M. Cacciari: finché c’è crisi, c’è speranza

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Il 5 giugno 2019 Massimo Cacciari compie 75 anni. Per questa occasione il prof. G. De Candia, autore di una monografia completa in tedesco sul filosofo veneziano, schizza una panoramica approfondita del suo percorso intellettuale.

Platone ne sarebbe rimasto impressionato. Massimo Cacciari, che oggi compie 75 anni, ha realizzato anche questo: il sogno del filosofo al governo di una città. La cosa, si sa, gli ha procurato critiche, anche severe. E così deve essere. Perché l’ethos platonico è tutt’altro che utopico. Un disincanto sorridente dirige il governo del filosofo-re.

Lui ha appreso che il Bene è un potente deterrente contro ogni ideologizzazione. E il suo compito è quello di persuadere i cittadini che l’armonia racchiude in sé il dissidio. Che l’inimicizia fraterna è la vera legge del patto democratico. A tutto questo Cacciari ha dato il nome di “diaporetica”. Questo termine dal sapore arcano è la chiave di accesso al suo universo mentale.

Letture giovanili

Tutto comincia sul finire degli anni Sessanta. Il giovane Cacciari legge Kant, ma anche Hartmann, Simmel, Lukács, Derrida, Foucault e Lacan, quando in Italia erano pressoché ignorati. Milita nella sinistra radicale. Collabora con la rivista “Classe operaia”, per poi distaccarsene in seguito ad un confitto ideologico interno al comitato direttivo e fondare con Cesare De Michelis la rivista di estetica e cultura “Angelus Novus” (1964-1968).

Insieme ad Alberto Asor Rosa dà vita poi alla rivista politico-culturale di orientamento marxista “Contropiano” (1968-1971).

La pubblicazione per i tipi di Adelphi dell’edizione critica di Nietzsche, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari (a partire dal 1964), infiamma gli ambienti colti del marxismo italiano. Testimoni raccontano che Gianni Vattimo camminasse per le strade di Torino declamando a voce alta le profezie nietzschiane.

Ben presto il nichilismo diventa quasi popolare negli ambienti di sinistra, mentre cresce l’attenzione per gli scritti di Heidegger posteriori a Sein und Zeit.

Gli anni di piombo

Nel 1976 Cacciari dà alle stampe Krisis. Si tratta di un’indagine sulla crisi tentacolare che investe il pensiero mitteleuropeo a cavallo fra Ottocento e Novecento. Ernst Mach prende le distanze dal meccanicismo newtoniano.

Per lui la scienza deve interessarsi solo della regolarità o meno dei fenomeni, non delle loro cause. Per l’economista Eugen von Böhm-Bawerk a definire il “valore” di un bene non è un criterio esterno, quale che sia, ma l’utilità soggettiva. Schopenhauer smantella i concetti puri kantiani quali condizioni apriori della conoscenza. E dopo di lui, i veri dioscuri del nuovo pensiero saranno Nietzsche e il secondo Wittgenstein.

Wittgenstein

Essi esibiscono il certificato di morte di una ragione ‘totalitaria’, che pretendeva ricomporre le antinomie del reale in una sintesi superiore. In definitiva: l’idea classica di un “superordine” invariante, al quale ogni ordine particolare deve fare riferimento, è ridotta in polvere.

Da queste ceneri sorge l’Araba fenice del “pensiero negativo”, che guarda negli occhi l’intrinseca criticità del reale, la tensione irrisolvibile che anima l’esistente. L’aggettivo “negativo” non deve trarre in inganno. Un senso avventuroso di scoperta anima questa ricerca in cui i poli non si armonizzano mai. La vita culturale della Vienna fin de siècle è il laboratorio più vivace di questa nuova sperimentazione di linguaggi (Dallo Steinhof, 1980).

E tuttavia quanto più grande è la luce, tanto più lunghe sono le ombre. Liberatosi da ogni presupposto metafisico, questo moderno è sì autonomo, ma anche parricida e, di conseguenza, fratricida. Fatto fuori il “Padre”, l’io si è reso incapace di riconoscere la relazione come costitutiva dell’identità, di difendere la necessità del dialogo fra le “scienze europee”.

Cacciari, come l’ultimo Husserl prima di lui, è dolorosamente consapevole di questo. Si rinchiude allora nella sua cucina alchimistica e distilla un antidoto: il logos stesso della Krisis è esigenza dell’altro, anzi dell’opposto, del distinto, dello straniero. L’essere è ‘in crisi’ costitutiva e, per ciò stesso, ricerca l’opposizione irrisolvibile, il dia-logos.

L’incontro fra poli opposti piuttosto che scatenare un black-out gnoseologico, rischiara, è produttivo. E finché si è in crisi, c’è speranza. Così capiamo anche il suo interesse per la teologia.

Arcipelago Europa

Ai risvolti filosofico-politici di questa interessante scommessa teorica sono dedicati i saggi Geofilosofia dell’Europa (1994), L’Arcipelago (1997), Il potere che frena (2013). Con una felice immagine Cacciari chiama l’Europa “arcipelago”. Il termine evoca l’dea di una costellazione geografica, di una comunità nell’assenza di unità.

Fa segno ad una forma di ordine che non consente una sintesi. Perché il mare, che separa e distingue le isole-città, è anche ponte, collega, rende possibile la comunicazione.

Così la sfida con la quale l’Europa avrà sempre a che fare si gioca fra Scilla e Cariddi: fra la tentazione che un’isola divenga arbitro e centro gerarchico, e quella opposta di proclamarsi irrelata all’arcipelago, diventando così inospitale, incapace di accogliere l’altro, lo straniero.

Cacciari ci persuade a credere che l’unica armonia possibile, l’unica pace possibile sia riconoscersi “inseparabili-mai-uniti”, mentre invece violento sarebbe ogni tentativo di voler realizzare una compatta reductio ad Unum.

A questo punto il discorso si fa ancora più vertiginoso. Questa idea di un’Unità che non solo sa reggere alla contraddizione, ma ne è persino la condizione di possibilità, ha una sublime valenza metafisica. Ad essa Cacciari dedica la sua appassionata opera Dell’Inizio (1990).

Trilogia

Dell'InizioChi ama questo tipo di avventure speculative non può che leggere col fiato sospeso queste pagine, in cui l’autore cerca di corrispondere al pensiero più alto, a ‘ciò’ che non è possibile esprimere, in quanto al di là di ogni presa concettuale.

Siamo spettatori di una gigantomachia fra il filosofo veneziano e i più alti rappresentati del pensiero occidentale: da Platone al Neoplatonismo, dai Padri cappadoci, Agostino a Giovanni Scoto Eriugena, da Kant all’Idealismo tedesco.

E tutti perdono, ritiene lui, perché “costringono” l’Inizio ad essere necessariamente Iniziante, origine.

Contro questa “deriva” il veneziano solleva un argine: la nozione multitasking di Inizio come “infinita Onni-Composibilità”.

Se l’Inizio è la condizione di possibilità di tutto, anche della libertà di Dio (sic), dobbiamo mantenere aperta l’eventualità che tutto sia impossibile.

Né si può costringere l’Inizio ad iniziare, né si può escludere l’eventualità che “domani potremmo non essere mai stati(V. Vitiello).

Siamo dunque al cospetto di un agnosticismo in grande stile che, con rara maestria, sa rendere congruente il problema posto della prima ipotesi del Parmenide platonico con i risultati della filosofia nietzschiana. L’autore è avvinto da tutto ciò.

Così ritorna sul problema con Della cosa ultima (2004) e chiude il suo tritico con Labirinto filosofico (2014). La tesi di quest’ultima fatica, che può ben essere considerata la sua ontologia, è brillante.

La vera differenza ontologica non sta nel rapporto fra Essere ed ente, ma è interna allo statuto stesso dell’ente. Io non coincido senza resto con tutto ciò che di me appare. Nessun discorso potrà mai esaurire la singolarità nella sua incommensurabile identità. Una traccia di quella tensione che segnava la riflessione sull’Inizio è impressa dunque al cuore dell’ente.

Per questo, dice Cacciari, non entriamo nel labirinto della conoscenza cercando di raggiungere il centro, l’essente. Il cammino parte invece dal centro, dal cuore del groviglio di strade che è la singolarità, e si snoda secondo i molti sentieri del logos occidentale.

Continuare a pensare

Come ben si capisce, onorare un pensatore come Cacciari significa mettersi a pensare ciò che lui ha pensato, prendere sul serio la sua scommessa. Ci ho provato, raccogliendo la sfida che egli lancia alla teologia cristiana e scrivendo la prima monografia in lingua tedesca sul suo Denkweg (Der Anfang als Freiheit, Karl Alber Verlag).

Ho incontrato un pensiero austero, intrepido, disincantato, che mai pone la parola “fine” al termine di un libro. Ha ragione Cacciari a ricordarci che la sintesi ultima ci sfuggirà sempre; che il compromesso è il nostro pane quotidiano; che tutti i nostri sforzi, per quanto nobili, non ci toglieranno di dosso l’inquietudine e l’insoddisfazione.

Tutto vero. Ma perché, gli chiedo ancora una volta, siamo affetti dall’assoluto, se infine siamo finiti. Perché questa pulsione irrefrenabile per la Giustizia, se la risposta è impossibile? A tutto ciò pensava forse già Pavese quando scriveva: “Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?». Caro Cacciari qui, credo, bisogna scavare.

Gianluca De Candia insegna attualmente Teologia sistematica all’Università di Siegen ed è libero docente al Dipartimento di questioni filosofiche della teologia della Westfälische Wilhelms-Universität di Münster. Ha pubblicato la prima monografia completa in lingua tedesca sulla filosofia di Massimo Cacciari: Der Anfang als Freiheit: Der Denkweg von Massimo Cacciari im Spannungsfeld von Philosophie und Theologie, Karl Alber Verlag, Freiburg 2019.

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2 Commenti

  1. Filippo Manetti 6 giugno 2019
  2. Manlio Rubantis 5 giugno 2019

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