Abbiamo abbastanza di tutto, ma non abbastanza ragioni di senso (G. Bruni, monaco di Bose).
La perdita di senso ultimo, sul fine dell’uomo, necessita riflessioni verso orizzonti pregnanti di significati. Gesù[1] considerato colpevole aver dato immagine di Dio contrastante quella religiosa del suo tempo e immagine dell’uomo recepita minaccia ai dominatori di questo mondo.
Chiedersi chi sia l’uomo è interrogarsi sul senso del proprio esistere e nel mio andar cercando, evidenziare differenti posizioni affluenti del grande fiume: la conoscenza.
Enzo Bianchi colloca la persona in luogo privilegiato del rapporto con Dio, definendo colei che amerà il suo Signore. Non sta scritto: ama il Signore Dio tuo, bensì amerai. Percorso nella profondità di ascolto e conoscenza di Lui. È amando che si impara ad amare.
Realizzarsi nell’ascolto e nell’amore è manifestarsi nel divenire. Incarnazione, non solo è prendere in sé l’uomo da parte del Verbo, ma pure il divino immesso nell’umanità, che fa dell’individuo autorivelazione. Egli ha in sé il principio animatore che viene dall’alto e la grandezza sta nel coglierne il significato ultimo.
Lo Spirito del Signore riempie l’universo abbracciando ogni cosa, conosce ogni Voce. Dio ha creato l’uomo per l’immortalità… Lo fece immagine della propria natura (Sap.1,7; 2,23).
Giovanni Battista, profeta nel deserto, fu coscienza del suo tempo, vide ciò che altri non videro, e, indicò via maestra il cambiare mentalità. Cambiamento che è progressione, un “da farsi”, in divenire.
Martin Buber, riprende la domanda di Dio al primo uomo: Adamo dove sei? Come interrogativo rivolto ad ogni essere che, credendosi nascosto a Dio, si nasconde a sé.
Come Adamo, volendo fuggire le responsabilità del proprio vivere, si rende assente scivolando nella falsità. La domanda vorrebbe turbare la persona e snidarla dal nascondiglio, ma la voce di Dio è soffio nel silenzio, perciò eludibile. Il cammino che porta l’accesso a Lui avverrà attraverso la conoscenza del proprio essere.[2]
Gesù è svelamento dell’uomo nascosto, uomo invisibile a sé, inaccessibile a se stesso.[3] Attingendo alla modalità disvelatrice di Cristo, la responsabilità personale orienta a ricercare quel conoscere, punto di incontro tra umano e divino
Nell’ esperienza analitica quanto travaglio comporta la scoperta di libertà negate e verità calpestate; la complessità delle componenti personali, le identificazioni negative cui dare un nome, il lavoro di elaborazione, l’accesso graduale alla conoscenza che apre porte chiuse quali pace e amore.
Cammino parallelo ad una ricerca religiosa, un racconto antico che narra di Dio e dell’uomo.
Vi sono possibilità sottaciute nella persona, cui dare voce, interrogativi di fondo sul piano esistenziale che possono essere accolti dal versante psicoanalitico, ma altresì trovare posto nello spazio della fede, accanto alle grandi domande bibliche. Gli attuali strumenti interpretativi[4] rendono realizzabile la lettura del negativo presente in sé, scendendo a profondità che rinominano atteggiamenti, relazioni e vissuti quale rovescio di un ricamo la cui trama era stata trascurata.
La narrazione della nostra storia presenta fatti aperti, finché la persona non li raccolga per intesserli con la propria esperienza personale.[5]
Sul versante della conoscenza ci accompagna anche la studiosa A. Mazzarella,[6] quando scrive che non si può indulgere all’ombra, è necessario riconoscerla in sé per trasformarla, perché il non conosciuto sta dietro la coscienza di ognuno. Chi non ha coscienza di sé, ha occhi bendati, non vede, è il non risvegliato, vive senza capacità di riflettere, privo di un esistere che diventi esperienza di conoscenze. Quasi una morte anticipata, deprivato dal processo di realizzazione e dai caratteri di essenzialità, con la perdita del proprio esserci.
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Lo psicoanalista Recalcati descrive quella di Edipo la tragedia della verità. Il nucleo riguarda la luce. Edipo si muove da cieco, nell’oscurità di chi non conosce. Quando l’epidemia si scatena nella sua città, vuole scoprire la causa di tanto male e si mette alla ricerca del vero. Diventa impellente conoscere il mistero che governa la sua esistenza- Quello che conta per se stesso è la conoscenza come imperativo etico. Egli è esiliato dalla verità e può solo incamminarsi faticosamente alla sua ricerca.
L’aiuto a ritrovarsi che può essere offerto dall’analista è il prendersi cura della libertà dell’altro; il farsi testimone solerte e premuroso della fatica che l’altro compie per sottrarre il suo futuro all’oblio, a quell’oblio prodotto dall’essere smarrito nei labirinti del proprio passato.[7]
Parallelamente, nell’ottica religiosa, leggiamo in San Paolo lo stimolo a convertirsi nel senso di un cambiamento radicale, quando nella Lettera ai Romani scrive: “Trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm. 12,2).
Psicoanalisi e fede si incontrano mutando le rette parallele in perpendicolari, ennesimo crocevia del miracolo.La conoscenza di sé, presupposto escludente trasferimenti impropri sulla immagine di Dio, è qualità coniugata con l’ascolto: “Salomone chiede a Dio un cuore capace di ascoltare” (1 Re, 9)
Seguendo i Padri del Deserto, l’ascolto presuppone alcune condizioni: fuge, tace, quiesce.[8]
Arsenio, volendo ritrovare se stesso e la pace interiore, interroga Dio, e nell’ascolto di Lui, riceve quelle risposte:
FUGE: può essere interpretato come uscire dalla mentalità del mondo, da quel mondo che è oblio di Dio, ricercando la Sua Luce.
TACE: per raccogliere nel silenzio quelle energie capaci di pronunciare parole essenziali; un tacere che rende disponibili all’ascolto.
QUIESCE: i Certosini indicano nella quies, uno scopo della vita cristiana. È la traduzione di ciò che i monaci greci chiamano esichia, gli ebrei shalom, la pace di Dio. L’uomo in pace è dimora di Dio.
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Gli uomini dell’Antica Alleanza, il vecchio popolo di Israele, quando incontrandosi ci si salutava, invocavano la pace: la pace sia con te. Con la venuta di Cristo, una qualità sconosciuta di pace, proviene dalla riconciliazione con se stessi, poiché l’uomo diviso in sé, vorrebbe fare il bene che desidera, anziché seguire il male che odia.
Con un salto di secoli S.Ambrogio conferma: comincia da te stesso l’opera di pace, se vuoi portarla agli altri. Ma per realizzarla trasforma la tua mentalità.[9]
Evagrio, in relazione con i grandi Cappadoci, fu iniziato alla sapienza del deserto e della metanoia. Nei suoi scritti parla del lento lavoro, della purificazione del cuore, che permette al soggetto di conoscere la sua vera natura a immagine e somiglianza con Dio. Già egli fa una analisi della condizione dell’uomo, della lotta interna che lo divide in sé, e pone come obbiettivo arrivare alla apatheia, uno stato di libertà, semplicità, purezza di cuore, capacità di amare, uno stato di luminosità del corpo, trasparente alle Divine Energie.
Il padre del deserto Sisoes afferma “cerca Dio, ma non cercare lo spazio dove Dio dimora”. Non solo perché il Dio trascendente e libero non può essere rinchiuso in uno spazio, ma perché lo si può incontrare solamente cercandolo, riconoscendo le sue tracce nella storia degli uomini, nel segreto del cuore personale, nei segni della natura e nella verità delle relazioni.[10] Quali maestri sul versante dell’umanità! Una umanità nuova in grado di fare esperienza di Dio. Questa, la fede.
L’attirerò a Me: la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os. 2,16).
Grida una voce: nel deserto preparate la via di Jahvè (Is. 40,3).
Deserto, luogo dell’ascolto di un Dio che parla al cuore, metafora di una relazione di silenzio, ascolto, conoscenza, amore. Dio si rivela all’uomo dove l’habitat stimola la risposta dalla profondità di sé, in una Rivelazione privilegiata che trasformi vita morale e religiosa.
L’essere Sua Immagine può ritradursi in questi termini:[11] l’umanità è data a Gesù per vivere il vero uomo, l’Adam voluto da Dio nella creazione, umanità come luogo in cui Gesù ha narrato il Padre. Per Paolo, Cristo è l’unica vera immagine di Dio, l’uomo divino. Da qui parte quando sottolinea il nostro rinnovamento; possa avvenire mediante una trasformazione secondo l’immagine di Cristo.[12]
Serafino di Sarof stimola ad acquisire lo Spirito di Dio, in quanto la vita eterna può iniziare quaggiù nelle nostre anime. Silvano del Monte Athos, suggerisce di creare vita nuova con cambiamento interiore capace di eternità. Il Pellegrino Russo, che praticava la preghiera del cuore, sperimentò una tale gioia da ringraziare Dio per ogni cosa: uomini, alberi, animali.
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C. Chalier[13] filosofa attenta alle radici ebraiche della nostra cultura scrive che nella Torah si afferma che l’uomo sia somigliante a lohim, Signore delle forze che emanano energie per tutto ciò che esiste; occorre allora comprendere il posto dell’uomo nella creazione. Fu creato perché dirigesse i mondi e la somiglianza è nella capacità umana di capire, pensare, parlare, agire secondo le indicazioni di santificazione inscritte nella Torah.
Ognuno è chiamato a vivificare in sé la coscienza della sua somiglianza personale con Dio, facendo di se stesso una risposta singolare a tale chiamata. Marco nel cap.3 scrive che Gesù ne scelse 12, perché stessero con Lui. Questo il modo di vivere, la scelta di vita proposta da Gesù. Stare con Lui in ascolto, conoscenza, amore.
Chi può comprendere il linguaggio
delle stelle, chi può scoprire la
musica delle anime, chi con
cuore totalmente libero saprà
conoscere la Parola della vita?
Colui che è abitato dal Tuo Spirito,
Signore, accoglie il segreto del Padre.
Beato l’uomo il cui sguardo
attraversa l’invisibile per cercare il Tuo Volto (Inno Comunità Cistercense).
Dice San Basilio che l’universo è strutturato come una liturgia cosmica, un inno mirabilmente composto.
C’è un processo preparatorio all’incontro con Lui, che riguarda chi vive nel nostro tempo. Un cambiamento della persona che può realizzarsi con un profondo lavoro su di sé: un travaglio di spogliazione, denudamento, un togliersi maschere, disincarnare personaggi che rendono falsa la vita, tradendo la verità personale.
L’attraversamento di questo travaglio apre a momenti rifondativi che creano spazio al nascente: l’uomo nuovo.
Il monaco Bede Griffith scrive che noi viviamo solo con la metà della nostra anima, il conscio. Abbiamo bisogno di scoprire l’altra metà, l’inconscio. Il futuro del mondo dipenderà dal matrimonio di queste due menti.
Ciò che oggi domina è la potenza aggressiva della mente che usa atteggiamenti violenti sia con la forza armata, sia con sottili e occulti sfruttamenti della persona. Il male, effetto della nostra coscienza divisa.[14]
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Il problema della persona e del suo rapporto con l’essere è pure rintracciabile in una via antica cui alludono i saggi di ogni epoca e cultura: ho indagato me stesso (Eraclito), conosci te stesso (Socrate), conosci te stesso e conoscerai il tuo Signore (detto sufico); partendo da te stesso avrai trovato la via per uscire da te stesso (Monoimo).
Esiste una realtà di noi stessi mascherata. Io non sono chi credo di essere, non posso identificarmi con le cose che compio, né con i ruoli che svolgo. E’ come se chiamassimo una persona anziché con il suo nome, con il nome del suo mestiere. Liberiamoci dalle false identità, non per fare, ma semplicemente essere.[15]
Scrive J. Moltmann che distingue l’uomo la qualità dell’essere. Il mondo è pieno delle possibilità di Dio: la realtà e gli uomini, nella mano di Colui la cui voce investe la storia: Ecco, Io faccio ogni cosa nuova. Nell’ascolto di questa promessa la persona acquista la libertà di rinnovare la vita di quaggiù, trasformandosi.[16]
Da una posizione osservatrice possiamo constatare che, uomini e donne si nasce ma persone si diventa, attraverso un percorso evolutivo, responsabili nella libertà del proprio divenire.
In uno scritto del III° sec. a.C, la Lettera di Aristea a Filocrate, evidenzia ciò che più conta per l’uomo: imparare ad apprendere attraverso la ricerca e l’esperienza dei fatti. Così si acquisisce una disposizione pura dell’anima, che sceglie le cose più belle, e la cui tendenza verso il bene più alto regola la vita. E aggiunge: confido che ascolterai ciò che mi propongo di raccontare te, che sei desideroso di apprendere quel che rende migliore l’anima.[17]
Sapienza dell’accorto è capire la sua via (Pr. 14,8).
La missione è qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare (Papa Francesco, Evangelii gaudium).
Insegnaci Signore a contare i nostri giorni e giungeremo al cuore della sapienza (Salmo 90).
Nella Sapienza c’è uno spirito sottile, penetrante, inoffensivo, amante del bene amico dell’uomo (Sap. 7,22).
Lo psicoanalista e maestro di meditazione Corrado Pensa, considera il silenzio, risultato di ricerche di laboratorio della mente, un percorso evolutivo che attribuisce valore al cammino interiore, assegnandoli posto privilegiato nella vita.[18]
Dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore (Mt. 6,21).
Lo stridore di una parola che tradisce la verità è così vista da C. M. Martini:[19] la parola umana è anche povera quando non sappia comunicare il senso delle cose che racchiude. Quante volte produce odio, menzogna, discordia. Nella sua povertà si rivela la povertà del nostro essere. C’è una pietra d’inciampo alle nostre parole ed è quella di Gesù: “profeticamente critica, posta come scure alla radice di ogni coscienza”.[20]
Mosè così invitava il suo popolo: “porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole. Ve le legherete alla mano come un segno, ve le terrete come un pendaglio tra gli occhi (Dt. 6,4).
Non è forse vero che le parole che diventano vita sono quelle discese nel cuore, nell’anima e vi hanno preso dimora? E’ nell’anima che avvengono le vere gestazioni.[21]
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La verità delle parole si misura nel silenzio, e, quanto siano autentiche, nate da un profondo processo di conoscenza. Se Dio è intimo a me più di me stesso – S.Agostino – questa dimensione conoscitiva è la via che conduce all’incontro con Lui. E l’interrogativo: Adamo dove sei, pare stimolo a collocarsi nel luogo che rende visibile Dio.
Secondo Rabbi Nahman, il desiderio di avvicinarsi a Lui illumina l’anima e permette al corpo di diventare tempio del divino.
Anni fa, scrivendo sulla violenza occulta femminile – una rivisitazione del Libro biblico di Giuditta –ricercavo quanto una identità negativa potesse essere cambiata da un percorso di conoscenza con la cura della parola. Nelle ultime pagine evidenziavo: l’ombra della persona che affiora nei racconti biblici, testimonia quanto sia presente e persista attraverso generazioni e chieda lettura attenta e strumenti nuovi.
In verità non c’è in questo mondo cosa purificante quanto la conoscenza (Il Canto del Beato, Bhagavadgītā).
E citando lo psicoanalista Napolitano: conoscere la propria anteriorità per quanto alienata, significa dare ad essa un senso personale, soggettivarla e poterne disporre come un tutto collegato con sé stessi. Conoscere, in questo senso l’ordine nel quale si è nati, non è più subirlo, ma assumerlo come propria determinatezza, di fronte alla propria aperta indeterminatezza.
Se il mondo dell’anteriorità è quella parte di sé che fonda la propria tradizione, questa si offre ad essere fecondata, trasformata ed anche sconvolta dall’aprirsi il cammino in essa dal Poros che ognuno è nella sua più assoluta singolarità. Con altre parole, lo psicoanalista Recalcati[22] ribadisce gli stessi concetti.
Conoscersi per recuperare il proprio fondamento, riconoscendo quanto siamo stati plasmati da altri: ripulire la vista e osservare come fu costruita la propria deformata identità. Non posso distinguermi dalle tracce dell’altro, esonerandomi dal vedere la mia sofferta verità. Questo il paradosso della vita di figlio: una vita distinta e con le impronte di chi lo ha preceduto.
Al figlio-persona spetta la responsabilità di soggettivarsi rispetto le sue origini, differenziandosi nella propria unicità.
Riscrivere in modo inedito, ciò che era stato scritto da altri. Gli eventi non sono dati una volta per tutte, ma ciò che è accaduto può essere risignificato.
Lo psicoanalista Bruno Bettelheim della Scuola di Francoforte, che migrò negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste, scrisse negli anni ’60 che il possesso di quelle libertà e di quelle comodità a lungo bramate, non danno senso né scopo alla vita; insoddisfatti e inquieti in mezzo a tanta ricchezza. Il problema centrale è quello di raggiungere la realizzazione di noi stessi, con i relativi cambiamenti da operare in sé. Il cuore e la ragione possono incontrarsi; il cuore coraggioso infonderà nella ragione il suo calore vitale e, la ragione perdendo la sua astratta simmetria annetterà l’amore e le pulsazioni della vita. Gli ostacoli da sconfiggere, ignoranza, stupidità e malvagità. Le macchine – ed ora potremmo aggiungere la dimensione virtuale – ci dominano riducendoci alla loro misura chiudendo e schiacciando l’individuo, l’identità dell’essere ad una sub-umanità.[23]
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La presenza dell’Infinito nell’animo umano, rende vivo lo spirito.
C’è la realtà di un Regno invisibile celato nella persona e solo la respirazione dell’Infinito nella finitudine umana dà senso alla vita.[24] Questo punto vitale può essere riconosciuto, o negato per servire altri dei. Una vita interiore profondamente ricca trova il suo senso anche nel passare degli anni.[25] L’anziano interiormente giovane spesso è dedito alla ricerca. Essa con R maiuscola, regala giovinezza, per continuare ad emanare luce sul cammino di lui e della sua identità.
Nella vecchiaia saranno vivi e vegeti e porteranno ancora frutto (Sal 91).
Conoscenza è anche interpretazione dei fatti e donazione di senso. Lo psicoanalista Recalcati individua nella Scrittura le radici della psicoanalisi.[26] Abramo è il prototipo di ogni padre che non ha capito la propria funzione; quindi, il vero sacrificio non è quello del figlio, bensì il sacrificio paterno.
Abramo e Sara sono chiamati a perdere il figlio in quanto possa diventare uomo, dono più grande gli si possa fare. Accompagnarlo nel “miracolo” della sua vita, del suo crescere, nella scoperta dell’identità, anziché appropriarsene. Una esperienza di donazione senza ritorno.
La parola ebraica che viene tradotta come sacrificio, significa legatura. Isacco è legato al destino di figlio ideale della promessa. Ma quanti genitori legano i figli al destino attribuito da loro stessi! Chi comprende che il figlio dia la “morte” al genitore? La morte di un rapporto proprietario, segnato dal “mio”. Morte simbolica operata attraverso il taglio della legatura, legame soffocante la vita del fanciullo e successivamente dell’uomo.
Dio vuole sospendere definitivamente ogni sacrificio. Legge della Parola trasformante il gesto impossibile dell’olocausto in quello di donazione.
Testimonianza di una legge che coincide con la libertà, il donarla all’altro, rinunciando al paradosso simbiotico. Una concezione nuova della paternità definita da un Dio Illuminante, nuova conoscenza che emana Luce.
L’amore senza separazione si ribalta nel contrario, poiché rende la vita chiusa e sacrificata.
È un amore che rinuncia al possesso e ad un rapporto non differenziato, a cui Abramo è chiamato a dare testimonianza. Ma è anche la funzione genitoriale scoperta dalla psicoanalisi.
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Scrive Recalcati: nessun sacrificio umano è compiuto, il coltello colpisce solo il montone, cioè quello che lui stesso Abramo è stato nel dominio sul figlio.
Ciò che evidenzia questo percorso che ho cercato di tratteggiare è quanto l’uomo possa costruirsi come essere in continuo sviluppo incontrando quei crocevia dello spirito che illuminano il suo volto, immagine del divino; altro un individuo sofferente consegnato alle false identità, smarrito in una esistenza rimasta senza significato.
Nel libro di Leloup sull’Esicasmo, di descrive la fisionomia del Pellegrino Russo come l’essere che prova tutte le emozioni e le esperienze che possono toccare una persona, nulla di ciò che è umano gli è estraneo, ma rimane un viandante. Che sia anche questa dimensione del viandante, di fondo profondamente religiosa, che l’uomo di oggi ha cancellato?
Il monaco contemporaneo Cyprian Consiglio[27] scrive che il monachesimo ha da offrire una cultura radicata in una tradizione sapienziale, ma tale cultura e stile di vita provengono da una dimensione contemplativa, avendo sperimentato che il Dio dell’Amore è al centro del proprio essere, egli si considera chiamato a vivere la Buona Novella in ogni sua azione.
Ma parlare e vivere del Mistero interiore, nascosto nella profondità del cuore, vale solo per un monaco o anche per chi, fra noi, si sente un cercatore di Dio?
Una vita alla ricerca del senso, penso possa essere accostata al primo tratto di strada verso Emmaus, quando Gesù accompagna i discepoli senza svelarsi, partecipe di amarezze e speranze deluse. Durante il cammino Lo riconosceranno, quando in grado di vederLo con gli occhi del cuore: “ed ecco si aprirono loro gli occhi e Lo riconobbero” (Lc. 24,31).
Come era stato predetto dal Profeta Isaia: “In quei giorni, liberati dall’oscurità e dalle tenebre gli occhi dei ciechi vedranno” (Is.29,16°).
Cambierò davanti a loro le tenebre in Luce. I sordi intenderanno le parole del Libro (Is.29,16b).
Nei tuoi giorni ricchezza salutare sarà la sapienza e il timore del Signore il tuo tesoro (Is.33,6).
[1] E. Bianchi, Raccontare l’amore, Rizzoli 2018.
[2] M. Buber, Il cammino dell’uomo, Ed.Qiqajon 1990.
[3] G. Bruni, Misericordia e compassione , Cittadella 2015.
[4] A. Verdi Vighetti, Giuditta e le altre, Pardes 2009.
[5] D. Napolitani, Narrazione e interpretazione, in Rivista it.di gruppo analisi (Aprile 1990).
[6] A. Mazzarella, Alla ricerca di Beatrice, Vivarium 1999.
[7] D. Napolitani, Rivista Antropoanalisi (2012).
[8] J .I. Leloup, L’Esicasmo, Gribaudi 1985.
[9] R. Schutz, Unità speranza di vita, Morcelliana 1962.
[10] L. Fallica, Riflessione eucaristia, EDB 2020.
[11] E. Bianchi, in Il Richiamo (luglio 2018).
[12] O. Cullmann, Cristologia del Nuovo Testamento, Il Mulino 1970.
[13] C. Chalier, Trattato delle lacrime, Queriniana 2004.
[14] B. Griffith, Matrimonio tra Oriente e Occidente, EDB 1983.
[15] C. Smith, La via del paradosso, San Paolo 1992.
[16] J .Moltmann, Teologia della Speranza, Queriniana 1970.
[17] Lettera di Aristea a Filocrate, BUR 2011.
[18] C. Pensa, Tranquilla passione, Ubaldini 1974.
[19] C. M. Martini, Parola alla Chiesa, parola alla città, EDB 2002.
[20] G. Bruni, Misericordia e compassione, Cittadella 2015.
[21] A. Casati, Le paure che ci abitano, Romena 2011.
[22] M. Recalcati, Il segreto del figlio, Feltrinelli 2017.
[23] B. Bettelheim, Il prezzo della vita, Bompiani 1976.
[24] C. Chalier, Trattato delle lacrime.
[25] E. Bianchi, La vita e i giorni, Il Mulino 2018.
[26] M. Recalcati, La legge della Parola, Einaudi 2022.
[27] C. Consiglio, Pregare nella grotta del cuore, Appunti di Viaggio 2018.
Articolo molto articolato e bene fatto, il quale, contiene tante informazioni utili a chi ricerca nei diversi sentieri, le regole comuni e congruenti al fine di individuare il proprio cammino. Non certo adatto agli “eruditi”. I contenuti, invece, come nell’intenzione dell’autrice, sono assolutamente indicativi e importanti per gli umili ricercatori di Verità.
Grazie Signora Annamaria Verdi Vighetti
La Maturità scientifica, una laurea, una specializzazione post laurea, un master, quarant’anni di letture sui più vari argomenti dello scibile non mi sono bastati a comprendere questo scritto.
Pazienza!
Mi chiedo se invece di fare sfoggio di vanità citando Tizio e Caio non bastava dire che per ritrovare se stessi basta mettersi davanti a Cristo e convertirsi? Era così difficile? Mi par di capire che l autrice dell’ articolo non abbia ben chiaro chi è lei. Con il massimo rispetto. Grazie Mauro Mazzoldi