Preoccuparsi del pianeta mentre soffiano venti di guerra? Per molti, in occasione di questo Earth Day 2017, la Giornata della Terra, potrebbe apparire insensato o quantomeno bizzarro. Qualcosa da relegare a quelli col chiodo fisso dell’ecologia. Eppure per ciascuno di noi, e soprattutto se cristiani, vale quanto ci ricorda papa Francesco «oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre più un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS 49).
Un concetto che permeava l’intera enciclica del beato Paolo VI già 50 anni fa, come è stato sottolineato nel recente convegno promosso dal nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale (con interventi di Parolin, Turkson, Müller e Tomasi). Nel documento del 1967 – che per la prima volta estendeva a livello mondiale l’insegnamento sociale della Chiesa e subito posto all’indice dai borghesi di allora – emerge chiaro, ricordava il segretario Silvano Tomasi, che «il lavoro per il Regno significa essere in contatto con i poveri, gli oppressi, per arrivare alla pace, alla giustizia e alla protezione dell’ambiente».
Riferendosi al cambiamento climatico in atto, il presidente della conferenza episcopale delle Filippine, Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen Dagupan, affermava di recente che «preoccuparci di questo problema rappresenta oggi il nostro modo di venire incontro alle esigenze del più piccolo dei nostri fratelli e sorelle, una modalità concreta di lavare i piedi gli uni degli altri». Di immediata ricezione le parole dell’arcivescovo di Manila, card. Tagle, presidente Caritas Internationalis: «tradurre il riscaldamento globale in riscaldamento mondiale dei nostri cuori a favore dei poveri». E, sempre dalle Filippine, una terra che in tema ambientale paga un prezzo molto alto, a inizio aprile il missionario del Pime, p. Sebastiano D’Ambra, lanciava un appello affinché tutti si rendano conto che la salvaguardia del creato è indispensabile per garantire un futuro all’umanità.
Il problema che molti si pongono, pur in un contesto di consapevolezza globale, è ancora lo stesso di 50 anni fa: che possiamo fare?
Innanzitutto informarsi, e informarsi correttamente. Anche se dobbiamo riconoscere che in un contesto di “fake news” o di “post-verità” non è sempre facile.
«L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (LS 19).
Organizzazioni internazionali e comunità scientifica sono un riferimento sicuro. E, pur evitando il rischio di cadere nelle affermazioni apocalittiche destinate a paralizzare ogni azione, le loro risposte indurrebbero decisioni coraggiose a livello di singoli e di governi. Decisioni che sono però ancora in lista d’attesa.
Un pianeta ferito
Lo scorso anno, il 2016 è stato il più caldo dal 1880, periodo che segna l’inizio delle moderne misurazioni. A darne notizia sono stati gli scienziati della Nasa e della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) che, a seguito di analisi indipendenti, hanno concluso che il 2016 è stato in media 0,99° più caldo della media della seconda metà del XX secolo e 1,1°C più caldo dalla fine del XIX secolo. Un innalzamento in gran parte prodotto dall’aumento del diossido di carbonio e altre emissioni antropiche, come dire da noi abitanti del mondo industrializzato.
Ma c’è di più: il 2016 è stato anche il terzo anno di fila a segnare questo tipo di record. Il che significa, come ha spiegato Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies: «Non ci aspettiamo anni da record ogni anno, ma il trend di riscaldamento in corso è evidente».
Andando a scorrere tabelle e diagrammi ci si accorge che gran parte del riscaldamento superficiale atmosferico si è verificato negli ultimi 35 anni e si calcolano16 anni di record di riscaldamento a partire dal 2001. Sempre lo scorso anno 8 mesi su 12 hanno registrato le temperature più alte del periodo.
Gli effetti si stanno già mostrando in tutta la loro gravità in alcune zone della terra dove l’acqua comincia a diventare davvero l’“oro blu”, ma in questo caso non significa ricchezza, bensì mera sopravvivenza. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), entro il 2050 le persone che rischiano la vita per la scarsità di acqua o la sua totale inaccessibilità saranno più di 4 miliardi. Ecco allora i “migranti ambientali” di cui aveva già parlato a più riprese papa Ratzinger. Nel 2015 su circa 28 milioni di persone migranti, 19 milioni erano quelle costrette a spostarsi per assenza o difficoltà di accesso a risorse primarie come l’acqua o la terra coltivabile e il World Economic Forum ha inserito la crisi idrica fra i maggiori rischi globali contemporanei.
«Non possiamo rimanere a guardare passivamente mentre la gente muore di fame e di malnutrizione», era l’appello lanciato prima di Pasqua dai rappresentanti delle due principali Chiese tedesche, richiamando «i credenti alla preghiera e all’aiuto concreto verso chi ha bisogno». Di fronte alla drammatica situazione nell’Africa Orientale, il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, e Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (EKD) hanno inteso attirare l’attenzione sulla prolungata siccità nella regione Sud Sudan del Sud (dove è in corso ancora una guerra civile) dove la mancanza d’acqua ha prodotto significative perdite di raccolto. Ma oltre al Sudan del Sud, altri paesi hanno dichiarato emergenza nazionale (Uganda, Kenia, Somalia ed Etiopia dove i pastori sono costretti a spostarsi di continuo alla ricerca di acqua) tanto che le Nazioni Unite stimano in almeno 20 milioni le persone che rischiano di morire di fame.
«Come spesso accade, i più colpiti sono i più poveri tra i poveri: i malati, gli anziani e i bambini – diceva il vescovo Bedford-Strohm – e questa sofferenza che colpisce altri esseri umani non deve lasciarci indifferenti, in Germania, come altrove».
Un elenco di “ferite” che il nostro pianeta va accumulando nell’indifferenza globale, perché si dimentica che la prima a rischiare la vita è l’umanità stessa a cominciare dai più vulnerabili della terra.
E spesso è proprio la terra, intesa come terra coltivabile a diventare un altro bene prezioso, e per troppi ormai irraggiungibile. Si calcola infatti che ogni anno nel mondo sparisca un territorio pari all’intera area metropolitana di Roma. È una terra che finisce perlopiù cementificata o destinata a infrastrutture di vario tipo oppure, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma non solo, oppure destinata a cadere nel “Land grabbing”, un’espressione inglese che indica l’accaparramento delle terre che priva i contadini dei terreni a coltivare, spesso solo per sopravvivere. Un fenomeno che va allargandosi in questi ultimi anni e che registra l’appropriazione di superfici sempre più ampie, perlopiù utilizzabili a scopo alimentare, da parte di multinazionali, governi e investitori, come in Africa dove si affittano per pochi dollari terreni per coltivazioni destinate alla produzione di biocarburanti (e dove il fenomeno ha raggiunto il 45 % del territorio) o nel Sud-Est asiatico dove si disbosca foresta tropicale per coltivare palme da olio, come in Indonesia (e lì significa 38%) o in Laos, ma il land grabbing è presente anche in tutta l’America Latina e persino nell’Europa dell’Est. È attualmente in corso una campagna ecumenica, dal titolo «Pianeta in svendita» promossa dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese evangeliche in Svizzera, per sensibilizzare al problema, peraltro ben conosciuto, e denunciato, da tanti missionari.
Siamo tutti responsabili della Terra
Il presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha firmato ieri un’ordinanza che limita l’uso dell’acqua e soprattutto il suo spreco in caso di irrigazione nelle coltivazioni agricole e utilizzo domestico. In tutto il territorio alpino è già allarme per la scarsità di precipitazioni dell’inverno scorso e si confida in quelle dei prossimi mesi per frenare il rischio di siccità estiva (quando interi paesi alpini raddoppiano letteralmente il numero di abitanti con l’arrivo degli ospiti, talvolta da educare al rispetto delle risorse del creato).
E’ solo un esempio di politiche da promuovere in tutta la nostra penisola dove intere zone, nei prossimi mesi, aumenteranno a dismisura il consumo energetico per via dell’uso di condizionatori d’aria (e il ricorso all’energia solare è ancora una chimera soprattutto al Sud …).
«I cambiamenti climatici continueranno per molti decenni a venire. La portata dei futuri cambiamenti climatici e il loro relativo impatto dipenderà dall’efficacia dell’attuazione degli accordi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Altrettanto importante sarà l’individuazione delle giuste strategie e politiche di adattamento per ridurre i rischi derivanti dagli eventi climatici estremi attuali e previsti» avverte Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.
Le azioni da intraprendere anche a livello personale le conosciamo già: ma allontaniamo del tutto l’idea di abbandonare l’uso dell’auto o dello sprecare risorse. Manca ancora nel nostro Paese un’efficace educazione ambientale e il problema dei rifiuti è ancora tutto da risolvere in intere regioni italiane.
Allo Skimuseet di Oslo un exibit efficace rende l’idea di cosa significhi partire dalle semplici azioni quotidiane: al visitatore la scelta di come fare per risparmiare energia e limitare emissioni incontrollate di diossido di carbonio. Alcuni esempi forniti dal Museo: «risparmia almeno una doccia alla settimana», «ricicla tutto quello che puoi», «limita la temperatura interna a non più di 18-20° al max», «frena l’acquisto di un nuovo capo di abbigliamento», «evita quel viaggio a Londra (per shopping)», «lascia l’auto in garage per tutta la settimana», «o almeno 1 giorno a settimana», «chiediti se è proprio necessario volare in Thailandia» …
«L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio dell’umanità e responsabilità di tutti» (LS 95), ci ricorda il papa.
E il prossimo 5 giugno sarà la Giornata mondiale dell’Ambiente indetta dalle Nazioni Unite. Un’occasione in più per riflettere (e soprattutto agire) e ce n’è sempre bisogno.