Alberto Moravia – una di quelle figure delle quali avvertiamo la mancanza – paragonava il tabù della guerra a quello dell’incesto. Niente sesso tra consanguinei: su ciò si regge la famiglia (le trasgressioni o le eccezioni sono destinate a restare tali). Analogamente, nessuna guerra mondiale nell’era atomica, pena l’estinzione della specie. Ecco, negli ultimi anni e mesi, con l’invasione dell’Ucraina e le sue conseguenze e con il conflitto in Palestina, si sta sfidando il tabù: di una guerra globale in effetti si tratta.
Se i lunghi decenni di “pace” seguiti al 1945 sono stati costellati da centinaia di focolai bellici, con l’equilibrio del terrore che evitava l’escalation, ora stiamo vivendo un conflitto planetario – caratterizzato da “aree calde” di morte e di sangue, presenza di numerosi “cobelligeranti”, diretti o indiretti, variamente e mutevolmente coinvolti, “posizionamenti” diversi dei vari soggetti – con la spada di Damocle del ricorso al nucleare che incombe e che, per le angosce che suscita, (per ora) impedisce la conflagrazione.
Detto altrimenti: siamo in presenza della terza guerra mondiale possibile. Non è solo un’opinione autorevole, sostenuta, con argomentazioni e sensibilità differenti, da più voci: da papa Francesco a Biagio de Giovanni o a Massimo Cacciari. Anche nella percezione diffusa di molti, singoli o popoli, si tende a parlare di guerra, al singolare, più che di guerre, per riferirsi innanzitutto ai due principali teatri bellici attuali. Una guerra mondiale, potremmo dire, al tempo della (post-)globalizzazione.
E, per paradossale o assurdo che appaia, noi delle “retrovie” ci culliamo spesso in una sorta di doppia verità: consapevolezza del coinvolgimento e, al tempo stesso, atteggiamenti e comportamenti all’insegna del “come se la guerra non ci fosse”. Parvenza, o illusione, di normalità accanto all’invischiamento, che riguarda aree decisive come l’energia, l’agricoltura, la finanza, i flussi commerciali e altro ancora.
La cosiddetta Sdi – “iniziativa di difesa strategica”, meglio nota come “guerre stellari” – negli anni Ottanta mirava, con la messa a punto da parte degli Usa di una difesa antimissile (quasi) impenetrabile, a insinuare l’idea che si potesse uscire vittoriosi da un conflitto mondiale nucleare. Come dire: una terza guerra mondiale “sostenibile”.
Ecco, oggi si parla tanto di sostenibilità, nelle sue diverse dimensioni e nei suoi variegati volti: da quella ecologica a quella economica o culturale. Ma, nei fatti, la nostra azione – dico nostra in quanto siamo di ciò tutti corresponsabili – è volta ad affermare l’idea e la prassi della sostenibilità della guerra globale. Una prassi e un’idea tragicamente pericolose, forse suicide.