabristi”, fu sanguinosamente repressa dallo Zar Nicola I.
Il dramma di Puškin prende spunto dalla poderosa fatica dello storico Nikolaj Karamzin – Storia dello stato russo – i cui ultimi volumi freschi di stampa avevano per argomento il «tempo dei torbidi». Si tratta di uno dei periodi più foschi dello stato russo, a cavallo tra ’500 e ’600, il periodo del regno di Boris Godunov che, secondo la leggenda, salì al trono per mezzo dell’assassinio del piccolo zarevič Dmitrij.
Nella trama del lavoro puškiniano confluisce il materiale storico tratto da Karamzin, mentre per la forma drammatica gli fungono da modello le cronache storiche shakespeariane: «ho imitato Shakespeare nella sua descrizione libera e ampia dei caratteri, mentre ho seguito Karamzin per la chiara successione degli accadimenti; nelle antiche cronache cercavo di comprendere il pensiero e il linguaggio del tempo», scriveva Puškin a proposito del suo lavoro sul Boris.
Molte sono le novità drammaturgiche introdotte da Puškin nella sua tragedia, che si differenzia così dai modelli di genere aderenti, nel ’700 russo, agli stilemi della tragedia di Corneille e Racine. Manca, ad esempio, la divisione in atti, sostituita da ventitré singoli episodi; la narrazione non è limitata ad un unico personaggio, non sono osservate le unità aristoteliche di tempo, di luogo e d’azione, al posto dell’esametro giambico (corrispettivo russo dell’alessandrino), ci si avvale del più agevole pentametro giambico e, infine, per contribuire alla serrata successione degli episodi, le parti poetiche vengono mescolate a quelle in prosa. Il sommo poeta riuscirà a vedere il suo lavoro stampato solo nel 1831, ma non lo vedrà mai in scena a causa della censura zarista.
L’ambientazione di Musorgskij
Nel 1869 Musorgskij, partendo dalla tragedia di Puškin, scrisse il dramma omonimo in un prologo e tre atti. Affascinato dal soggetto storico e dalla ricchezza dei numerosi personaggi contrastanti, a partire dallo Zar assassino, dal monaco cronachista, i due vagabondi e il Folle in Cristo, scrisse di suo pugno anche il libretto dell’opera. La prima versione comprende ora solo sette quadri così disposti:
1: prologo nel cortile del Monastero Novodevičij, dove la folla e il clero supplicano Boris di accettare il trono; 2: scena dell’incoronazione; 3: cella del vecchio monaco Pimen che racconta al novizio Grigorij i fatti dell’Impero e la morte dello zarevič Dmitrij; 4: osteria al confine lituano da dove fugge Grigorij; 5: appartamenti dello Zar con l’annuncio della rivolta scatenata dal falso Dmitrij e la scena dei rimorsi di Boris; 6: davanti alla cattedrale di San Basilio l’Innocente si rifiuta di pregare per Boris e lamenta il triste destino della Russia; 7: morte di Boris.
Questa prima versione dell’opera non fu accettata dalla direzione dei Teatri Imperiali, che tra le varie osservazioni imputava al lavoro musorgskiano la mancanza di un ruolo di primadonna.
La seconda versione che vede l’introduzione di nuovi personaggi e situazioni – tra cui Marina Mnishek, l’intero atto polacco e la scena della rivolta popolare nella foresta di Kromy (assente in Puškin) – fu rappresentata dopo numerosi rimandi nel 1874. In questa versione, molto più articolata rispetto alla prima, emergono nuove tematiche: oltre all’intrigo amoroso tra Grigorij e Marina, figura, ad esempio anche il tema del complesso rapporto con il cattolicesimo rappresentato da alcuni personaggi, quale il gesuita Rangoni.
L’aggravamento generale, nella seconda versione, del conflitto politico, culturale e religioso, si evince dal confronto dei due finali: nel 1869 l’opera termina con la morte di Boris, mentre, nel finale del 1872, culmina con l’arrivo del falso Dmitrij, acclamato dai gesuiti, a cui segue la scena del Folle in Cristo (l’Innocente) che piange il destino della Russia.
La caratterizzazione musicale del popolo – una delle più riuscite che si conoscano (qui) -, l’efficace descrizione dei singoli personaggi, la coralità monumentale (qui), la grande maestria nel disegnare la tragedia umana del potente lacerato dal rimorso (qui), la perfetta adesione del canto alla prosodia della lingua russa, l’originale audacia della scrittura e la sua libertà tonale, fanno di Boris Godunov una delle pietre miliari di tutta la storia del teatro lirico sino ai nostri giorni.
Trama del Boris Godunov (versione del 1869)
Parte Prima – Quadro primo
Anno 1598. Cortile del monastero di Novodevičij nei pressi di Mosca. Il popolo, incitato da un ufficiale di polizia, supplica Boris Godunov (basso) di accettare la corona. Il Segretario della Duma, Andrej Ščelkalov (baritono), comunica che Boris intende rinunciare al trono. Da lontano, si sente un corteo di pellegrini, che esortano il popolo a recarsi dal futuro zar, per convincerlo, portandogli le sacre icone.
Quadro secondo
A Mosca davanti al Cremlino. Boris è incoronato zar al suono di campane, ma è inquieto e tormentato da presentimenti.
Parte seconda – Quadro primo.
Una cella del monastero dei Miracoli. Sono trascorsi cinque anni. È notte; il vecchio monaco Pimen (basso) sta scrivendo le sue cronache per i posteri. Racconta al novizio Grigorij (tenore) l’assassinio, ordinato da Boris, del legittimo pretendente al trono, lo zarevič Dmitrij. Se fosse ancora vivo, avrebbe l’età di Grigorij. Rimasto solo nella cella, il giovane monaco comincia a meditare di spacciarsi per lo zarevič assassinato.
Quadro secondo
Una locanda alla frontiera con la Lituania. L’ostessa (mezzosoprano) canta una gaia canzone. Due frati girovaghi, Misail (tenore) e Varlaam (basso), giungono insieme a Grigorij, che è fuggito dal convento e ora cerca di varcare il confine per andare in Polonia. Grigorij interroga la proprietaria sulla direzione da prendere. L’ostessa avverte del fatto che su tutte le strade sono stati predisposti posti di blocco e spiega come utilizzare un passaggio segreto. Varlaam beve e intona una canzone che narra della presa di Kazan’ da parte di Ivan il Terribile. Irrompono i gendarmi alla ricerca di Grigorij col decreto descrivente i segni di riconoscimento del fuggiasco. I commissari però sono analfabeti e Grigorij in persona legge il decreto, citando, anziché i propri segni di riconoscimento, quelli di Varlaam. Vista la situazione, il monaco chiede di vedere il decreto e, con difficoltà, a sillabe, decifra il testo. Grigorij fugge saltando dalla finestra.
Parte terza – Quadro primo
Mosca, appartamenti dello zar al Cremlino. I figli di Boris, Fëdor (mezzosoprano) e Ksenija (soprano), sono con la nutrice. Ksenija piange il suo fidanzato perduto, Fëdor studia la carta della Russia. Entra Boris, angosciato dall’insicurezza del regno e turbato dai rimorsi. Il principe Šujskij (tenore) gli annuncia una rivolta guidata da un impostore che si fa passare per Dmitrij. Nell’intento di rassicurarsi, Boris si fa raccontare la morte dello zarevič nella città di Uglič. Sotto l’effetto del drammatico racconto di Šujskij, Boris diviene profondamente turbato e inizia a delirare: vede l’ombra del principe assassinato.
Parte quarta – Quadro primo
Davanti alla cattedrale di San Basilio a Mosca. Il popolo dà voce al suo smarrimento per la tirannia dello zar. L’Innocente (tenore), inseguito da una banda di monelli che gli rubano l’unico copeco, si rivolge a Boris e gli chiede di far uccidere i monelli come ha fatto con il piccolo zarevič. Šujskij vorrebbe arrestarlo, ma Boris lo ferma e chiede all’Innocente di pregare per lui. Il folle rifiuta, sostenendo di non poter pregare per Erode, e lamenta il triste destino della Russia.
Quadro secondo
Mosca, Assemblea dei boiari al Cremlino. l principe Šujskij informa i boiari delle allucinazioni di Boris, tra le quali la visione del principe ereditario ucciso. Entra lo zar e tiene discorsi incoerenti. Viene introdotto il monaco Pimen che ha chiesto udienza. Il monaco narra allo zar il miracolo di un vecchio pastore cieco dall’infanzia che ha riacquistato la vista pregando sulla tomba dello zarevič Dmitrij. Agitato da un terrore mistico, lo zar fa chiamare suo figlio, gli affida lo scettro e muore.