Il modello: nell’arte e nella vita

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 Modello ligneo del Duomo di Vigevano.

Modello ligneo del Duomo di Vigevano.

È stato emozionante rivedere un manufatto artistico studiato nei miei anni universitari e oggi conservato in un piccolo e curato museo di arte sacra. Si tratta del modello ligneo del Duomo di Vigevano[1], risalente agli anni in cui il duca di Milano, Francesco II Sforza (figlio di Ludovico il Moro) ottenne il diploma di erezione di Vigevano a città con sede vescovile (16 marzo 1530).

Il modello, su cui lavorò l’ingegnere Antonio Da Lonate fino alla morte del duca (1 novembre 1535), è stato a lungo in mostra nella stessa cattedrale, sita nella splendida piazza bramantesca dalla quale si accede anche al Palazzo Ducale. Solo una segnalazione – per ora – del Museo del Tesoro del Duomo vigevanese di cui certamente diremo in occasione di una prossima mostra[2].

Desidero invece fermarmi su questo modellino, raro esempio di lavoro architettonico rinascimentale e soprattutto occasione per ripensare al suo valore anche dal punto di vista simbolico. Il mondo dell’arte nella sua variegata ricchezza non si limita a raffinare la nostra sensibilità. Sa infatti offrire segni, immagini e metafore utili per dar senso a percorsi e gesti esistenziali. Ci sembra che l’”idea di modello” si presti a tale scopo con particolare ricchezza.

Un importante progetto di Palazzo Grassi risalente agli anni ’90 valorizzò i modelli architettonici con due mostre allestite prima a Venezia e poi a Stupinigi [3].  Venne aggiornato lo studio di opere lignee, purtroppo in gran parte disperse, ma che – insieme ai disegni – costituirono gli strumenti di lavoro degli artisti e maestranze nei cantieri edilizi di importanti monumenti di età moderna.

Furono riferimenti centrali nel lavoro comune e vennero per lo più eseguiti da “magistri a lignamine” e, a volte, dagli stessi architetti e ingegneri delle fabbriche. Li vediamo rappresentati in pale d’altare e affreschi tra le mani del committente o di chi intendeva donare un monumento a personalità importanti del mondo religioso e civile. Piace ammirarli in un’opera dell’artista Bernardino Barbatelli detto il Poccetti (1542-1612) che ritrae il lavoro di fabbricieri del tempo.

Bernardino Barbatelli detto il Poccetti, L’architetto (Firenze – Uffizi)).

Bernardino Barbatelli detto il Poccetti, L’architetto (Firenze – Uffizi).

L’architetto e studioso Massimo Scolari[4], soffermandosi sulle origini e la storia di questo strumento architettonico, raccoglie le voci di importanti maestri del primo Rinascimento, periodo in cui il modello acquistò un carattere nuovo e del tutto inedito. Le idee di Brunelleschi, Alberti e Filarete definirono precisamente tale novità e il dibattito architettonico vide in tensione due concezioni: quella di matrice antica (vitruviana) che privilegiava l’ideazione ai prodotti materiali di semplice manualità e quella, più attuale, che non disdegnava le piccole architetture lignee utili, pur nella loro incertezza compositiva e nella distribuzione di volumi, a costruire in grande.

In questa dialettica, ci è sembrato interessante il parere del Filarete, architetto di cui la potente famiglia milanese degli Sforza fu importante committente. Egli paragonò il processo dell’edificare a quello della gestazione e così scriveva: “come proprio la donna che nove o sette mesi lo porta in corpo (…)  così l’architetto debba nove o sette mesi fantasticare e pensare e rivoltarselo [l’edificio] per la memoria in più modi pensato”.

E dopo tale tempo, sceglierà la migliore soluzione e farà “un disegno piccolo rilevato di legname, misurato e proporzionato come ha da essere fatto poi” [5]. Quindi, per il Filarete, il modello viene eseguito dopo una lunga elaborazione nella mente dell’artista il quale, solo in seguito, appronterà fantasiosi prospetti e sezioni. Viene a galla l’idea di un’originale interazione tra lo strumento di lavoro – materiale, statico – e i processi ideativi che nascono prendendo spunto dal modello stesso. Non viene svalutato il paradigma (paradigmata erano chiamati i modelli greci solitamente in cera o legno) a cui ispirare il proprio percorso creativo ma tale guida si presta ad essere discussa e revisionata cammin facendo, perdendo così la propria rigidità e prestandosi a rimodulazioni.

***

Stimolati dall’analisi storico architettonica e dal fascino di questi manufatti, il pensiero corre a figure e comportamenti che si impongono a noi fin da piccoli e che spesso ci sentiamo costretti a imitare. Sono tracce importanti ma che sembrano assomigliare alle sostanze perfette abitanti l’Iperuranio platonico. Una nutrita serie di teologi ha descritto Cristo come modello di vita, figura perfetta da imitare.

Ma in tal modo la nostra soggettività rischia smarrimenti di fronte a immagini che a tal punto la sovrastano. Come “bambini dotati” – di cui parla la psicoanalista Alice Miller[6] – patiamo quando ci è chiesto di imitare figure che “i grandi” ritengono superiori. E con sofferenza cogliamo eccessive sproporzioni tra ciò che avvertiamo infinitamente grande e il “noi” infinitamente piccolo.

Ha cura di noi, invece, chi riconosce le nostre fragilità e ci “addomestica” creando legami, come insegna la volpe al Piccolo Principe[7]. Sono legami che proprio Gesù ha instaurato con persone diverse, tra le quali alcune donne “irregolari” (l’emorroissa, la Samaritana, la pubblica peccatrice…) incontrate nel suo percorso e a cui egli si rivolgeva con attenzione, nonostante l’ira dei “benpensanti”.

Altri ancora “addomesticano” gli stessi modelli, ovvero li rendono di casa, facendoli propri. L’architetto Filarete li realizzava dopo averli a lungo incubati, pronti per essere da riplasmati e rivisti alla luce di successive idee progettuali. Un percorso altamente creativo non prevedibile a priori ma continuamente sorprendente e – nel caso delle sue opere di età sforzesca – degno ancora oggi di ammirazione.

Non so che cosa pensasse l’ingegnere Antonio da Lonate, anch’egli al soldo degli Sforza, quando lavorò sul modello ligneo per l’edificazione del duomo di Vigevano. Per me fu affascinante studiare uno strumento di lavoro che riprende la lezione bramantesca e che oggi è possibile ammirare insieme ad altri manufatti di età sforzesca in un piccolo scrigno aperto a tutti.  Mi piace pensare magistro Antonio alle prese con la rappresentazione di un’idea architettonica da rivedere e costruire insieme ad altri e per altri. Lo immagino accanto a una miniatura realizzata con legni di scarto[8], materiale povero ma utile per addomesticare e far proprio il progetto di una casa di preghiera ancora oggi aperta al culto, e in parte corrispondente a quell’affascinante modellino.


[1] Antonella Cattaneo Cattorini, “Antonio da Lonate e il modellino ligneo del duomo di Vigevano” in Arte Lombarda. (Bramante a Milano. Atti del Congresso internazionale promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore 3-7 giugno 1986) /1988/3-4 pagg.160-165. Su Antonio da Lonate, ingegnere attivo in Lombardia tra il 1480 e la prima metà del ‘500 segnaliamo Franco Bertolli, L’ingignero Antonio da Lonate, Lonate Pozzolo 2003.

[2]  https://mtdvigevano.it/. Sorto nel 1986, il Museo del Tesoro del Duomo di Vigevano è stato ristrutturato e ampliato rispetto all’assetto precedente grazie all’intervento dell’attuale vescovo Maurizio Gervasoni. Il nuovo Museo stato inaugurato l’11 maggio 2019. In tale sede, il prossimo 5 ottobre 2024, sarà inaugurata la mostra “L’Altare di Stefano de’ Fedeli e i fondi oro di Rosasco”. Ringraziamo la conservatrice, dottoressa Nicoletta Sanna, per averci guidato nella recente visita.

[3] Rinascimento. Da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, Venezia 1994-5 (catalogo Bompiani, Milano 1994). Trionfi del Barocco. Architettura in Europa1600-1750, Torino 1999 (catalogo Bompiani, Milano 1999).

[4]Massimo Scolari. “L’idea di modello”, Eidos, II pagg. 16-39.

[5] Antonio Averlino (detto il Filarete), Trattato di Architettura, a cura di A.M. Finoli e L. Grassi,Milano 1971, Libro II pag. 40.

[6] Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricercadel vero sè, Bollati Boringheri, Milano 1996.

[7] Dopo una piccola riflessione, il piccolo principe chiede alla volpe: “Che cosa vuol dire addomesticare?” e la volpe risponde ancora: “È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami. Se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altra. Tu sarai per me l’unico al mondo, e io sarò per te l’unica al mondo”. Antoine de Saint-Exupery, Il Piccolo principe, Bompiani Milano 1989, pagg.91-92).

[8] Chi restaurò il modellino nel 2017, affermò che l’opera venne realizzata con legni diversi e non particolarmente pregiati.

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