Salvare la Fraternità – Insieme, l’Appello di dieci teologhe e teologi (qui), sotto l’egida di mons. Vincenzo Paglia e don Pierangelo Sequeri, è un modo di «esserci nel proprio tempo». Ovvero è un modo per dire che «la fratellanza è esperienza di incontro e apertura, mentre il mondo è fatto di muri, porti chiusi, filo spinato, pulsione a chiudersi di fronte all’altro».
Le citazioni sono, rispettivamente, della filosofa Laura Boella e dello psicanalista Massimo Recalcati. Il Primo ottobre, coordinati dalla teologa Isabella Guanzini, hanno partecipato ad un dibattito pubblico (Roma, sede del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, in Laterano) in cui di fronte a 35 persone in presenza (massimo della capienza per le norme sanitarie) e oltre 260 collegati, si è discusso delle implicazioni dell’appello stesso (per rivedere il dibattito: qui).
Introducendo i lavori, mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha sottolineato che con questo appuntamento si apre il dialogo con i «Saggi» cioè con gli intellettuali del nostro tempo.
L’appello chiede loro un supplemento di dialogo, perché la fraternità, sotto la spinta dell’enciclica di papa Francesco, diventi la cifra del nostro tempo, la realizzazione di quella «promessa mancata» dell’Illuminismo. E soprattutto diventi la cifra di un nuovo «umanismo», per «ritrovare l’umano comune».
E Massimo Recalcati ha posto al centro del suo intervento proprio il tema dell’umanismo. L’umanismo, ha sottolineato Recalcati, va nella direzione contraria dell’antropocentrismo dominante anzi della «follia antropocentrica» che divinizza la libertà individuale, il culto dell’economia e del denaro, lo sfruttamento indiscriminato di persone e risorse.
Perché le persone «sono nomi, non numeri». E come sottolinea Lacan – ha detto – «l’amore è sempre amore per il nome; non è amore per un generico e indiscriminato concetto di ‘vita’ ma è amore per quel nome concreto».
Laura Boella nel suo intervento è partita dal «fallimento» degli intellettuali del Novecento la «trappola» in ci sono caduti in molti era di non essere pensatori liberi davvero. Erano «pensatori dell’appartenenza politica, partitica, ideologica. Erano in sintonia con un partito o un’ideologia, non intellettuali in se stessi». Non così le donne del Novecento, da Hanna Arendt a Edith Stein a Simone Veil, che hanno invece interpretato in senso pieno un modo di «essere nel proprio tempo» senza allinearsi al «mainstream dell’epoca».
«Hanno interpretato pienamente un impegno di presenza attiva. Un intellettuale aiuta a pensare se esprime l’idea che quanto accade fuori di me non mi schiaccia e non mi lascia indifferente, riuscendo a trovare spazi di pensiero e azione». In questo modo le intellettuali hanno interpretato quell’ideale di «esserci nel mio tempo» e di «prezenza» in positivo, come si esprime nelle opere di Jeanne Hersch (1910-2000), filosofa di origine ebreo-polacca, che ha riflettuto a lungo sul tema della libertà e dei diritti umani, docente negli USA e per un trentennio a Ginevra.
Recalcati ha ribadito l’importanza di una prospettiva psicanalitica, interiore, nell’approccio al tema della fraternità. «L’odio è più antico dell’amore perché lo straniero è il mondo, fonte di perturbazioni, e ci fa entrare in un atteggiamento di difesa. L’altro è il ‘non-tutto’, il ‘non-me’, e l’incontro è difficile, la fratellanza è difficile come fa vedere la Bibbia, dove il rapporto con i fratelli è sempre conflittuale, divisivo».
L’istituzione
Ma come rendere credibile l’Appello? Ponendo la domanda, Recalcati ha sottolineato che la risposta deve andare nella direzione della «testimonianza»: nel periodo del lockdown abbiamo sperimentato la fratellanza, superando l’io, superando la «io-crazia». Ma attenti, ha aggiunto subito dopo, perché «uno dei nomi della fratellanza è l’istituzione.
Il pregiudizio populistico dice che le istituzioni sono nemiche o antagoniste della vita. Invece le istituzioni rendono possibile la vita insieme. E la fratellanza è un’esperienza importante: i fratelli ci ricordano che non ci siamo solo noi nel mondo». Un tema su cui si è detta d’accordo Laura Boella: sarà importante ripensare le modalità della nostra relazione con gli altri, per lavorare sull’empatia, sulla solidarietà, sulla fratellanza.
In filigrana dietro l’appuntamento del 1° ottobre sono emersi così i temi del vivere insieme nell’epoca del Covid19 e dei nuovi compiti della teologia, per prendere sul serio Fratelli tutti.