Confesso di appartenere a quella categoria di cristiani per i quali i “miracoli”, intesi come sospensione delle leggi di natura, sono più motivo di perplessità che di attrazione. In un’epoca dominata dalla scienza e dalla tecnologia, ho l’impressione che il miracolo sia obiettivamente diventato più oggetto di preoccupazione che di illuminazione. In un contesto culturale secolarizzato come il nostro, quanto più è raffigurato come operatore di eventi stupefacenti, tanto meno Gesù è percepito come un mediatore credibile della presenza misteriosa, liberante e onniavvolgente di Dio.
Recentemente ho avuto la fortuna di partecipare a una “due giorni” di riflessione dedicata al tema “Miracoli e guarigioni di Gesù”, che mi ha offerto l’occasione per chiarirmi, al riguardo, le idee. In questa sede cerco di rielaborarle in libertà.
Paolo Scquizzato, apprezzato autore di libri di spiritualità, direttore del centro di formazione spirituale per il laicato Mater Unitatis di Druento (TO), appartenente alla comunità dei presbiteri del Cottolengo, ha sviluppato il tema, presentando in modo, a mio giudizio, illuminante, i miracoli e le guarigioni operate da Gesù come veri e propri atti di umanizzazione.
Fede che fa fiorire l’umano
Il relatore ha esordito ridimensionando drasticamente il modo abituale e tradizionale di considerare i miracoli di Gesù: ossia una prova della sua divinità e la dimostrazione dell’onnipotenza di Dio. I racconti evangelici delle guarigioni operate da Gesù non mirerebbero a questo. Essi sarebbero piuttosto segni dell’irruzione del regno di Dio nella storia degli umani che si è compiuta e si compie con Gesù di Nazaret, «uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di opere potenti, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua» (At 2,22). Sarebbero racconti creati dalla chiesa primitiva la quale, a partire dalla vita indubbiamente straordinaria di Gesù, ha avvertito l’esigenza, da un lato, di esemplificare in che modo Gesù veniva percepito dalla fede dei credenti e, dall’altra, di esplicitare la concezione che di Dio aveva il rabbi di Nazaret. Racconti popolari, quindi, scritti con lo scopo di provocare uno stupore in grado di tradursi in un atteggiamento di fede e di sequela. Essi starebbero essenzialmente a significare che la “salvezza” portata da Gesù non è soltanto qualcosa di spirituale che riguarda la vita oltre la morte, ma coinvolge l’essere umano nella sua interezza, anche nella sua dimensione corporea. In quanto tali, le guarigioni operate da Gesù sarebbero veri e propri atti di umanizzazione.
Nella memoria dei primi cristiani vi è un ricordo di Gesù di Nazaret che rimase emblematicamente impresso: consacrato da Dio in Spirito Santo e potenza, «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (At 10,38). Il che sta a dire che egli dedicava il suo tempo e le sue forze non solo a predicare nelle sinagoghe o lungo le strade, ma a liberare dalla sofferenza e dalla malattia chi era piegato dal male, anche a costo di entrare in conflitto con le istituzioni e i simboli del “sacro”.
Il Dio che Gesù ci rivela grazie ai racconti di quelli che i testi evangelici chiamano «segni profetici» (semèia) o «opere potenti» (dynàmeis) non è il “Dio dei giusti”, ma il “Dio di coloro che soffrono”. Il Dio che desidera “regnare” tra gli uomini e le donne non è un Dio che vuole la sofferenza dei suoi figli e delle sue figlie che sovente disumanizza e sfigura, ma il Dio che guarisce e apre prospettive di vita piena, rimettendo in piedi chi è defraudato della propria dignità. La fede nel Dio rivelatoci da Gesù, dell’umano non produce sottrazioni ma alimenta fioriture.
L’incontro di Gesù con l’umanità sofferente
I racconti delle guarigioni testimoniano che Gesù, «profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo» (Lc 24,19), ha incontrato un gran numero di persone afflitte da svariate malattie: menomazioni fisiche (zoppi, ciechi, sordomuti, paralitici), malattie mentali (gli indemoniati, che designano persone afflitte di volta in volta da epilessia, isteria, schizofrenia, mali la cui origine era attribuita a un impossessamento diabolico), disabilità e infermità più o meno gravi (lebbrosi, la donna emorroissa, la suocera di Pietro colpita da grande febbre).
L’incontro con questa umanità sofferente, con i volti e i corpi sfigurati di tanti uomini e tante donne, gli ha permesso di farsi carico della debolezza e della sofferenza umana, facendogli apprendere l’arte della compassione e della misericordia. Gesù ha «imparato l’obbedienza» non solo da ciò che lui stesso patì (cf. Eb 5,8), ma anche dai patimenti nei quali erano immerse le persone da lui incontrate.
L’evangelista Matteo (8,17) commenta l’attività terapeutica di Gesù con una citazione di Isaia sulla figura del «servo di JHWH» che «ha preso su di sé le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie» (Is 53,4).
Questo genere di racconti evidenzia il fatto che Gesù ha cura della vita. Il verbo greco therapéuein (curare) ricorre 35 volte nei vangeli sinottici, sulle 43 complessive del NT. Mentre il verbo greco iâsthai (risanare) è usato 16 volte nei Vangeli sinottici, sulle 27 complessive del NT. Curare una persona significa innanzitutto servirla e onorarla, averne sollecitudine, restituirle dignità e pienezza di vita.
Al cuore degli episodi di guarigione di Gesù non vi sono le tecniche di guarigione e l’attività taumaturgica o esorcistica fine a se stessa, ma l’umanissima attitudine all’ascolto, all’accoglienza e all’incontro, espressa anche dal contatto e dall’imposizione delle mani che, nel contesto religioso giudaico, significa proteggere e relazionarsi con persone afflitte dai mali con stile di rispetto e di tenerezza.
Un Dio che libera dal male
È importante anche prendere atto che, incontrando i malati e le persone schiacciate dal peso della vita, Gesù non predica rassegnazione, non ha atteggiamenti fatalistici, non afferma che la sofferenza avvicina maggiormente a Dio, non nutre atteggiamenti doloristici. Egli sa che a salvare non è la sofferenza, ma l’amore.
Gesù cerca sempre di restituire al malato l’integrità della salute e della vita; lotta contro la malattia, dicendo di no al male che sfigura l’essere umano; cura e cerca di guarire con tutte le sue forze. La sollecitudine di Gesù per la sofferenza umana rende evidente in modo drammatico che la causa di Dio coincide con la causa dell’umanizzazione degli uomini e delle donne. Il Dio di Gesù è colui che libera dalle malattie e non colui che le invia.
Dai racconti delle guarigioni operate da Gesù emerge che il sogno di Dio non è una sterminata corte di uomini e di donne con la croce addosso, ma un popolo di persone libere e valorizzate nella loro dignità, incamminate verso una vita vissuta in pienezza e responsabilità.
Paolo Scquizzato ha preso in esame dieci episodi narrati nei capitoli 8 e 9 del vangelo secondo Matteo. La sua lettura, in chiave simbolica, ha fatto emergere il senso spirituale e teologico che li accomuna, evidenziandone appunto la valenza umanizzante. Solo qualche esempio.
– L’episodio del lebbroso che chiede di essere purificato (Mt 8,1-4), come occasione per dichiarare il superamento delle categorie del puro e dell’impuro e di ogni forma di discriminazione fondata sulla religione.
– Il centurione (Mt 8,5-13) che implora l’intervento di Gesù per guarire il suo servo gravemente ammalato è lodato per la sua fede, che consiste in realtà soprattutto nella sua grande umanità.
– La tempesta sedata (Mt 8,23-27), come invito a non lasciarci sopraffare dalle tragedie della vita, a non rassegnarci al male e a considerarlo un’opportunità per far emergere il bene: Dio, anche se non ci toglie dalla tempesta, ci sostiene dentro la tempesta.
– Lo «scacciare i demoni» da parte di Gesù (Mt 8,28-34), immagine del liberare da ciò che, dentro di noi, impedisce di essere liberi e pienamente umani…
Pagine che coinvolgono
Questo modo di leggere i “miracoli” mi è di aiuto per uscire dal ruolo di spettatore, meravigliato e affascinato: «Oh, che bello! Oh, quanto è bravo questo Gesù!». Cosa che in realtà non mi tocca più di tanto, perché sembra essere in fondo solo un affar suo….
Con la lettura in chiave antropologica e simbolica delle guarigioni operate da Gesù proposta da Paolo Scquizzato, mi ritrovo nella coinvolgente posizione di discepolo, in ascolto, interpellato e provocato da qualcosa che mi riguarda, che dice qualcosa a me, nella mia situazione, nella mia vita. Qualcosa che mi chiama a divenire persona più pienamente umana, più determinata nel promuovere processi di umanizzazione, più libera, più capace di cogliere nelle profondità del mio essere la presenza e l’amore di Dio e, dunque, più capace di relazioni buone, costruttive, fraterne e sororali con tutte le persone che incontro.
Il fine verso cui i racconti delle guarigioni operate da Gesù tendono è quello di rendere il lettore del Vangelo disponibile alla sequela di Gesù di Nazaret, il «narratore di Dio» (Gv 1,18), nel quale Dio è entrato in azione, operando per la salvezza dell’umanità e della storia.
Raccolgo con gratitudine questo messaggio forte e cerco di fare del mio meglio per applicare a me stesso l’invito da Gesù rivolto ai suoi discepoli: «E, strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8).
Bello e utile. Grazie. Mimmo