Don Milani e i limiti come confini

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scuola

Vi è un paragrafo di tre pagine e tre righe che riassume, a parer mio, il messaggio del libro di Mario Campli e Alfonso Pascale Il mito don Milani e la democrazia (Informat Edizioni, pp. 135, euro 10). Titolo: “Il prete e la Chiesa: radicalismo evangelico versus visione di Chiesa come comunità?”. Don Lorenzo (1923-1967) accoglieva e sentiva sua l’idea e la pratica comunitaria della fede, senza tuttavia recepirla nella sua radicalità.

Prevaleva in lui una concezione, come dire?, pedagogica: la parola, per lui, fa eguali, ma in termini, direi, didascalici. Non la Parola come nocciolo del cristianesimo e della fede, bensì come strumento di comunicazione, volto magari a trasmettere la dottrina e la preghiera.

Spiegano gli autori: “Le grandi innovazioni conciliari: l’evento-Chiesa/Popolo di Dio e l’evento-Bibbia/Parola di Dio, non sono entrate nelle corde del suo ‘essere prete’. Se il suo grande cruccio, infatti, fu dare ai suoi ‘ultimi’ lo strumento della parola, la scriveva anche con la maiuscola, ma intendeva la parola-strumento: sia per ricevere la ‘dottrina’, sia per formulare il suo ‘credo’”.

Ed ecco una frase di don Milani che ne rende il pensiero al riguardo: “Fondamento della preghiera liturgica è il possesso della Dottrina. Fondamento della Dottrina è quel minimo di padronanza del linguaggio”. Dove i vocaboli possesso e Dottrina sono più che mai distanti dalla concezione della fede come ricerca e ascolto della Parola (e del silenzio) di Dio. Parole scritte nel 1958, certo; prima, dunque, del Concilio Vaticano II. Ma quel Concilio non avrebbe toccato nel profondo il prete della Scuola di Barbiana.

Si tratta dei limiti del suo pensiero e (delle sue pratiche); limiti, però, da intendere come confini. Chi non ne ha?

Ciò non vuol dire che non ci si possa ispirare a don Lorenzo Milani come a una figura luminosa. Egli, ecco il punto, non andrebbe tuttavia idealizzato come se fosse la quintessenza della sinistra contemporanea, magari accanto a John Kennedy (a cui lo accomunava tra l’altro l’I care, “me ne preoccupo, me ne faccio carico”, probabilmente ispirato, in realtà, dal pastore battista afroamericano Martin Luther King).

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