Complessità e contaminazione fra i saperi, limite e apertura, relazione e libertà: tra queste – e molte altre – dimensioni si è dipanato il pensiero generato dal tema “Eternità fra spazio e tempo: dalla coscienza al cosmo” nel convegno promosso dall’Università di Padova – Master in death studies and the end of life con la collaborazione anche della nostra Facoltà.
Tre giorni densi di interventi e dibattiti sul tema dell’eternità, sfaccettata nelle diverse letture della fisica, della filosofia, della psicologia, della teologia: è stata una preziosa occasione di contaminazione fra i saperi il convegno internazionale “Eternità tra spazio e tempo: dalla coscienza al cosmo”, svoltosi dal 19 al 21 maggio 2022 a Padova, organizzato dall’Università – Master in death studies and the end of life, diretto da Ines Testoni.
La Facoltà teologica del Triveneto ha collaborato con l’apporto del preside, Andrea Toniolo, nella direzione scientifica – assieme a Ines Testoni e a Fabio Scardigli – e curando, in particolare, la terza giornata dei lavori.
L’eternità è un tempo anacronistico
“Eternità e tempo tra filosofia e teologia” e “L’annuncio divino dell’eternità” sono le due sezioni in cui si è articolato l’approfondimento del 21 maggio, che ha visto il contributo di sei voci di teologi e filosofi.
«La Bibbia sviluppa un concetto alternativo di tempo, che è già evidente nel primo racconto della creazione. Il settimo giorno, che nel cristianesimo è esteso all’ottavo, non fa parte del tempo cronologico, ma è l’aggiunta festiva che trascende il tempo ed esprime il suo scopo festivo» ha esordito Kurt Appel (Università di Vienna).
Nel suo intervento, con escursioni nella monadologia di Leibniz e nella dialettica hegeliana, ha mostrato che una concezione cronologica del tempo è riduzionista e che il senso festivo del tempo è legato al tempo dell’Altro, che trova voce nel testo biblico. «L’Eternità – ha concluso – è la Voce dell’Altro che ci chiama. Non è un tempo che può essere rappresentato, ma un tempo tra i tempi che si dà sempre di nuovo nell’apertura all’Altro, un tempo anacronistico a cui corrisponde l’apertura infinita».
Kierkegaard, Heidegger e Ricoeur sono stati i riferimenti di Roberto Tommasi (Facoltà teologica del Triveneto), che ha posto alcuni segnavia nella relazione di tempo ed eterno, una problematica assai complessa e decisiva che attraversa la storia del pensiero occidentale.
Il percorso delineato ha portato all’aporetica del tempo, dove il pensiero sperimenta quell’incessante inquietudine in cui soltanto esso pensa. «L’oscillazione tra concezione esistenziale e cosmologica del tempo, che emerge dal confrontarsi e talvolta confondersi di elementi filosofici, teologici, scientifici e narrativi, ne manifesta il carattere aporetico che introduce il pensiero ad alcune categorie dell’eterno. Queste – ha concluso Tommasi – se, da un lato, manifestano complessità e ambivalenza, dall’altro, alimentano la vitale inquietudine che caratterizza costantemente il volgersi rinnovantesi del pensiero alla questione del tempo e dell’eterno».
Attraverso la metafisica classica di Platone e di Aristotele e passando per la critica di Bergson e di Severino alla concezione greca del tempo riferita all’Eterno, Leonardo Messinese (Pontificia Università Lateranense) ha proposto la tesi secondo cui l’Eterno, l’essere immutabile, costituisce il senso originario del tempo e, analogamente, della storia.
«Il pensiero metafisico – ha osservato – conserva il suo valore anche in riferimento alla teologia rivelata, che conferisce alla metafisica un contenuto che, nell’orizzonte del sapere razionale, non può costitutivamente apparire, ma è solo possibile agli occhi della ragione. La metafisica, in quanto opera della ragione che è comune a tutti gli umani, conferisce alla teologia rivelata il terreno più prossimo sul quale disporsi per dialogare con le altre forme del sapere, a partire dal sapere scientifico, e nel quale articolare la propria specifica configurazione del rapporto tra il tempo e l’Eterno».
Il tempo rivela o nega l’eterno?
Giuseppe Barzaghi (Scuola di anagogia – Studio filosofico domenicano) ha sviluppato il tema “Mistero-Disegno eterno: la simultaneità dell’ispezione”. «Lo sguardo eterno di Dio è immutabile come l’istantaneità – ha affermato –.
Conoscendo la propria essenza, Dio conosce tutte le realizzazioni similitudinarie della sua essenza, da sempre e per sempre, che si chiamano creature: Dio dice tutta ma non totalmente la sua essenza in ciascuna sua determinazione. La creaturalità, quindi, contiene in sé tutto Dio ma non totalmente». Il nunc, adesso, lo chiamiamo tempo ma è anche un assaggio di eternità: «abitando il tempo, abbiamo un’ispezione dell’eterno».
Sulla domanda se il tempo sia rivelazione o negazione dell’eterno si è interrogato Andrea Toniolo (Facoltà teologica del Triveneto), a partire dalla metafora della “morte di Dio” ripresa dal teologo evangelico protestante E. Jungel, che ha segnato il pensiero moderno, e dall’espressione del “venerdì santo speculativo” coniata da Hegel.
«La morte, proprio perché è diventata morte di Dio, viene ricompresa, rideterminata, non perché viene lasciata alle spalle ma perché rimane l’evento della vita – ha spiegato –. La morte non è più estranea o estraniante; è un confine (Grenze) che limita ma pone anche in relazione, in comunicazione: è la fine di un tempo e di uno spazio di vita, ma non la fine di tempo e spazio».
Il fatto che l’essere umano sia costituito dalla relazione è l’eterna limitazione, senza la quale l’uomo non sarebbe più umano. Tempo e spazio sono la condizione del suo esistere, della sua storia, del suo progresso. «Questa storia mondana – ha concluso – è la “parabola silenziosa dell’eternità”, dove avviene l’unità inscindibile e indistinguibile tra tempo e spazio».
Una lettura di tempo e di eternità nella loro relazione entro il contesto del pensiero dialogico è stata proposta da Leopoldo Sandonà (Facoltà teologica del Triveneto). Un viaggio a cavallo del mondo ebraico e cristiano, del pensiero filosofico e teologico, che si è soffermato sul pensiero cristiano di Romano Guardini (1885-1968) e su quello ebraico di Franz Rosenzweig (1886-1929).
«In entrambi i casi, pur con differenti accenti, l’eternità è apertura nelle relazioni (divine e umane), è spazio aperto che non è riducibile al tempo ma non è indifferente o alternativo al tempo», ha sottolineato Sandonà che, infine, ha richiamato alcune analogie con il pensatore giapponese Nishida Kitaro (1870-1945).
Convengo interessante! Lo spazio e il tempo non sono solo coordinate di cui si occupano le cosiddette scienze esatte (che poi così esatte, come si vuol far credere, non sono), ma anche, come sostiene giustamente Merleau-Ponty in un suo celebre testo, un esistenziale. La cosa a mio avviso interessante – e trovo sotto questo aspetto correttissima l’osservazione del prof. Appel riportata in questo articoletto – è che ci sono dei fenomeni umani che è come se facessero “esplodere” o “implodere”, a seconda del punto di vista adottato, lo spazio e il tempo. Uno di questi fenomeni, di cui mi sono occupato, è proprio il fenomeno ludico che ha un “suo” tempo e un “suo” spazio, simbolo di festa per eccellenza e, per questo hanno detto Hugo Rahner, Klaus Hemmerle, J. Moltmann, presagio di eternità.