Cari preti, leggete!

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Gli storici delle religioni hanno utilizzato per decenni un’etichetta che unifica le tre grandi e più diffuse religioni monoteiste mediterranee (ebraismo, cristianesimo, islam): religioni del Libro. È, questa, una felice denominazione unificante, usata, tra gli altri, dagli specialisti fin dagli anni Novanta del Novecento.[1]

Se, come scrive oggi papa Francesco, «leggendo un testo letterario, siamo messi in condizione di “vedere attraverso gli occhi degli altri”»,[2] non è, proprio questo, un rilevante criterio per il dialogo interreligioso mediterraneo?

Un grande apporto per le “religioni del Libro”, e non solo

Ebraismo, cristianesimo e islam – appunto le comunità del Libro (Ahl al-Kitab) – sono i tre rami di un’unica e grande tradizione abramitica, condividendo la fede nella rivelazione di un Dio unico, trascendente e, nella sua essenza, inconoscibile attraverso le sole vie della percezione e della ragione.

Per sfuggire alle trappole di una rinascita idolatrica modernissima, che fa di Dio un ente tra gli enti, confondendolo nella storia e nella società e, dall’altro lato, quella di una trascendenza portata all’estremo senza mediazioni teofaniche, quasi un disperante nichilismo,[3] occorre riscoprire la rilevanza del libro e di ogni altra forma di comunicazione sociale interumana.[4]

La cultura ebraica ritiene centrale il Libro dell’alleanza: «Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”» (Es 24,7).

E i cristiani chiudono le loro Scritture sacre, leggendo la profezia del veggente di Patmos: «E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli» (Ap 5,1).

Inoltre, «Corano, in arabo al-qur’ãn, significa “lettura”: una lettura ad alta voce, più vicina all’idea di proclamare o predicare che non a quella di leggere nel suo significato più corrente. Questa lettura è anche un testo, un libro, anzi il libro per eccellenza (al-kitâb)».[5]

Del resto, come affermava già la Commissione teologica internazionale, il Libro diviene il nodo per affrontare la questione principale, non solo del cristianesimo cattolico:

«La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla Chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa. La pluralità delle religioni, di cui i cristiani sono sempre più coscienti, una migliore conoscenza di queste religioni e il necessario dialogo con esse, senza tralasciare, in ultimo luogo, una più chiara coscienza delle frontiere spaziali e temporali della Chiesa, ci pongono la questione se si possa ancora parlare della necessità della Chiesa per la salvezza, e se questo principio sia compatibile con la volontà salvifica universale di Dio».[6]

Non solo per la formazione dei presbiteri, ma di tutti i cristiani

Ecco perché risulta rilevante l’obiettivo della recente Lettera pontificia sul ruolo della letteratura nella formazione (cf. qui su SettimanaNews), che ri-afferma opportunamente il «valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale».[7] Bisogna, insomma. re-imparare a selezionare le nostre letture con apertura, sorpresa, flessibilità, lasciandoci consigliare, ma anche, con sincerità, cercando di trovare ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento della nostra vita.

Quando ero vescovo residente, in occasione delle vacanze estive, suggerivo ai seminaristi un elenco di autori e di letture. I libri, si legge in altra parte della Lettera, ci aiutano a ruminare. Il papa cita giustamente il medioevale Guglielmo di Saint-Thiérry, che utilizzava questa metafora.[8]

Ma piace qui riprendere l’analoga metafora del vescovo Cesario di Arles, che continuamente sollecitava i suoi co-episcopi del V-VI secolo, preti e fedeli, spesso illetterati, a leggere e rileggere più spesso la lettura divina; oppure, se non si è in grado di leggere da noi stessi, almeno preoccuparsi di ascoltare coloro che la leggono volentieri e con frequenza.

Qui e là Cesario assimila la lettura del testo sacro e delle omelie del vescovo a una ruminazione, come una recente versione italiana dei primi suoi 80 Sermoni al popolo, che ho avuto recentemente la fortuna di leggere, ci ha ricordato:

«Conservate queste cose, ruminatele, nutritevi di esse; non si allontani dalla vostra bocca ciò che viene affidato alla memoria. La memoria dell’essere umano è simile allo stomaco di un animale. Voi sapete che, nella Legge, sono chiamati immondi quegli animali che non ruminano; quelli che ruminano, invece, sono puri, come tutti quelli che hanno l’unghia bipartita o questo rappresenta il discernimento del vero e del falso. L’unghia bipartita rappresenta il potere di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato; la ruminazione, invece, si riferisce a coloro che riflettono su ciò che hanno ascoltato e mantenuto a memoria. Ora, infatti, ciò che noi mangiamo viene inviato alla nostra memoria, come in uno stomaco. Invece, cosa fa il bestiame, quando rumina? Ciò che era stato gettato nella mangiatoia e riposto nello stomaco, esso lo richiama alla bocca e lo assapora con una piacevole masticazione. Ho detto ciò per raccomandare a voi di non essere come un animale immondo. Esso riceve il cibo nello stomaco; ma, in seguito, non rumina e se ne va via tutto il piacere. E a nulla vi serve quello che è deposto in profondità, se non ne ritorna in bocca la piacevolezza».[9]

Tutti conoscevamo già, del resto, ricavandola dall’esortazione apostolica Querida Amazonia, la passione che papa Francesco nutre per i libri di letteratura, in particolare per la lirica. Egli, nel 2020, costruì un vero e proprio affresco poetico con «le varie espressioni artistiche, e in particolare la poesia», le quali «si sono lasciate ispirare dall’acqua, dalla foresta, dalla vita che freme, così come dalla diversità culturale e dalle sfide ecologiche e sociali».[10] Il tutto già riprendendo esplicitamente una convinzione di Vinicius de Moraes[11] che ora viene riproposta: «Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo».[12]

Del resto, soprattutto per la questione dell’ecosistema, è centrale il ruolo della cosiddetta poesia popolare e dei poeti, le cui voci erano esplicitamente dette dal pontefice contemplative e profetiche:

«I poeti popolari, che si sono innamorati della sua immensa bellezza, hanno cercato di esprimere quanto il fiume faceva loro percepire, e la vita che dona al suo passaggio, in una danza di delfini, anaconda, alberi e canoe. Ma pure deplorano i pericoli che lo minacciano».[13]

Ora Francesco, oltre a confidarci che ama «gli artisti tragici, perché tutti potremmo sentire le loro opere come nostre, come espressione dei nostri propri drammi. Piangendo per la sorte dei personaggi, piangiamo in fondo per noi stessi e i nostri vuoti, le nostre mancanze, la nostra solitudine»,[14] ci ricorda la sua esperienza personale di docente di letteratura nella scuola medio-superiore:

«Tra il 1964 e il 1965, a 28 anni, sono stato professore di Letteratura a Santa Fe presso una scuola di gesuiti. Insegnavo agli ultimi due anni del Liceo e dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa e, durante le lezioni, io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente loro volevano leggere le opere letterarie contemporanee.[15] Ma, leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e poi passavano ad altri autori».

Un buon libro da leggere, dunque, soprattutto se piace (anche se viene letto dalla voce del podcast o da una voce digitale), viene suggerito esplicitamente dal santo padre per la «noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti», o anche per i «momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima».[16]

Un buon libro, anzi, è il rimedio migliore per sfuggire alle «poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile. Prima dell’onnipresenza dei media, dei social, dei cellulari e di altri dispositivi, questa era un’esperienza frequente, e quanti l’hanno sperimentata sanno bene di cosa sto parlando. Non si tratta di qualcosa di superato».[17]

Insomma, fare così come già Gregorio Magno suggeriva per la lettura delle sacre Scritture – sacra Scriptura cum legente crescit![18] –: «Un testo vivo e sempre fecondo – come la Bibbia (il Libro per antonomasia) – è capace di parlare di nuovo in molti modi e di produrre una sintesi originale con ogni lettore che incontra».[19]

Viene espresso da papa Francesco l’auspicio iterato, almeno per quanto concerne la formazione nei seminari, che finalmente «si superi l’ossessione per gli schermi – e per le velenose, superficiali e violente fake news – e si dedichi tempo alla letteratura, ai momenti di serena e gratuita lettura, a parlare su questi libri, nuovi o vecchi, che continuano a dirci tante cose»;[20] non si deve più tollerare, insomma, che i futuri ministri ordinati vengano «privati di un accesso privilegiato, tramite appunto la letteratura, al cuore della cultura umana e, più nello specifico, al cuore dell’essere umano».[21]

Lo scopo della lettura di libri 

In questo senso, i libri – tutti, non solo quelli di teologia e filosofia – possono diventare strumenti formidabili per il dialogo tra fede e cultura. Ce lo aveva ben insegnato a Venezia Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I. Quel fantasioso epistolario, che raccoglie le lettere che l’allora patriarca di Venezia aveva scritto – e la rivista Messaggero di sant’Antonio puntualmente aveva pubblicato mese dopo mese, dal 1971 al 1974 – erano da Luciani indirizzate a personaggi storici e mitici di tutti i tempi e luoghi.

La piacevolezza dello stile, la sottile ironia che pervade ogni pagina, l’abilità di trasferire vicende e persone, problemi e soluzioni da ieri a oggi e viceversa, danno corpo a un’analisi tutt’altro che superficiale di quegli anni difficili e tortuosi. I personaggi incontrati, così diversi tra loro, vanno da Penelope a Mark Twain, da Maria Teresa d’Austria a Figaro, da Pinocchio a un… orso, da Péguy a Trilussa, da Scott a Ippocrate, da Quintiliano a Marconi, da Hofer a Goldoni, da santa Teresa a Goethe, da san Bernardino a Marlowe e Chesterton, per finire al più importante di tutti, Gesù, al quale l’autore scrive trepidando.[22]

Del resto, sul piano storico, la missione ecclesiale ha saputo dispiegare tutta la sua bellezza, freschezza e novità nell’incontro con le diverse culture, in una polifonia sintonica, che non è altro che «la polifonia della Rivelazione senza ridurla o impoverirla alle proprie esigenze storiche o alle proprie strutture mentali».[23]

Il papa ha, in quest’orizzonte, gioco facile nel ricordare il riferimento dell’apostolo Paolo all’Areopago di Atene. Di fronte a filosofici neostoici e neoepicurei, egli evoca i versi dei poeti Epimenide e Arato (cf. At 17,28), mostrando come una persona (un predicatore e un missionario) che sappia ben raccogliere i semi della poesia pagana, più che un fallimento, susciti nei suoi ascoltatori, che sono raffinati e amano i riferimenti eruditi e letterari, la voglia di “sentirlo un’altra volta”, almeno circa il problema della resurrezione dei morti: tema, questo, che tanto avrebbe interessato gli stoici di età romana, in molti morti per suicidio o per assassinio indotto, come accadde a Cicerone (cf. At 17,32).

Inoltre, insiste il papa, occorre incoraggiare alla lettura anche in prospettiva scientifica, dal momento che «l’abitudine a leggere» produce «molti effetti positivi nella vita della persona: la aiuta ad acquisire un vocabolario più ampio e, di conseguenza, a sviluppare vari aspetti della sua intelligenza. Stimola anche l’immaginazione e la creatività».[24]

Ragioni specifiche per le quali è da promuovere l’attenzione alla letteratura [25]

Quasi abbandonando la notazione universale dell’inizio, il papa indugia molto, nella sua Lettera, sulla formazione dei futuri preti, per i quali si attende dalla CEI l’edizione della Ratio formationis.[26]

Egli riprende volentieri una fortunata annotazione di Karl Rahner su un possibile «parallelo tra il sacerdote e il poeta».[27] In primo luogo, si tratta di favorire «un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Dobbiamo stare tutti attenti a non perdere mai di vista la “carne” di Gesù Cristo»,[28] in cui si riversa pienamente la sua divinità. Però, sul piano metodologico, occorre immergersi «nel testo vivo che ci sta davanti, più che fissarsi sulle idee e i commenti critici».[29]

In tal modo, oltre a compiere un vero e proprio atto di discernimento in senso ignaziano,[30] ci si mette in grado di «“toccare” il cuore dell’essere umano contemporaneo»;[31] soprattutto, si riacquista uno sguardo che fa scemare l’«incapacità di tanti di emozionarsi davanti a Dio».[32]

Quasi come un telescopio, la lettura evita di farci cadere

«in un efficientismo che banalizza il discernimento, impoverisce la sensibilità e riduce la complessità. È perciò necessario e urgente controbilanciare questa inevitabile accelerazione e semplificazione del nostro vivere quotidiano imparando a prendere le distanze da ciò che è immediato, a rallentare, a contemplare e ad ascoltare».[33]

In particolare, fa superare certe tentazioni ultramoderne di efficientismo a oltranza, educando a «esplorare la verità delle persone e delle situazioni come mistero, come cariche di un eccesso di senso, che può essere solo parzialmente manifestata in categorie, schemi esplicativi, in dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine».[34]

In altri termini, viene più volte evidenziato

«il ruolo che la letteratura può svolgere nell’educare il cuore e la mente del pastore o del futuro pastore in direzione di un esercizio libero e umile della propria razionalità, di un riconoscimento fecondo del pluralismo dei linguaggi umani, di un ampliamento della propria sensibilità umana e, infine, di una grande apertura spirituale per ascoltare la Voce attraverso tante voci».[35]

Il beato Francesco Spoto e la letteratura

È almeno a partire da Blaise Pascal e dalla letteratura ascetica moderna che s’insisteva, nel bagaglio formativo del clero, sulla rilevante funzione di libri e letteratura nella sacra oratoria.[36]

Nella formazione dei futuri membri del Boccone del povero, di cui faccio parte, era prassi ordinaria il riferimento letterario. In particolare, il missionario e martire padre Francesco Spoto – della cui causa di beatificazione sono il postulatore e di cui vado evidenziando il finissimo intento letterario[37] – non concludeva una predica o un testo senza riferimenti alla letteratura di ieri e di oggi

Nelle prediche e conferenze del religioso “bocconista” padre Spoto, insomma, anche il tema teologico – per esempio quello della morte e del morire – si arricchiva spesso di riferimenti letterari e di brevi storie: da Policarpo, da Agostino, da Pier Damiani, e poi: Toth Tihamèr, card. Ferrari, card. Valentini, Barthmann, L. Olgiati, P. Claudel, Lebreton. Non solo Claudel si trova in tanti appunti di padre Spoto per meditazioni ed esercizi spirituali.

Era, anzi, ogni suo intervento a voce, soprattutto nei ritiri o esercizi, una catena di ricorrenti citazioni dalla Bibbia, dai Padri della Chiesa, dalla letteratura europea e americana, dalla filosofia e teologia.

Esercitarsi spiritualmente comporta, infatti, il concentrarsi brevemente e intensamente sui grandi problemi della vita eterna (meditare novissima tua, morte-giudizio-Inferno/Paradiso), nei supremi interessi dell’anima, posta a contatto, quasi a tu per tu, con Dio, Creatore e Padrone assoluto della creatura umana, anche quando essa si sentisse abbandonata in uno sperduto territorio dell’ex Congo belga.

Egli cita, perciò,

«la letteratura cristiana», ricordando «il proconsole che nello stadio di Smirne condannò a morte l’anziano vescovo Policarpo… Sappiamo… che Policarpo fu ricercato dall’irenarca Erode il quale, evidentemente, utilizzava i poteri connessi al suo ruolo per infierire sull’attempato vescovo… Questo zelante funzionario, tuttavia, contravveniva a quanto prescritto da Traiano, con il suo intraprendere una ricerca d’ufficio di cristiani equiparati ai briganti. Gli atti descrivono la folla dei pagani e dei giudei che, riuniti nello stadio, sollecitò la morte dei martiri approntando il rogo per Policarpo»[38].

Per rendere la drammaticità della realtà della persecuzione subìta a Biringi, padre Spoto non omette mai di riferirsi alla letteratura, in particolare cita il terrore descritto «da Pasternak nel Dottor Zivago. Si teme anche di colui che s’incontra. Si passano giornate di ansia e di nervosismo».[39]

Conclusione

Nelle mani e sulle labbra di padre Francesco Spoto, la letteratura svolgeva, insomma, come il ruolo di quinto evangelio: un Vangelo che viene costruito dalle nuove generazioni di cristiani, così come, frattanto, lo stesso Mario Pomilio, in persona, andava insegnando a cavallo del Vaticano II, ad esempio nelle aule della Facoltà di teologia di Napoli, quale titolare di Letteratura religiosa contemporanea.

Non è un caso che Veritatis gaudium – la Costituzione apostolica di papa Francesco circa le università e le facoltà ecclesiastiche (29.01.2018) – stabilisca, tra le materie complementari opzionali della Facoltà di filosofia ecclesiastica, anche gli «Elementi di letteratura e delle arti».[40]

Questo famoso testo papale non faceva altro che ribadire, anche nella Ratio studiorum, la raccomandazione esplicita dell’allora Congregazione per l’educazione cattolica:

«Si tengano presenti – in relazione ai livelli scolari degli alunni – gli aspetti culturale ed estetico, in connessione con le altre discipline e con altri veicoli e forme di espressione e di comunicazione – quali la storia, la filosofia, la letteratura, la drammaturgia, le arti figurative, la musica,…–, sì da raccordare ad esse quella “scuola parallela”, e spesso contrapposta, che sono i mass media».[41]

Insomma, leggere. Tanto e bene, per sé e per gli altri, per l’oggi e per l’avvenire perché, prendendo a prestito le parole dello scrittore Lorenzo Marone, «la lettura e la scrittura sono i poteri più potenti di cui disponiamo, ci ampliano la mente, ci fanno crescere, ci migliorano, a volte ci illuminano e ci fanno prendere nuove strade, ci permettono di cambiare idea, ci danno il coraggio di fare ciò che desideriamo».

 


* P. Vincenzo Bertolone, SdP, è vescovo emerito di Catanzaro-Squillace

[1] Gino Ragozzino, Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Messaggero, Padova 1990.

[2] Papa Francesco, Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione, 17.7.2024, n. 34 [d’ora in poi: Lettera]. In attesa dell’edizione ufficiale, ci si riferirà al sito della Santa Sede:

https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20240717-lettera-ruolo-letteratura-formazione.html [5.8.2024].

[3] Questa è la nota tesi di Henry Corbin (1903-1978), Il paradosso del monoteismo, Introduzione di Claudio Bonvecchio; traduzione di Roberto Revello, Mimesis, Udine 2011.

[4] Anche il CIC, nei cann. 822-832 precisa che «ciò che viene stabilito nei canoni di questo titolo sui libri, si deve applicare a qualunque scritto destinato alla pubblica divulgazione, se non consti altro» (can. 824,2).

[5] Il Corano, a cura di Alberto Ventura, traduzione di Ida Zilio-Grandi Commenti di Alberto Ventura, Mohyddin Yahia, Ida Zilio-Grandi e Mohammad Ali Amir-Moezzi, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 2010, p. XI.

[6] Commissione teologica internazionale, Il Cristianesimo e le religioni (1997), n. 63:

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1997_cristianesimo-religioni_it.html [6.8.2024].

[7] Lettera, n. 1. Si osserverà, dall’apparato delle citazioni della Lettera (la cui metodologia a volte scrive in maiuscoletto, altre volte in minuscolo corsivo i nomi e cognomi degli Autori citati), che, oltre a Eusebio di Cesarea per l’età patristica orientale, nonché a un brano degli Esercizi spirituali del Fondatore della Compagnia di Gesù, non senza riferimenti alla Gaudium et spes, alla Evangelii nuntiandi, ad altri testi di papa Paolo VI e di Benedetto XVI, papa Francesco non omette di citare vari autori della teologia (K. Rhaner, R. Latourelle) e della letteratura (M. Proust, C.S. Lewis, J.L. Borges, T.S. Eliot, M. De Certeau, P. Celan). Per esemplificare circa la lettura come ruminazione, sono citati inoltre, dal papa, Guillaume de Saint-Thierry e il gesuita del XVII secolo Jean-Joseph Surin. Si noti, infine, che ben sei sono le citazioni di p. A. Spadaro, la cui autorevole posizione evidentemente ha pesato sulla redazione finale della Lettera. Tra i suoi scritti, ricorderei almeno i più recenti molto ben documentati: Antonio Spadaro, La mappa di Bergoglio: la letteratura nella formazione di papa Francesco, “La civiltà cattolica” 174 (2023), n. 4145, pp. 417-433; Id., L’altro fuoco: l’esperienza della letteratura, 2, Jaka Book, Milano 2009; Id, Abitare nella possibilità: l’esperienza della letteratura, Jaka Book, Milano 2008.

[8] Lettera, n. 33.

[9] Cesario di Arles, Sermoni al popolo, Introduzione, versione italiana e note di Pasquale Giustiniani e Luigi Longobardo Sermone 69,4-5, Città Nuova, Roma 2024, p. 539.

[10] Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia del santo padre Francesco al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà (2.2.2020), Tipografia vaticana 2020, n. 35.

[11] Vinicius de Moraes, Para vivir un gran amor, Buenos Aires 2013, p. 166.

[12] Querida Amazonia, n. 46, ed. cit., p. 36.

[13] Ivi, n. 46, ed. cit., p. 35.

[14] Lettera, n. 7.

[15] Lettera, n. 7.

[16] Lettera, n. 2.

[17] Lettera, n. 2.

[18] Gregorio Magno, La regola pastorale, I, 3, a cura di M.T. Lovato, Città Nuova, Roma 2004, pp. 45-46. Per l’aggiunta-precisazione, cf. Carlo Maria Martini, Attingere alla sorgente dell’amore. Parola e vita, in Autori vari, Vi affido alla Parola. Le “consegne” di un pastore, Àncora, Milano 2003, pp. 65-87.

[19] Lettera, n. 3.

[20] Lettera, n. 4.

[21] Lettera, n. 4.

[22] Albino Luciani, Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, Postfazione di Giovanni Maria Vian, Edizioni Messaggero, Padova 1996.

[23] Lettera, n. 10.

[24] Lettera, n. 16.

[25] Lettera, n. 44 (è il paragrafo conclusivo, che quasi “sigilla” la Lettera).

[26] Mons. Stefano Manetti, vescovo di Fiesole e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, riassunse il contenuto della Ratio formationis sacerdotalis – esaminata e approvata dalla 78ª Assemblea Generale Straordinaria della Cei nel novembre 2023 e in attesa della confirmatio da parte del Dicastero per il Clero. La Ratio è il frutto di un’ampia consultazione, a partire dai formatori, dai seminari e dai vescovi.

[27] Lettera, n. 25.

[28] Lettera, n. 14.

[29] Lettera, n. 20.

[30] Lettera, n. 29.

[31] Lettera, n. 21.

[32] Lettera, n. 22.

[33] Lettera, n. 31.

[34] Lettera, n. 32.

[35] Lettera, n. 41.

[36] Tra i tanti studi storico-culturali, cf. almeno G. Caltagirone (et al.), Ragioni retoriche di discorsi letterari: retorica e letteratura tra narrativa, poetica, oratoria sacra e politica, a cura di Giuseppina Ledda, Bulzoni, Roma 1990.

[37] Mi fa piacere ricordare che, entro l’anno − anno giubilare spotiano, indetto dal p. Superiore Generale della mia Congregazione −, sarà pubblicato: Vincenzo Bertolone, La valigetta di padre Spoto, La Valle del tempo, Napoli (imminente), nel quale insisto sulla corda letteraria del martire, ucciso a Biringi (ex Congo Belga). Sorella morte raggiunse, infatti, il missionario padre Francesco Spoto, Superiore Generale dei Missionari Servi dei poveri, il 27 dicembre 1964. I suoi martoriati resti furono seppelliti nei pressi della capanna, dove egli si era rifugiato dopo l’attacco notturno e le violente bastonate infertegli dai due guerriglieri Simba. Le sue ossa saranno poi raccolte e portate a Biringi (ex Congo belga) e, dopo circa vent’anni dalla morte, saranno trasportate, finalmente, a Palermo, insieme con qualche altra cosa che era appartenuta proprio a lui.

[38] Giancarlo Rinaldi, Roma e i cristiani. Materiali e metodi per una rilettura, Vivarium Novum, Frascati 2023, 322-323.

[39] Francesco Spoto, L’Epistolario completo (20 agosto 1950-11 novembre 1964) e il Diario, a cura di V. Bertolone, Grafiche Simone, Catanzaro 2018, 223.

[40] Papa Francesco, Costituzione Apostolica «Veritatis gaudium» circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche (29.01.2018), art 66,1 c:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html#italia [6.8.2024].

[41] Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale (19.3.1986), n. 16:

https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/pccs/documents/rc_pc_pccs_doc_19031986_guide-for-future-priests_it.html [6.8.2024].

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Un commento

  1. Giuseppe 16 agosto 2024

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