La riflessione sullo spazio delle donne nella Chiesa passa anche attraverso una bella mostra sulla figura di Maddalena, aperta ancora per pochi giorni nei Musei di San Domenico a Forlì (https://mostramaddalena.it/) e corredata da un nutrito catalogo.
Tra le sale si snoda un percorso iconografico ricco e trasversale: l’immagine di una donna misteriosa, rappresentata in molti capolavori nell’arco storico che va dall’età altomedioevale al ’900, si accompagna agli scarni ma incisivi brani evangelici canonici (ben 12) che parlano di lei. Maddalena è misteriosa in quanto viene molto spesso confusa nella tradizione con la peccatrice penitente, con la sorella di Marta di Betania, con l’amante più o meno segreta di Gesù o con l’anti-Eva come la definirono scrittori cristiani antichi o i Padri di tradizione greca e occidentale tra cui Ambrogio.
A numerose scritture apocrife e leggendarie gli artisti hanno ampiamente attinto. Se nel Medioevo troviamo sue immagini volte a risemantizzare gli antichi soggetti femminili di accompagnamento al dolore presenti nelle scene funebri, nel 600 i pittori la dipingono illustrando sensualità, emozioni e passioni che il secolo della scienza e della filosofia politica teneva a bada faticosamente. Tuttavia, se sono i vangeli a favorire il recupero di una sua memoria storica, è anche vero che il racconto dell’evangelista Giovanni (20,11-18) ha favorito una traduzione latina tanto fortunata quanto incoerente rispetto al gesto rappresentato.
Ci riferiamo al “Noli me tangere” che titola pale di altare e affreschi, opere di importanti maestri. Nell’incontro tra la donna di Magdala (località posta sulla sponda nord-occidentale del lago di Tiberiade e vicina ai luoghi d provenienza dei discepoli Pietro, Andrea e Filippo) e il Cristo risorto, da lei inizialmente scambiato per un giardiniere, l’espressione più autentica del Maestro è: “Non mi trattenere”. Un annuncio più consono alla fede in colui che sta per tornare al Padre.
In un interessante testo (purtroppo non presente nella bibliografia del catalogo), scritto con Cristina Simonelli e intitolato Maria di Magdala (Aracne Editrice 2016), la teologa e biblista Marinella Perrone si chiede se la Maddalena sia un personaggio costruito artificialmente e quanto la ricca produzione iconografica abbia inciso sulla difficoltà nel recuperarne la vera identità.
Certamente la sua fortuna nell’immaginario collettivo non ha favorito la percezione di Maddalena come discepola (al femminile) di Cristo e come prima testimone della resurrezione. Eppure, l’identità femminile della ”apostola degli apostoli” è ribadita con insistenza nelle tantissime immagini in cui il corpo di Maddalena è in scena con alta espressività.
Le sue mani toccanti i piedi e le mani di Gesù nelle scene del dolore e del lutto più intenso (bellissimo il particolare nella Pietà di Giovanni Bellini (1472-74) in mostra a Forlì. I lunghi capelli: una costante fin dalle primitive rappresentazioni medioevali quando la sua figura era stata più volte scambiata con un’altra Maria, vissuta nel IV secolo, chiamata Egiziaca: prostituta alessandrina poi convertita, che visse da eremita coperta dai soli capelli.
L’insistente icona del profumo raccolto in vasi spesso splendidamente disegnati è un’ulteriore conferma di femminilità. Sia come mirofora che si reca al sepolcro insieme ad altre donne, sia quando viene ritratta scambiandola con la peccatrice in casa del Fariseo (Lc 7,36-39), a lei è associata la cura del corpo e la sua profumazione.
Rintracciamo la sporgenza del femminile anche nella libertà con cui le si concede di esternare il dolore ai piedi della croce: un dolore più trattenuto nella Vergine e in Giovanni, esplosivo nella Maddalena che Masaccio ritrae di spalle con le braccia spalancate lasciandoci immaginare un pianto dirotto e scomposto. Così come nella statuaria dei Compianti quattrocenteschi dove il suo volto appare segnato dalla smorfia di un urlo dolente.
Problematico ma non impossibile rintracciare la verità di questa figura decisamente ambivalente e soggetta nei secoli a letture più maschili che femminili. Tuttavia, proprio la sfuggente identità della discepola chiede – da donna alle donne – la valorizzazione di una presenza femminile nella Chiesa di oggi. Senza visioni precostituite e artefatte e con la forza di chi – lo testimoniano i vangeli – sa con tutta se stessa affrontare il dolore della separazione mortale dal suo Signore e sperare nella vita risorta.
La lasciamo andare nel buio del tempo – come nel bel video in bianco e nero di Bill Viola (Acceptance, 2008) presente in mostra – per poi vederla riaffiorare nella sua nudità, sotto l’urto di acqua scrosciante, segno di vita e di forza non lieve. Un getto impetuoso, anche salvifico che a tutti e a tutte capita di sperimentare nel proprio percorso esistenziale.