“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, così dice Tancredi nel pluricitato romanzo di Tomasi di Lampedusa: il suo dire si è trasformato quasi in un paradigma analitico per accompagnare processi storici recenti.
Oggi, osservando l’ultimo risultato elettorale italiano, l’invasione dell’Ucraina e – non vi sembri tanto strana questa aggiunta – la grave crisi della Chiesa cattolica, mi chiedo con insistenza se il proverbio del Gattopardo rimanga ancora valido.
Mi domando, insomma, se la crisi attuale è in funzione del mantenimento dello status quo, cioè, ancora un sotterfugio di chi vuol conservare il suo potere, ovvero se si tratti di qualcosa di profondamente diverso e destinato a provocare reali cambiamenti.
Per limiti evidenti della mia preparazione, mi trovo in difficoltà dinanzi all’attualità della guerra e della crisi. Mi viene in mente un’osservazione metodologica di Vilfredo Pareto che scriveva che, se l’economia è una disciplina che ha a che fare con la logica, la sociologia, al contrario, tenta di studiare comportamenti che non avrebbero nulla di razionale, perché gli esseri umani sarebbero dominati da emozioni e fedi ideologiche e non userebbero la ragione per cercare la verità, bensì per tradirla e deformarla.
È quello che sento, osservando la vittoria della destra nelle elezioni italiane. Non riesco a darmi delle spiegazioni accettabili e mi chiedo se la moltitudine, diventata improvvisamente consolidata maggioranza, legga la realtà come i politici, i giornalisti e gli intellettuali.
Il disagio della globalità
Posso dire però che le classi medie in decadenza covano da tempo sentimenti profondi di disagio verso il mondo globalizzato, verso il sistema che governa il mondo, e cercano perciò di identificare forze e poteri – e inventare colpevoli – per sottrarsi alle difficoltà economiche ed esistenziali.
Oggi è la destra a presentarsi artificiosamente come antisistema, raccogliendo consensi, mentre la sinistra perde terreno, giustamente, perché ha esaurito da tempo la sua energia anti-sistemica e si è adattata allo status quo.
Posso azzardarmi a pensare che anche l’invasione dell’Ucraina sia un’operazione militare e ideologica anti-sistemica. Infatti, la guerra non si caratterizza come evento regionale, ma è già mondiale nel momento in cui, volente o nolente, la Russia rompe con il progetto capitalistico fatto di finanza, tecnologia, alimenti, energia e materie prime circolanti senza confini e dogane, nel mercato globale.
Questa guerra sembra porsi radicalmente contro il progetto sistemico di interdipendenza, egemonico in questo ultimo quarto di secolo. Se non si incontrerà una soluzione diplomatica, ciò indurrà al ritorno alla logica degli imperi e delle identità etniche e nazionali. Mi pare proprio che, per il momento, il proverbio di Tancredi non riesca a definire questo passato che ritorna quale strategia di manutenzione dello status quo.
L’esigenza evangelica
Esiste però un’altra posizione anti-sistemica: questa sì assunta esplicitamente con radicalità etica e politica. Possiamo affermare infatti che papa Francesco sia il leader mondiale del confronto, nella lotta contro l’ingiustizia, la fame e la guerra, in difesa amorosa della vita – di ogni vita -, del clima, dell’ambiente.
Non è nuova questa posizione della Chiesa cattolica davanti agli esiti perniciosi della modernità e siamo obbligati purtroppo a ricordare la durezza disumana del Sillabo e del Concilio Vaticano I, che hanno condannato razionalismo e liberalismo: documenti che avrebbero dovuto essere un servizio alla verità rivelabile dei mali della modernità, ma che, invece l’hanno occultata con la prepotenza presuntuosa di chi si è considerato signore della verità, seduto tra i signori del mondo.
Infatti, Pio IX sembra aver dimenticato la Parola e la persona di Gesù, e, in contrapartita, si è ritrovato in compagnia – e alleanza esplicita – con le potenze reazionarie, aristocratiche e imperiali del tempo.
Anche in questo caso Tancredi non riesce a spiegare cosa succede. Francesco e settori significativi della Chiesa cattolica auspicano un reale e radicale cambiamento di prospettiva, di stili e di pratica evangelica, non la riproduzione riveduta e truccata del passato.
I limiti di questa posizione profetica si devono al potere di settori corposi del cattolicesimo, che scelgono la ripetizione sacrale della tradizione, contando, tornati al potere, di mantenersi da gattopardi promotori di riforme insignificanti, mimetizzandosi nell’ambito del supporto offerto dal pantano dei cosiddetti moderati. Per tutti questi, Tancredi ha la lettura appropriata, con una correzione: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna fingere che tutto cambi”.
Queste visionarie considerazioni ci dicono che bisogna prepararsi alla resistenza e alla lotta, con nuovi soggetti, nuove forze, nuovi stili e strategie, perché, citando ancora Vilfredo Pareto, sembra proprio che la classe operaia e i suoi successivi surrogati – il movement degli anni ’70 o, più recentemente, le moltitudini – non possano essere protagoniste collettive del cambiamento, mentre assisteremo, in breve, al realizzarsi egemonico, autoritario e omicida della ricostituita oligarchia mondiale, con matrici e filiali nazionali, che riunisce gattopardi e sciacalli in un unico progetto di morte.
Ce n’est qu’un debut continuons le cobat… mi sento trasportato ad un assemblea d’istituto di fine anni ’70/inizio ’80 o ad un collettivo no global anni 2000.
Auguri!
Magari… Almeno allora si provava a fare qualcosa… Oggi tutto tace.
Può tranquillamente trovare quel che cerca in un centro sociale o un collettivo anarchico. Li sembrano ancora “provare a far qualcosa”, almeno nel senso in cui credo lo intenda lei…