La Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni, non di rado accostata al J’accuse di Émile Zola sul caso Dreyfus (l’ufficiale ebreo accusato ingiustamente), è un capolavoro di erudizione, finezza psicologica, spirito cristiano, tensione umanitaria, comprensione delle leve della storia e del nostro agire collettivo o individuale.
Dinanzi all’incertezza e al cospetto degli interessi dominanti da preservare, le stesse istituzioni cedono alla corruzione, all’opportunità di offrire capri espiatori, alle fantasie ricorrenti di cospirazioni e complotti. La verità versus i luoghi comuni dell’immaginario collettivo, la superstizione, il comodo indulgere a false spiegazioni tanto cervellotiche quanto seducenti. E, soprattutto, tali da placare la collera popolare.
E a tale acume di certo contribuisce la religiosità sentita e, insieme, complessa del Manzoni maturo. Un cattolicesimo con venature gianseniste il suo, e dunque con uno spiccato senso del dovere, con un rigore morale profondamente radicato, pronti a coniugarsi con una Provvidenza saggia e clemente.
Il Savio, insomma, lungi dal prestarsi a letture strumentali o superficiali, resta un faro per l’Italia e per la civiltà europea e universale.