La Chiesa, a partire dal Vaticano II, ha affrontato in «forma nuova» lo studio del rapporto tra messaggio evangelico e culture. Un particolare contributo all’inculturazione della fede viene dal discernimento dei dati costitutivi della stessa rispetto alle espressioni o i condizionamenti storico-esistenziali che le culture le imprimono. Gli stessi studi di ermeneutica biblica ci dicono che la fede ha bisogno per esprimersi di strutture religiose e culturali, perché, pur non identificandosi con esse (un tema già presente fin dall’età apostolica), non esiste a prescindere da esse.
Incarnazione e culture
Negli ultimi decenni la speculazione teologica circa l’influsso del Verbo nel mondo, o «cristologia cosmica», per cui tutto è stato creato da, in e per Cristo, ha aperto la strada a una teologia della cultura.
Il card. Duval, nell’Algeria del delicato passaggio tra epoca coloniale e post-coloniale, affermava che i popoli non possono essere considerati come tabula rasa sui quali scrivere una storia completamente nuova. Il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio è il modello indiscutibile dell’accostamento al mondo e alle culture.
Non si tratta di un avvicinamento dal di fuori, con un certo senso di superiorità, ma di un avvicinamento dall’interno; non un movimento di semplice immersione ma di assunzione. Benché il regno di Dio non si identifichi con le culture e la sua vera crescita non possa essere confusa con il progresso della civiltà, esso inizia già nel qui e ora, in dialogo con e nella storia.
Queste premesse molto generali, son essenziali nel complesso accompagnamento del catecumenato degli adulti, in particolare in terre come la Turchia, dove il riferimento religioso, almeno culturalmente parlando, è all’islam e non certo al cristianesimo, religione di un’infima minoranza di persone.
A chi, talvolta a insaputa del suo contesto familiare allargato, chiede di incontrarci per poter iniziare un cammino di discernimento, nella prospettiva di abbracciare la fede cristiana, bisogna, prima di tutto, far capire che un credente non può essere ridotto alla dimensione religiosa delle sue convinzioni, ma che quest’ultima si inserisce in un quadro umano, psicologico, sociale e, in una parola, esistenziale, molto più vasto!
Immaginazione nuova
Molti musulmani (almeno culturali) che bussano alle nostre porte ci affidano i loro sogni, spesso nel senso letterale del termine: il loro primo approccio al cristianesimo è onirico (prima di storcere il naso, dobbiamo ricordare l’importanza della dimensione onirica in contesto scritturistico…).
È qui che ci rendiamo conto che serve una Chiesa capace di nuova immaginazione e, quindi, anche capace di ripensare sé stessa all’interno di nuovi contesti culturali. Bisogna lottare contro la fatica di sentirsi sfidati a essere parte viva delle grandi trasformazioni della storia, anche se è più facile pensare a un mondo costruito su codici immutabili e ostentare i motivi della sua immutabilità piuttosto che la sua precarietà.
Chi non muta quando tutto muta alla fine diventa muto. Alla lunga, schemi obsoleti soffocano la vita. Per ovviare a ciò servono nuovi spazi, nuovi approcci, nuovi linguaggi (e non solo perché spesso e volentieri si deve comunicare con lingue materialmente prive di un vocabolario cristiano), che esprimano pratiche di nuova umanità.
Come già ricordava il card. Martini, nel suo profetico discorso alla città di Milano per la festa di sant’Ambrogio del 6 dicembre 1990, Noi e l’Islam: il problema è cercare di capire quali sono i valori che realmente una persona incarna nel suo vissuto per considerarli con attenzione e rispetto.
Questo senza dimenticare che la vita è evoluzione, per cui le persone, per realizzarsi umanamente e spiritualmente, devono modificarsi e le modificazioni possono anche essere all’origine di crisi fatali, sul cammino della fede.
Lo abbiamo sperimentato più di una volta, in percorsi anche già estremamente avanzati. Se certi abbandoni sono stati anche motivo di profonda delusione, non rinunciamo a credere che l’esercizio della leadership non consista nel «normare» ma nell’«ispirare»; non sia innanzitutto disciplinare, ma offrire senso.
- Dalla rivista Nuovo Progetto, dicembre 2023, pp. 14-15.
Il problema è discernere. Cosa è fondamentale? Cosa non lo è?
Mi pare che spesso con la scusa dell’inculturazione si rinunci a proclamare il Vangelo.
Come lo vogliamo chiamare il “no al proselitismo” con tanto vigore affermato dal papa felicemente regnante?
Inoltre inculturazione non può voler dire adattamento alle mode.
Avremo altrimenti un cristianesimo queer, uno me too, uno fascista, uno democratico, uno ecc..
Discernimento e prudenza e fedeltà a Cristo ci vogliono.
Ma soprattutto fedeltà.
Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno, che il Vangelo annuncia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. In molti degli interventi che leggo, c’è chi si ostina a contestare il concetto di inculturazione come artificiale, come forma di “adattamento a buon mercato” e accondiscendente del Vangelo (cosa per altro non affermata nel mio scritto). Questa concezione sott’intende la convinzione che esista una cultura cristiana universale, che incontra delle culture particolari, tentando di “battezzarle”… Ma, in realtà, se la fede è trasversale alle culture, essa non esiste tuttavia al di fuori di un veicolo culturale! Del resto, a priori, tutte le culture sono potenzialmente atte ad accogliere il Vangelo, prima di tutto in forza dell’universalità di quest’ultimo. Non solo, il Vangelo ha bisogno delle culture (con la loro lingua, i loro simboli, i loro riti e la loro visione del mondo) per dirsi, per sentirsi a casa propria nella cultura di ogni popolo e di rifletterete così, appunto, la propria universalità! Del resto, con buona pace di certe affermazioni affrettate che leggo, fin dagli inizi il cristianesimo emerge da più matrici culturali: ebraica, greca, latina,… Dopo il Vaticano II, che ha finalmente segnato il passaggio dall’eurocentrismo a un policentrismo all’interno della Chiesa, non siamo ancora arrivati del tutto ad accettare il fatto che l’inculturazione, in nome proprio dell’universalità del Vangelo, potrebbe finalmente non coincidere con l’imporsi di una cultura dominante!
Sempre il solito malinteso : il fatto che bisogna trattare con attenzione e rispetto qualunque uomo e qualunque religione ,persino i riti tribali , come dice Il cardinale Martini, non significa portare la Pachamama nei Giardini Vaticano e prostrarsi in ginocchio ad esa. Se cosi’ avessero fatto i primi cristiani il cristianesimo sarebbe elaborato nel giro di qualche generazione: in fondo i romani chiedevano solo di bruciare un granello di incenso all’ Imperatore-Dio. I martiri di rifiutarono di farlo , ma questo significa non che fossero meno rispettosi o meno compassionevoli di noi odierni cristiani ,solo che erano piu’ coerenti e credenti. Bruciando anche un minimo grado di incenso a qualunque altra Divinita’ che non sia il Dio Trinita’ ,Padre Figlio e Spirito Santo, non possiamo piu’ dirci cristiani ma idolatri.
Peccato che la cosiddetta ‘Pachamama’ non era una una divinità, ma parte di un mandala/installazione, creato da un gruppo di cattolici amazzonici, che voleva rappresentare l’Amazzonia e le sue difficoltà, e comprendeva anche vari oggetti di artigianato e una foto della suora martire Dorothy Stang.
Poi EWTN, Taylor Marshall, la TFP e altra gente poco raccomandabile hanno creato questa autentica menzogna del ‘rito pagano’ e l’hanno resa la narrazione dominante, fregandosene di tutto e di tutti.
Comunque, visto che ha tirato fuori i martiri dei primi secoli, lo sapeva che il loro culto nelle comunità cristiane era in continuità con il ‘culto degli eroi’ della Grecia antica e del periodo ellenistico, con molti riti che sono continuati più o meno nella stessa forma?
Erano forse riti pagani?
Perché la realtà storica è meno bella dell’agiografia
Si nota subito lo sbandamento ” Cristo cosmico” sappiamo da dove arriva, Card Martini lo svuotatore della Chiesa ambrosiana e il ” nuovo” del CVII. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Vede carissimo i missionari abbattevano le statue degli idoli e tagliavano le piante sacre. Essendo il messaggio di Cristo universale supera tutte le culture e non può essere superato. Gli uomini sono tutti fatti allo stesso modo con le stesse domande rispondendo ad esse la cultura di appartenenza cade come un vecchio inutile contenitore di cristallo. Urge invece dire il messaggio cristiano nella sua purezza il resto viene da sé perché l uomo ,qualsiasi uomo lo riconosce. Grazie
Che la cultura locale cada dopo l’evangelizzazione è una cosa che si è verificata in casi molto rari, e spesso la gente, dopo l’imposizione di un cristianesimo europeo, ha avuto una doppia fede: quella cristiana esternamente e quella locale nel privato. E non parliamo del fatto che esistono culture e popoli incredibilmente resistenti all’evangelizzazione, a meno di non usare la forza, come lei credo proponga