La misericordia diventi cultura

di:
Francesco, giubileo misericordiaLa misericordia va posta nell’ordine del principio

La misericordia contiene tutto: tutto memorizza, tutto evoca, tutto profetizza. Essa è – a ben vedere – il nome di Dio e il nome dell’uomo. Il cristianesimo, come religione del Libro, è misericordia perché dall’amore per Dio e i fratelli dipendono la legge e i profeti (cf. Mt 22,40). Afferma papa Francesco che «il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi» (MV, n. 1). Di conseguenza, la misericordia è l’insuperabile legge che sottopone tutto a se stessa.

1) Riflettere sulla “primalità” della misericordia. Papa Francesco pone la misericordia nell’ordine del principio poiché «il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi» (bolla Misericordiae vultus [11.4.2015, n. 1). Si tratta di pensare e contemplare la misericordia: «Abbiamo sempre bisogno – afferma il papa – di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (MV, n. 2). La misericordia è il “primo principio” del cristianesimo.

2) Riflettere sulla “centralità” della misericordia. Gesù Cristo è il centro della storia salvifica, ma la misericordia, a causa di lui, vi è centrale. «Misericordia: è la parola che rivela il mistero della ss. Trinità» (MV, n. 2; cf. nn. 6 e 8). Così Gesù la lega alla centralità spaziale della sua esistenza messianica: egli, vivendo a Nazaret, in un modo misterioso, l’ha resa il centro del mondo (la stessa cosa possiamo dire per Betlemme, per Gerusalemme…). Nazareth – luogo emblematico della vita di Gesù – è centrale perché – afferma papa Francesco – la misericordia «è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth» (MV, n. 1). Di più ancora. Gesù coinvolge la misericordia nel tempo; in altri termini, oltre a una geografia, Gesù procura alla misericordia del Padre anche una storia: «Nella “pienezza del tempo” (Gal 4,4) – scrive papa Bergoglio –, quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede lui vede il Padre (cf. Gv 14,9)» (MV, n. 1). Ma anzitutto la misericordia è un segno di Gesù che visibilizza l’infinita carità del Padre nel suo «volto». Il volto di Cristo, divino e umano insieme, è lo specchio dove si riflette e si fa visibile il volto del Padre infiammato d’amore per gli uomini: «Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio» (MV, n. 1).

3) Riflettere sulla “ultimità” della misericordia. «Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro» (MV, n. 3). Per comprendere bene questo carattere di ultimità della misericordia, che il volto di Cristo rivela e insegna, occorre riferirci a un altro nome che parla della sua misericordia: è il suo cuore pasquale (cf. Gv 20,20.25.27): le ferite dell’Agnello ci saranno anche in Cielo  (cf. Ap 1,7; 5,6). L’ultimità della misericordia del volto si lega a quella del cuore e viceversa. Il punto più vivo nel rapporto cuore-volto è rappresentato dagli occhi, che sono le finestre del cuore, che lasciano trasparire ciò che si agita o lievemente si vive dentro di esso.

In altri termini, solo un cuore convertito e credente può darci occhi di misericordia. L’ultimità della misericordia? È l’ultimità del cuore: che esprimo con un’espressione d’un prete abruzzese, che mi porto nel cuore da una vita. «Ricordati, che alla fine l’uomo è solo un po’ di cuore». Per tutto questo, la misericordia è un tema «imperdonabilmente trascurato» (cf. W. Kasper, pp. 20-26), anche se a questa parola primale, centrale e finale della storia della salvezza, nei nostri ultimi decenni s’eleva un’intensa «invocazione» (Ibidem, pp. 7-14), fino a imporsi come «un tema fondamentale per il XXI secolo» (Ibidem, pp. 14-20).

Come inseminare di Vangelo la cultura

Se la carità è il cuore del Vangelo, allora va anche detto che è sempre il tempo del Vangelo della misericordia. Ma oggi in modo speciale è questo tempo adatto: c’è urgenza di mostrare il cuore caritativo del Vangelo anche nei confronti della cultura. Va constatato con sincerità che non sempre a chi rende il servizio caritativo della cultura viene corrisposto il servizio caritativo del Vangelo. Eppure, una necessità s’impone: occorre la carità per la cultura, oltre che la carità della cultura.

Evangelizzare la carità nel mondo della cultura significherà immettervi due germi: il primo è quello della riconciliazione e il secondo è quello della conversione. La sfida è alta: si tratta di sollecitare la ricomposizione delle tante scissioni e frammentazioni che lacerano la tela della cultura contemporanea.

Il cristianesimo, ormai, è pensiero assimilato, non ha suoi progetti culturali, ma può ispirare, nella giusta autonomia, nuovi orditi culturali, giacché la cultura sarà sempre un pensare dell’uomo e sull’uomo, e di questi il cristianesimo rivendica un’esperienza singolare, sapendo ipotizzare, per accedere al suo mistero, sapienti cammini che ha conosciuti dalla rivelazione e ha percorsi per due interi millenni.

Nell’impegnativo sforzo richiesto per far incontrare Vangelo e cultura ci facciamo buona compagnia con alcuni frammenti sapienti di un grande vescovo italiano, che di cultura viveva, Piero Rossano (1923-1991). Egli ci ha offerto alcuni principi che sono lucidi e consolanti:

1) c’è una tendenza del Vangelo alla cultura;

2) bisogna fare emergere i valori e le istanze culturali del Vangelo;

3) il Vangelo non è esclusivo: non si dovrebbe, quindi, essere troppo facili all’apologetica e agli esclusivismi su questo o quel punto;

4) ci sono valori presenti nelle culture del mondo che vanno conosciuti e riconosciuti;

5) c’è un incontro non facile, ma dialettico, tra Vangelo e cultura;

6) il Vangelo sa stimare e raccordare unità e diversità;

7) bisogna aiutare il Vangelo a trasformarsi in cultura;

8) il Vangelo fa sprigionare esistenzialmente dalla stoffa dell’uomo;

9) occorre conoscere e presentare le istanze evangeliche alla cultura; 10) bisogna arginare le eventuali prevaricazioni dello Stato nei confronti della cultura (soprattutto nei riguardi della sua libertà) o della non promozione integrale dell’uomo avendo a guida la «legge del bene» e, prossimamente, del «bene del paese» (cf. Vangelo e cultura. Note per un incontro tra il Vangelo e la cultura contemporanea, Paoline, Roma 1985, pp. 27-37).

I cinque consigli di padre Balducci (1922-1992)

Quando si parla di educazione, ne va di noi, presi nella complessità di quello che siamo: perciò pensare, studiare, progettare mirano a fare cultura, intesa come cura, la grande parola, che come lampada nella notte, illumina la «terra del tramonto», il tempo umbratile di parte del Novecento, scandagliato con grande acume, nei suoi vari aspetti, da padre Balducci, una delle figure più significative della Chiesa italiana del secondo Novecento. Egli, per ognuno degli aspetti della cultura del “secolo breve”, in cinque suoi libri, offre l’aiuto a decifrare il nostro tempo enigmatico, a indicare come uscire dal suo labirinto, a dire come vederne i pericoli e le opportunità. Perciò presento, a larghi e rapidi tratteggi, quei suoi scritti-testimonianza, sintetizzandoli in cinque saggi consigli.

  1. Considerare che, abitando ormai nella tenda planetaria, occorre trovare una giusta forma culturale, che è quella in cui essa, da orizzonte che tutto chiude, diventa punto di appoggio e di orientamento per la ricerca di una nuova dimensione dello spirito. Per questo l’Altro rappresenta la potenzialità obiettiva di forme umane più alte, in cui le culture si comprendono l’una con l’altra, in cui le alterità non si annullano né si assimilano ma trovano la loro sintesi in una nuova identità culturale che le trascende senza venir meno alle loro memorie storiche (cf. L’altro. Un orizzonte profetico, Giunti Editore, Firenze 2004).
  2. Acquisire la capacità di abitare la crisi di una difficile età di passaggio, dopo aver compreso gli esiti della modernità e della sua crisi, senza cedere a visioni apocalittiche o a tentazioni consolatorie, ma confrontando criticamente gli accadimenti e le sfide epocali cui sono chiamate a cimentarsi oggi le culture, le religioni e le Chiese (cf. La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Giunti Editore, Firenze 2005).
  3. Prendere la saggia e ferma decisione di progettare la partecipazione al dialogo delle civiltà, insieme all’impegno di fronteggiare le tematiche dell’allargamento delle frontiere verso il villaggio globale, nella speranza di trovare le vie da seguire per salvare il mondo occidentale dall’erosione culturale, dai falsi valori e dall’ignoranza, favorendo la reciproca comprensione fra persone, comunità, popoli e relative culture (cf. Il terzo millennio. Saggio sulla situazione apocalittica, Pagliai Editore, Firenze 2014).
  4. Assumersi la responsabilità di far nascere l’“uomo planetario”, cogliendo l’opportunità di cogliere profeticamente l’allargamento a una prospettiva globale dei fondamentali quesiti etici e della stessa visione dell’uomo che, senza perdere il valore di ciò che è particolare e proprio di una cultura, sappia sentirsi cittadino del mondo, in fedeltà con l’intera “alleanza creaturale” (cf. L’uomo planetario, Giunti Editore, Firenze 2005).
  5. Accogliere l’invito ad aprirsi al futuro, a vivere in avanti, per cercare una via d’uscita alla crisi attuale della nostra civiltà, sapendo affrontare la nuova soglia tra etica e politica, la crisi della città, i grandi flussi migratori (intuiti con occhio profetico), l’incontro tra diverse culture, i diritti dell’uomo come motore delle future rivoluzioni e la nonviolenza come loro caratteristica (profezia rovesciata della ventata violenta che ha oggi investito il mondo), il nuovo patto che l’uomo deve stabilire con tutte le cose viventi (attenzione, questa, a cui due papi, Benedetto XVI e papa Francesco, ci hanno di fatto chiamato come a una delle grandi urgenze del nuovo Millennio) (cf. Immagini del futuro, Giunti Editore, Firenze 2008).
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