Si è tenuto a Roma, lunedì 29 gennaio, l’incontro: «È ancora tempo di guerre giuste? Per una Cultura della Pace», interessante ed impegnativo dialogo su temi attuali e scottanti tra il teologo Giuseppe Lorizio e il giornalista Marco Damilano.
Il ruolo dei media
L’intervistatrice, Giulia Rocchi (di Roma Sette), è subito entrata in medias res ponendo al conduttore de «Il cavallo e la torre» la domanda sul ruolo dei media nella narrazione della guerra: si tratta di strumenti che alimentano i conflitti o che aiutano a costruire la pace?
Damilano, prima di rispondere, ha introdotto la situazione contestuale: in questo primo quarto di millennio abbiamo visto il ritorno della guerra globale in cui si attua una separazione tra pace e giustizia, e per certi versi anche il ritorno delle «guerre giuste», o meglio di «guerre da spiegare» nel senso che in una «società mediatica anche le autocrazie più violente o le dittature più efferate, sentono il bisogno di giustificarsi di fronte a un’opinione pubblica grande come il mondo» che non può fare a meno di chiedere conto delle azioni conflittuali.
La questione mediatica diventa fondamentale perché i media, e la propaganda, sono un terreno a loro volta di conquista, quasi una guerra di parole. Qui si attua una seconda separazione tra pace e informazione/verità.
Damilano lamenta la mancanza di un certo giornalismo coraggioso che narrava la storia della guerra dalla parte delle vittime, con il rischio che certi giornalisti affrontavano di essere presenti giornalmente nel luogo di combattimento, quasi a condividere le sorti della povera gente. Oggi invece ci possiamo imbattere in un’informazione di convenienza, che mira a portare l’opinione pubblica a schierarsi da una parte o dall’altra del conflitto.
Si tratta di un «controllo mediatico del racconto delle guerre» importante per le strategie politiche e militari, che si attua proprio in maniera diretta quando la narrazione diventa posizionamento, anche secondo le considerazioni che fa Frédéric Gros nel suo libro Perché la guerra?
La conseguente e ultima separazione che Damilano rileva è quella tra pace e democrazia, per cui negli ultimi anni il restringersi della pace e l’allargamento dei conflitti è proporzionale ad un restringimento della democrazia sia perché ci sono paesi che sono passati da una situazione democratica ad una apparentemente democratica o anche a una non più democratica, e anche perché all’interno di quei paesi dove formalmente la democrazia continua ad essere rispettata purtroppo si sono inserite modalità di pensiero tipiche del contesto di guerra di cui, un esempio su tutti, è la logica di vedere gli altri stati come una serie di amici o nemici rispetto alle proprie guerre, piuttosto che pensare ad una seria ed elaborata politica internazionale che contribuisca a spegnere piuttosto che alimentare i conflitti.
In tutto questo il pericolo che i media, per la loro potenza social, possano essere strumentalizzati attraversato propaganda di parole e immagini è reale, e a farne le spese potrebbe essere appunto la democrazia, che difficilmente discerne la complessità dei problemi internazionali se non con una corretta informazione.
La dottrina della «guerra giusta»
Al teologo Lorizio è stato chiesto se sia necessario un cambiamento nella dottrina cattolica sulla guerra, e se dunque sia ancora possibile sostenere il concetto di «guerra giusta». Egli nella risposta ha argomentato ricordando, contro certe provocazioni tradizionaliste, in cui si incentra l’essere cattolico sul «mantenere inalterata la dottrina», che il cristiano è chiamato a vivere un rapporto più profondo di un mero «assenso nozionale» a verità concettualizzate.
La dottrina oltretutto può, e per certi versi deve, cambiare ma non nella prospettiva di tradire ciò che la Rivelazione ci consegna e la Tradizione custodisce, piuttosto per mostrarne la potenza disarmante attraverso quello che John Henry Newman chiamava opportunamente sviluppo omogeneo.
Nel caso concerto, il sintagma «guerra giusta» si scontra profondamente con la Rivelazione del Dio Unitrino che abita umilmente nella storia facendosi uomo. In particolare il teologo, ricordando rapide espressioni della Scrittura, «A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra», «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» e ancora «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada di spada periranno», mostra l’incompatibilità del Vangelo con un atteggiamento conflittuale e armato.
Di più, se il vangelo non fosse sufficiente, la sua «secolarizzazione», o meglio il suo influsso nella storia, attraverso la filosofia e la politica, porta il divieto della guerra anche negli imperativi etici, per cui la persona non può essere mai mezzo ma soltanto fine. Un esempio fra tutti quello di Immanuel Kant. Per il pensatore tedesco le persone non possono mai essere trattate come mezzi, ma sempre e solo come fini. I militari, invece, come altre figure dell’apparato, sono meri mezzi, al pari delle armi.
Oltre la logica binaria della guerra
Riprendendo la necessità di un posizionamento, messa in gioco da Damilano, Lorizio vede la problematicità della neutralità, che piuttosto che definire come un pacifismo pratico perché non si abbracciano le armi, occorre chiedersi se non sia l’analogo del lavarsi le mani di Ponzio Pilato che non voleva noie nel suo esercizio del potere, e lascia la scomodità del giudizio del Nazareno al sinedrio e infine alla folla.
Insomma «se si è neutrali si è comunque complici» ed essere per la pace non può essere pensato come un atteggiamento passivo. Un vero pensiero di pace non può non prendere in seria considerazione le vicissitudini delle parti che vengono allo scontro.
In riferimento a ciò, per il teologo pugliese l’Europa sta perdendo una grande occasione di essere mediatrice nei conflitti attuali, e vede piuttosto la Chiesa cattolica, oggi con papa Francesco attraverso l’impegno dei cardinali Pizzaballa e Zuppi, rimasta insieme a pochi a portare l’ideale della pace, senza se e senza ma, e senza altre condizioni o interessi.
E se questo è il posizionamento che il teologo crede profondamente giusto per la Chiesa, ne propone una lettura anche rifacendosi al pensiero di Norberto Bobbio, in particolare espresso nel libro Lezioni sulla guerra e sulla pace (1964), in cui il problema nell’età atomica non è più quello di giustificare o condannare la guerra, quanto quello di impedirla, perché se la guerra diventa distruttrice della civiltà e della vita, essa si presenta come un male assoluto, non giustificabile da alcun bene che possa conseguirne.
Bobbio ricorda un concetto antico per cui la prima vittima della guerra è la stessa verità che viene menomata o storpiata, in particolare attraverso la costrizione verso uno schieramento armato per una parte in conflitto a sfavore delle altre.
Ciò che viene messo in chiaro dal pensatore torinese è il problema della mancanza del terzo: la guerra si chiude nella sua logica binaria che vorrebbe costringere gli altri a porsi pro o contro qualcuno o qualcosa, in un pericoloso bianco e nero che restringe la scelta e le possibilità di chi ancora non è in conflitto. E la posizione del Terzo, che oggi viene fatta propria dalla Chiesa non è affatto di neutralità o equidistanza, ma di fattiva cooperazione per il raggiungimento non di una tregua armata, ma della pace vera.
La guerra è sempre peccato
Su questo sfondo possiamo andare oltre la «guerra giusta» adottando un pacifismo giuridico, che si avvalga dei criteri del diritto, nella consapevolezza che non può esservi diritto alla guerra perché nessun diritto può fondarsi sulla scelta della morte, e al contrario, positivamente, il diritto alla vita di ciascuno implica anche il diritto alla pace.
Il teologo ha riproposto all’assemblea presente l’esempio di un cambiamento, o meglio di un avanzamento della dottrina, occorso nel catechismo della Chiesa cattolica al numero 2267, ribadito nel 2018 da papa Francesco. In esso seppur si prende atto che «per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune», si procede a una comprensione maggiore della realtà umana dicendo che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», tanto che la Chiesa si «impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».
Il teologo ha proposto che, come si è avuto il coraggio di dire con chiarezza che la pena di morte è peccato, così dobbiamo avere la forza di dire che anche la guerra è sempre peccato.
Il confronto fra i relatori è stato seguito da un vivace dibattito col pubblico presente, durante il quale Lorizio ha ricordato l’intervista rilasciata da papa Francesco al quotidiano La Stampa, dove il vescovo di Roma esclude il sintagma «guerra giusta» per parlare di «legittima difesa», la quale proprio in un orizzonte giuridico dovrà osservare la legge della proporzionalità. Posizione molto difficile, basti pensare agli inizi giusti della guerra contro il nazifascismo, sfociata nell’atroce utilizzo dell’atomica sul Giappone.
La Galleria Dei Miracoli, sede dell’incontro romano, ospitava nel contempo opere pittoriche molto suggestive sulla tematica affrontata, grazie agli stimoli creativi di padre Ercole Ceriani, rettore della Chiesa, particolarmente impegnato nella promozione dell’arte. L’attrice Isabel Russinova, quasi a scandire i momenti della riflessione, ha offerto suggestive letture e recitazioni di testi inerenti al tema della guerra, che hanno affrontato il dolore umano anche dal punto di vista emozionale.
L’incontro è stato trasmesso in streaming e la registrazione è disponibile a questo indirizzo
Vorrei fare una piccola annotazione sul povero Ponzio Pilato. Penso che sè fosse stato x lui la scelta sarebbe stata diversa. Ma questa triste scelta è il risultato di un ricatto dei detentori del potere religioso che avevano ventilato la loro intenzione di rivolgersi all’imperatore se questi non assecondava le loro richieste di morte. Riguardo alla domanda dell’argomento penso corrisponda a buon senso difendersi quando si viene aggrediti e quando è uno stato ad essere aggredito diventa necessario e giusto rispondere con una guerra, mi sembra un concetto ovvio quanto giusto ed universale, ed infine penso che non esiste il peccato quando si è costretti ad una guerra x autodifesa e aggiungo x salvaguardare la propria sopravvivenza.