Abbiamo dovuto assistere al riesplodere di aggressivi egoismi nazionali, alla moda di quanto non avveniva dall’Ottocento, dai secoli scorsi: un retrocedere della storia e della civiltà che mai avremmo immaginato possibile in questo inizio di millennio. Discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Trieste.
Desidero ringraziare il Magnifico Rettore per l’invito cortesemente reiterato per essere presente in questa occasione. Rivolgo un saluto di grande cordialità al Ministro dell’Agricoltura, al Presidente della Regione, al Sindaco, a tutti i presenti, ai Rettori di altri Atenei e di Accademie di Ricerca presenti. Un saluto particolare al Corpo docente dell’Ateneo, al personale tecnico-amministrativo, alle studentesse e agli studenti di questa Università.
Il ringraziamento al Rettore comprende anche quello per la sua relazione sullo stato dell’Ateneo che ha fatto ben comprendere il motivo dei riconoscimenti che l’Ateneo ha ottenuto per la sua attività didattica e di ricerca, con i suoi dipartimenti, con quanto abbiamo ascoltato sull’ampliamento dell’offerta di formazione e di insegnamento programmata e in preparazione.
Interessante e significativo è il dato che il Rettore ha ricordato di aumento del numero dei laureati pur in una stagione così difficile come quella che abbiamo attraversato, e dell’accrescimento del livello medio dei voti di laurea, che esprime il senso di responsabilità di una risposta alle difficoltà della pandemia e della condizione generale da parte dei nostri giovani.
È anche importante apprendere che in questo Ateneo vi sono numerosi studenti ucraini, bene accolti da questa Università e a cui va il pensiero particolarmente intenso, in questo periodo, in queste settimane.
Il Rettore ha ben indicato lo stato d’animo che a Trieste si esprime rispetto a quanto avviene in quel Paese così amico, per la drammatica condizione che sta attraversando.
Trieste è territorio di frontiera – appunto – che ha attraversato nel passato momenti travagliati e difficili, che si è riusciti a trasformare, in forme concrete, attive, positive, di condivisione e collaborazione: avverte con particolare intensità la gravità di quanto sta avvenendo.
Anche per questo è di grande significato quel che il Rettore ha poc’anzi rammentato, e che ha rammentato anche il Sindaco: il momento che abbiamo vissuto questa mattina in Prefettura – presenti il Presidente della Regione e il Sindaco – con il trasferimento del Narodni Dom alla Fondazione che ne porta il nome.
Anche oggi Trieste, anche in questi avvenimenti, rappresenta un esempio per l’Europa; per il suo destino indiscutibilmente legato alla pace, all’integrazione, alla collaborazione.
L’Italia, l’intera Europa – l’Unione europea particolarmente – l’Europa che il Sindaco ha poc’anzi indicato come terra di pace, hanno da affrontare tre gravi emergenze: quella sanitaria, della sconfitta definitiva, non ancora conseguita, della pandemia; quella della ripresa economica, nell’ambito del piano europeo del Next Generation, con i piani nazionali di ripresa, per l’Italia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, opportunamente richiamato poc’anzi dal Presidente Fedriga.
A queste due emergenze, piene di difficoltà, impegnative, si è aggiunta inattesa, perché imprevedibile, quella provocata dalla guerra di aggressione del governo della Russia all’Ucraina.
La nuova emergenza – la terza emergenza – è quella di recuperare la pace, la sicurezza e il pieno rispetto delle regole del diritto internazionale.
Negli interventi di questa mattina vi sono stati alcuni elementi comuni, che vorrei richiamare, che si legano intorno a valori condivisi e comuni, a partire dall’impianto della relazione del Rettore.
La dottoressa Gasbarro ha esortato a non perdere la speranza. Il dottor Formisano ha indicato tre punti che vorrei richiamare. Li cito in maniera imprecisa: la crescita della persona, il superamento, l’eliminazione, la rimozione della precarietà, e la conoscenza.
La professoressa Marceglia, che ringrazio molto per l’interessante – davvero interessante – prolusione su un tema che ha definito bene ‘trasversale’ perché riguarda ogni ambito del sapere e della vita, ci ha ricordato, in conclusione, che il dato è umano, perché i dati servono alla condizione umana, al suo miglioramento; e ci ha ricordato l’importanza basilare della condivisione dei dati e delle conoscenze.
Il corso della pandemia, pur con le gravi difficoltà che questa ha provocato nella vita, in tutto il mondo, in ciascuno di noi, ha però presentato una diffusa manifestazione di solidarietà, dalle cose della vita quotidiana, da quelle apparentemente più semplici, ma sempre impegnative, della vita quotidiana, ai grandi sforzi complessivi di carattere scientifico.
Questa solidarietà ha consentito di registrare una veloce definizione e produzione di vaccini, il cui valore apprezziamo sempre di più, particolarmente in queste settimane in cui aumenta la diffusione del contagio, ma senza conseguenze gravi per la pressoché totalità di coloro che sono vaccinati.
Questo risultato è stato possibile per la grande collaborazione internazionale nella comunità scientifica. Quel mettere insieme dati, conoscenze, risultati, avanzamenti di ricerca che, al di là dei confini degli Stati, e superandoli, ha consentito questo sforzo di grande successo della comunità scientifica internazionale.
E questo è un risultato significativo, di grande rilievo che, per la verità, si sperava fosse seguito anche a livello politico dai governi degli Stati.
Si pensava – confesso lo pensavo anch’io – che questa drammatica esperienza, vissuta da tutto il mondo contro un pericolo comune che ha messo a rischio il genere umano, avesse fatto comprendere, anche a livello dei governi degli Stati, l’esigenza di ricercare condivisione, dialogo, collaborazione.
Non poteva esservi richiamo più convincente di quello che è avvenuto per spingere tutti, tutti gli Stati, tutti i popoli, a fronteggiare insieme i nemici dell’umanità: la pandemia, quelle possibili in futuro, il deterioramento delle condizioni climatiche con le drammatiche conseguenze di aumento della povertà e di effetti di fame nel mondo.
Appariva logico. Sembrava anche possibile.
Invece abbiamo dovuto assistere al riesplodere di aggressivi egoismi nazionali, alla moda di quanto non avveniva dall’Ottocento, dai secoli scorsi: un retrocedere della storia e della civiltà che mai avremmo immaginato possibile in questo inizio di millennio, assistendo a vittime di ogni età, dai bambini agli anziani, a devastazioni di città e di campagne, a un impoverimento del mondo.
Non riusciamo neppure a rinvenirvi una motivazione razionale.
Le ragioni della convivenza umana pretendono che si ponga fine alle guerre. La pace è sempre doverosa e possibile.
Proprio per questo, stiamo rispondendo con la dovuta solidarietà all’aggressione nei confronti dell’Ucraina.
Con l’accoglienza dei profughi.
Con il sostegno concreto a chi resiste a difesa della propria terra contro un’invasione militare.
Con misure economiche e finanziarie che indeboliscano chi pretende di imporre con la violenza delle armi le proprie scelte a un altro Paese, per frenare subito, per rendere insostenibile questo ritorno alla prepotenza della guerra che, se non trovasse ostacoli, non si fermerebbe ma produrrebbe una deriva angosciosa di conflitti che potrebbero non trovare limiti. Occorre fermarla ora, subito.
Stiamo rispondendo cercando, con insistenza, di proporre dialogo e trattative per chiudere la guerra immediatamente, per ritirare le forze di invasione, per trovare soluzioni politiche. Pronti a contribuire a perseguirle non appena si aprissero spiragli di disponibilità.
Tutto questo richiama, ancora una volta, l’importanza della cultura, l’importanza del sapere, l’importanza degli scambi di cultura nel mondo, strumento e veicolo fondamentale per il progresso dell’umanità.
Per questo l’augurio che vi rivolgo è particolarmente intenso: buon anno accademico.