Digiuno e astinenza: le indicazioni della Chiesa per il tempo di quaresima permettono di riflettere sul mangiare carne. Il Codice di diritto canonico (cann. 1249-1253) e la costituzione apostolica Paenitemini di Paolo VI (1966) fissano l’astinenza dalle carni per tutti i venerdì dell’anno e il digiuno per il mercoledì delle ceneri e il venerdì della settimana santa. Oggi la discussione non verte sul versante della pratica religiosa, ma su quello culturale: carnivori o vegetariani (ma si può elencare: vegani, quanti rifiutano ogni cibo cotto, quanti mangiano solo frutta ecc.)?
Le tradizioni
Mangiare la carne appartiene alla tradizione umana fin dal paleolitico. Con le sue calorie e proteine la carne, assieme al pesce, ha aiutato lo sviluppo e il funzionamento cerebrale. Ma il suo uso non è uniforme. Ci sono popolazioni il cui l’ambiente spinge al consumo di carne, altre che mangiano quasi unicamente pesce, come la popolazione Inuit della Groenlandia, altre sono vegetariane come alcune popolazioni dell’Amazzonia e, infine, altre sono legate al latte e ai suoi derivati, come i Masai del Kenya.
Ma le differenze si spalmano anche in senso storico. La carne è parte del regime alimentare sia greco, sia romano. Nel Medioevo il popolo non ha accesso alla carne. La «carne nera» come il cinghiale è riservata ai nobili. Solo dopo la grande peste del XIV sec. il consumo di carne cresce. Ma torna a bassi livelli nel XVII e XIX secolo. La rivoluzione zootecnica con l’allevamento intensivo ha reso possibile negli ultimi due secoli un significativo aumento del consumo alimentare di carne. Tanto da diventare parte della rivendicazione sociale: «difendere la propria bistecca» corrisponde al precedente «difendere il proprio pane».
No al consumo eccessivo
Anche dal punto di vista delle stagioni di vita l’accento è diversificato. Particolarmente utile il consumo di carne per i bambini e per gli anziani, meno rilevante per l’adulto. Oggi in Occidente il consumo tende a diminuire, mentre è in forte crescita nei paesi emergenti (Cina, India, alcuni paesi dell’Africa). La frenata del consumo in Occidente è legata ad alcune emergenze, come la carne agli ormoni negli anni ’80, la «mucca pazza» nel 1996 e le lasagne alla carne di cavallo nel 2013 (cf. La Croix 7 marzo).
Emergono dubbi sull’opportunità di un consumo di carne che è sovradimensionato per le necessità, a cui si imputa l’eccesso di grasso, di colesterolo, di sovrappeso. Ma dalla carne arrivano all’organismo elementi preziosi come il colesterolo “buono”, gli steroidi, gli acidi biliari, la vitamina B12, il selenio ecc. La questione vera è semmai il suo consumo eccessivo con troppe vitamine animali al posto delle vegetali, che ha alimentato la posizione vegetariana e vegana.
La dimensione simbolica
Al di là delle dispute che hanno assunto talora caratteri ideologici trasformando una dieta in una sorta di fede, c’è un dato simbolico del cibo che va ricordato. Come ha scritto J.-C. Sagne (La symbolique du repas dans les communautés), l’acqua indica la purificazione, il pane l’unità (facilmente spezzabile e condiviso), i legumi i doni della terra, il formaggio la cultura del latte (materno), il dolce si riferisce al gioco, i frutti al ritorno all’origine e il vino alla gioia di vivere.
In tale contesto la carne è il nutrimento distintivo dell’umano. Il suo consumo nasce dalla violenza verso l’animale e si esprime come tale anche nella masticazione, ma segna anche il confine alla pulsione della violenza: essa si ferma davanti al cucciolo dell’uomo. La distanza e la superiorità sul mondo animale conferma l’alleanza rispetto al mondo umano. La violenza esercitata contro l’animale mangiato e non fra gli umani «illustra la volontà comune di costruire un’alleanza cercando insieme i mezzi per vivere e opponendosi insieme alle minacce di morte da qualsiasi parte arrivino» (p. 27).
Il vegetariano rifiuta l’atto di violenza verso il mondo animale e lima di conseguenza la distinzione fra i due con l’esito, non tematizzato, di indebolire l’alleanza fra umani o di ridurre l’umano all’animale.
La componente aggressiva del desiderio di nutrimento richiede il passaggio al pasto consumato assieme e alla percezione del cibo come dono.
L’astinenza
Sulla dimensione simbolica si innesta la pratica cristiana dell’astinenza, come segno non di un interdetto, ma di un controllo della violenza in ordine alla pace con se stessi e con gli altri. E, più in particolare, in ordine al rapporto con Dio. Adamo ha mangiato per la sua condanna, Gesù ha rifiutato il miracolo di trasformare le pietre in pane per la sua fedeltà e la nostra salvezza. Così argomenta A. Schmemann in La grande Quaresima: «La fame (del digiuno) è quello stato in cui percepiamo la nostra dipendenza da qualcosa d’altro, quando sentiamo il bisogno urgente ed essenziale di cibo; questo ci mostra che non possediamo la vita in noi stessi. La fame è quel limite al di là del quale io o muoio di inedia oppure, dopo aver soddisfatto il mio corpo, ho di nuovo l’impressione di essere vivo. Il altre parole, è il momento in cui ci poniamo di fronte alla domanda fondamentale: da che cosa dipende la mia vita? E poiché la domanda non è puramente accademica, ma viene percepita con l’intero corpo, è anche il tempo della tentazione. Satana si presentò ad Adamo nel paradiso, si presentò a Cristo nel deserto. Si presentò a due uomini affamati e disse loro: mangiate perché la vostra fame è la prova che voi dipendete totalmente dal cibo, che la vostra vita è nel cibo. Adamo cedette e mangiò. Ma Cristo respinse la tentazione e disse: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di Dio». «Cos’è allora il digiuno per noi cristiani? È il nostro entrare, il nostro prendere parte all’esperienza di Cristo stesso, attraverso la quale egli ci libera dalla totale dipendenza dal cibo, dalla materia e dal mondo».