Papa Francesco in Veritatis gaudium scrive che l’inter-disciplinarità non è una moda passeggera ma un’esigenza non più eludibile per chi desidera indagare l’uomo e il mondo. Va perciò considerato con attenzione il dossier che la Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione [1] – della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna, [2] rivista diretta da Maurizio Marcheselli – ha dedicato a Bruno Latour nel numero di gennaio-giugno 2022.
Originalità
Antropologo e sociologo che si occupa con acume di filosofia della scienza (a partire dal provocatorio testo Non siamo mai stati moderni, che gli valse la notorietà agli inizi degli anni Novanta) e del dibattito intorno all’ecologia (fino ai più recenti La sfida di Gaia e Dove sono?), Latour è una figura di studioso che colpisce non solo per la larghezza del suo campo d’interessi e per la profondità delle sue analisi, ma anche per l’originalità con cui ha precorso e analizzato le crisi del mondo attuale.
Dedicandogli un dossier RTE allarga la visuale rispetto alla teologia e alla pastorale, riconoscendo implicitamente che l’attualità e la storia della teologia appartengono all’arco temporale lungo e complesso della storia delle culture; riconoscendo, così, che gli strumenti del dibattito ecclesiale sono spesso condivisi e in comunicazione con gli strumenti utilizzati dalle discipline non direttamente teologiche.
L’ipotesi di lavoro degli autori, sintetizzata nel titolo, è che il pensiero di Latour abbia «radici teologiche» a monte, e che a valle queste radici possano restituire alla teologia dei frutti, alcuni già maturi e altri da far maturare con cura e attenzione.
Il dossier
Dopo un’introduzione del curatore (Mandreoli) del dossier e del lavoro di confronto collettivo, nel primo contributo Nicola Manghi traccia con competenza le linee essenziali del percorso intellettuale di Latour: alla radice, il decostruzionismo di Derrida e un’interpretazione originale del metodo esegetico di Bultmann; poi, le sue osservazioni sul campo – in Costa d’Avorio e in un laboratorio di biologia californiano – sono state gli snodi decisivi che gli hanno permesso di elaborare un’antropologia critica della cultura cosiddetta «moderna».
In particolare, Manghi si sofferma in modo sintetico ma efficace sull’Action-Network Theory e su una prospettiva che vede la realtà come un insieme di interazioni in cui ogni nodo della rete è centro e attore: conseguenza di ciò è il carattere strumentale, provvisorio e incompleto di ogni interpretazione e analisi della – mobilissima – realtà umana.
Seguono due interventi mirati a individuare alcuni elementi strutturali del rapporto tra la riflessione di Latour e la teologia. Vincenzo Rosito descrive la possibilità epistemologica di un pensiero che si costruisce mediante l’azione cooperativa espressa da un’assemblea di soggetti coinvolti: in tal modo, il sapere viene «assemblato» grazie a un processo che comporta da parte di ciascun attore sia la messa in comune delle proprie prospettive che il «bracconaggio» nel campo delle intuizioni e delle discipline altrui. In questo, il metodo di Latour può certamente arricchire lo sfondo su cui si colloca la categoria bergogliana di sinodalità.
Il secondo elemento strutturale viene identificato da Stefania De Vito e Michele Zanardi nel metodo ermeneutico. Per Latour è infatti l’ermeneutica – che è il tentativo di interpretare senza travisare, o di tradurre senza tradire – ciò che rende affascinanti i sistemi religiosi. Prendendo le mosse dall’esegesi radicale di Bultmann, Latour ne ribalta le conseguenze insegnando che il nucleo dei messaggi trasmessi da una determinata cultura (compreso il nucleo del messaggio evangelico) non si trova azzerando la stratificazione delle mediazioni ma moltiplicandole il più possibile. De Vito e Zanardi ne rilevano allora le conseguenze per il modo di intendere non solo la categoria di tradizione, ma anche quelle di rivelazione, incarnazione ed escatologia: risulta essenziale, per le Chiese cristiane, riuscire a rendere possibile per i contemporanei sia la relazione del singolo individuo con il trascendente che la relazione del trascendente con il mondo materiale e la natura, tanto più in un’epoca caratterizzata dalla crisi ambientale e dal «Nuovo Regime Climatico».
I contributi di Marco Pietro Giovannoni e Matteo Prodi hanno il merito di agganciare il pensiero di Latour a questioni aperte nell’attuale dibattito ecclesiale: rispettivamente, le questioni sollevate dall’evangelizzazione nei contesti post-coloniali e quelle messe in primo piano da papa Francesco con l’enciclica Laudato si’. Temi cruciali, opportunamente ripresi da Federico Badiali, Fabrizio Mandreoli e Giorgio Marcello nei due interventi posti a conclusione del dossier.
Prassi da elaborare
Emerge così, tra frutti maturi e altri da far maturare, lo sforzo comune della teologia e delle scienze umane nel tentativo di elaborare, dentro la comunità degli uomini, una prassi responsabile e sostenibile.
Il percorso intellettuale di Latour dimostra allora che in un’epoca di crisi e disorientamento come quella attuale, in cui tutte le discipline umane sono chiamate a un profondo ripensamento, la teologia e le istanze delle comunità cristiane non sono per nulla isolate: a meno che non scelgano esse stesse, travisando il senso della propria tradizione, di cedere alla tentazione dell’isolamento.
Sicuramente dal dialogo con Latour la riflessione teologica può uscire arricchita di un senso più aggiornato di molte questioni antropologiche, sociali e ambientali, oltreché da una serie di strumenti e impulsi non secondari per adempiere il proprio compito di decifrazione e discernimento «all’altezza dei tempi».