In questo intervento mi occupo di spiritualità e storia culturale della modernità. La Modernità è caratterizzata dall’affermarsi della ragione autonoma contro il vecchio modello della ragione subordinata alla fede.
La ragione autonoma nasce dalla rivoluzione della scienza sperimentale galileiana e prosegue nell’applicazione scientifica all’organizzazione della società propugnata dall’Illuminismo. Da una parte l’impressionante progresso tecnologico promosso dalla Rivoluzione Industriale, dall’altra la nascita delle ideologie che si prefiggono la realizzazione del “paradiso in terra”.
Cominciamo dalle seconde: l’espansione del movimento democratico e socialista è travolgente durante tutto l’800 e perviene a un punto di svolta con la Rivoluzione Bolscevica del 1917. Da qui si diparte la nascita di un sistema politico totalitario che, schiacciando le masse di cui si proclamava rappresentante, finisce, dopo incredibili orrori, per crollare miseramente sul finire del secolo. Questo crollo si porta con sé la perdita delle speranze della possibilità di cambiamento radicale dello stato del mondo, nella costruzione di una nuova società giusta e fraterna.
Altro destino è quello della Scienza, che, pur con le grandi contraddizioni dell’applicazione delle sue scoperte alla distruzione umana, di cui la bomba atomica è il più plastico esempio, non perde slancio e anzi si afferma come il modello pervasivo di organizzazione della vita umana, mantenendo le sue promesse di sempre maggior benessere materiale anche se questo è mal distribuito a causa di un modello economico iniquo come quello capitalista.
L’individuo senza legami
La conseguenza principale del prevalere del modello tecnologico a guida capitalista è la perdita di quel collante sociale che le ideologie procuravano agli esseri umani facendoli sentire protagonisti di un grande progetto collettivo a cui ognuno poteva dare il suo contributo. Al suo posto è rimasto solo l’atomo individuale alla ricerca di un benessere pubblicizzato come alla portata di tutti e che invece prevede la lotta di tutti contro tutti nella giungla metropolitana.
Questa perdita di senso di appartenenza a una comunità ha riportato in superficie ciò che era stato rimosso dal prevalere nella modernità della “Dea Ragione” incoronata in Francia dalla Rivoluzione Francese.
La promessa dal lato scientifico e dal lato politico del paradiso in terra aveva rimosso la questione del senso più profondo della vita umana di fronte alla tragicità dell’esistenza, questione che le società a base religiosa avevano ben presente. La modernità ha buttato, con l’acqua sporca dell’organizzazione teocratica del potere e la conseguente mancanza di libertà, il bambino del bisogno di spiritualità che l’essere umano ha sempre provato per non sentirsi isolato nel mare tempestoso dell’esistenza.
La scienza e l’ideologia hanno disconosciuto questo bisogno considerandolo illusorio e frenante il progresso che si prefiggevano, ma per fortuna della storia umana c’è stato qualcuno che ha continuato a occuparsi della realtà umana profonda: i filosofi.
Il male: tra mito e pensiero
La Filosofia fin dall’antica Grecia ha proposto una riflessione sulla presenza del male nel mondo, quello procurato dagli esseri umani ma anche quello procurato dalla stessa natura, con al centro il problema dei problemi: la Morte.
La filosofia greca si pose in contrapposizione con la religione mitica degli Dei sostituendola con una riflessione razionale sull’Essere del Mondo, sul suo significato più profondo, elaborando una serie di soluzioni legate a diverse scuole filosofiche, che vedono però nelle figure di Socrate, Platone e Aristotele i suoi massimi teorici.
In particolare Platone razionalizza la visione di un ente superiore, uno e non molti, ma senza bisogno di racconti mitici caratterizzanti anche le religioni monoteiste allora esistenti come l’Ebraismo: il suo sistema legato all’Idea e al Bene è una meravigliosa architettura in cui la realtà si divide nettamente tra quella ideale rappresentata dalle Idee e dal Bene e dall’altra il mondo materiale che è frutto della creazione di un Demiurgo e che è essenzialmente imperfetto, anche se può aspirare a un’elevazione dell’essere umano dotato di coscienza attraverso un duro lavoro su se stesso per uscire dalla sua condizione originaria di ignoranza (qui le riflessioni di Socrate sono alla base della successiva filosofia di Platone).
Aristotele invece cerca di unificare la dimensione dell’Essere originario, il Motore Immobile con la realtà materiale che da lui deriva, attraverso l’introduzione del concetto di sostanza e di Causa attraverso l’essere in potenza e in atto, in altre parole fisicizza l’indagine sull’altrove e si pone il problema di come questo si relazioni con il mondo, l’infinito col finito e definisce per la prima volta il termine Metafisica che contraddistinguerà tutta la storia della filosofia come termine irrinunciabile per la ricerca sull’Essere. Il male qui è considerato come un attributo solo umano e il massimo che si può richiedere all’umanità è di costruire un mondo più giusto attraverso la Politica.
La filosofia successiva si intreccia decisamente con la rivoluzione religiosa del Cristianesimo e utilizzando le concezioni greche le rende compatibili con le verità di fede. Agostino riprende Platone, Tommaso Aristotele ed è in particolare lui che congegna un sistema poderoso, ma che, secondo i dettami dell’epoca, deve rendersi “ancella della teologia” e non può pretendere l’autonomia e men che meno la superiorità della ragione sulla fede. Nella sua summa teologica si dedica soprattutto a dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio. Il male è secondo la teologia cristiana dovuto al Peccato Originale.
La modernità filosofica si annuncia invece come liberazione dall’ipoteca religiosa e afferma con forza l’autonomia della ragione contro l’eteronomia della cultura premoderna. È in particolare Immanuel Kant colui che in questo si staglia come il vero padre della filosofia moderna, ma da vero filosofo qual’era non segue lo scientismo prevalente nella sua epoca nell’abbandono della spiritualità.
Costruisce, è vero, la sua filosofia critica in contrapposizione alla metafisica della Scolastica medioevale, ma riconosce che la realtà non è solo quello che si vede (sotto al Fenomeno c’è il Noumeno) e che anche se non si può dimostrare un altrove con la stessa certezza empirica dell’aldiquà lo si può pensare come il presupposto della nostra realtà, soprattutto con l’analisi della sua intima bontà, data dal suo ordine, che ci fornisce un senso compiuto dell’esistenza. Queste considerazioni non si basano su una fede rivelata ma solo sul ragionamento e questa è la “Religione entro i limiti della sola ragione”, titolo anche di una sua opera.
Tutto risolto allora? Non proprio, perché seppure Kant abbandona la pretesa di dimostrazione forte dell’esistenza di Dio da parte della filosofia Tomistico-cristiana e ne fa solo un presupposto di compiutezza della realtà, in particolare di quella morale, mantiene della vecchia filosofia una giustificazione del male nel mondo, che viene denominata come Teodicea, che vede l’origine del male solo nel comportamento umano.
Ma questa giustificazione è debole di fronte alla critica atea che nasce dall’indignazione di fronte all’idea di un Dio buono che tollera le sofferenze infinite delle sue creature e di fronte alle quali non vale nemmeno la soluzione del libero arbitrio dell’essere umano che sceglie coscientemente tra il bene o il male. Perché il male non è solo quello provocato dall’umanità ma c’è anche quello provocato dalla natura e non a caso di fronte al terribile terremoto di Lisbona del 1755 Voltaire abbandona il suo deismo precedente.
Hegel e i suoi eredi
Il problema sta nel dualismo tra Dio e le sue creature a cui la dottrina cristiana ha cercato di porre rimedio con l’incarnazione di Dio, che patisce le sofferenze degli altri uomini e attraverso la sua resurrezione ridona speranza all’umanità perduta. Ma questo è un racconto mitico che per la ragione critica moderna non cambia le carte in tavola.
Quindi non è un caso che di fronte a questo scacco della filosofia kantiana ci sia stata nella filosofia posteriore una ripresa di una proposta di diversa metafisica da parte della filosofia idealistica tedesca che trova il suo apogeo nella proposta teorica di Hegel.
Il maggior filosofo dell’Idealismo contro il dualismo propone una spiegazione monista della realtà che unisce Dio al mondo, come aveva già fatto in precedenza Spinoza: Hegel definisce tutto ciò che è reale come razionale e tutto ciò che è razionale come reale, dove l’accento principale è sul razionale, per evidenziare che è il pensiero che domina tutto o come preferisce dire Hegel lo Spirito. Questa soluzione risolve la presenza del male perché, di fatto, la elimina, la considera come una parte necessaria della realtà, che chiama il Negativo, perché il mondo è essenzialmente divenire e in quanto tale dialettico.
Da parte del Tutto non c’è mai una perdita irreparabile, perché continua la sua permanenza e il suo sviluppo nella Storia Umana; la sofferenza del singolo non può essere al centro della nostra attenzione che in quel caso sarebbe un’attenzione puramente egoistica e non comprensiva delle sorti dell’Umanità intera.
Ma questa soluzione monista di Hegel se ci si pensa è una non soluzione, sempre rispetto all’indignazione dell’ateo di fronte all’imperfezione del Tutto verso i singoli individui e non è un caso che la reazione anti hegeliana posteriore alla sua teoria fu veemente in molti campi, della cultura non solo filosofica, non solo ateistica ma anche religiosa (un nome su tutti Kierkegaard), e poi, di fatto, Hegel elimina la figura di Dio perché è la Realtà, seppur spiritualizzata e in particolare la Storia, che ne assume le veci.
Ed è proprio da questa considerazione che il discepolo più famoso di Hegel, Karl Marx, intende risolvere l’aporia eliminando la spiritualizzazione hegeliana, rimettendo, come afferma lo stesso, la sua filosofia coi piedi per terra, facendola diventare materialista. Il divenire, con la sua componente dialettica è effettivamente la legge della storia, ma questa è materiale e in questa sfera vanno risolti i problemi filosofici: la sfera religiosa anche se trattata filosoficamente è solo alienazione.
Ma è Friedrich Nietzsche che va ancora più in là, radicalizzando il materialismo marxiano che considerava ancora la coscienza razionale un momento importante nella sua costruzione filosofica; Nietzsche al contrario ritiene che l’essere umano deve conformarsi completamente alla natura, che è istintuale, che non conosce la morale ed è al di là del bene e del male e per questo è felice.
E, dopo il fallimento del marxismo nelle sue attuazioni politiche, è proprio quest’eredità nicciana che ha influenzato di più la filosofia contemporanea nella cosiddetta filosofia postmoderna francese con Foucault, Derrida e soprattutto Deleuze, che vedono nel puro divenire, ancor più se mancante di un senso compiuto, il massimo della libertà esperibile dall’essere umano. Il male è nel Soggetto razionale che vuole imbrigliare la forza dell’essere che va oltre le dualità astratte del pensiero che non vuole arrendersi al divenire: il divenire di fatto diventa la nuova divinità.
Si potrebbe dire che non c’è molta differenza tra quest’esito e quella che è la corrente dominante nella cultura scientista attuale, il neopositivismo logico, che considera i problemi metafisici nemmeno pronunciabili perché illogici. Ma almeno la filosofia, anche in questa versione di decostruzione estrema, non ha rinunciato a confrontarsi con la sua tradizione e cerca di sfruttarla, magari in modo spregiudicato, per le sue nuove teorie.
E poi, sebbene non così popolari, come le filosofie postmoderne, se ampliamo il nostro sguardo ad approcci minoritari nella storia della filosofia, possiamo trovare alcune teorie che possono segnare un nuovo cambio di paradigma nel pensiero metafisico che potrebbe essere utile per tentare di avere più successo nella ricerca di un senso dell’esistenza.
Processualità
Infatti c’è una terza via tra il deismo e l’immanentismo che è la filosofia processuale dell’Essere, cioè un monismo che non fa coincidere semplicemente la divinità col mondo ma che contempla più dimensioni che l’Essere ha assunto nella sua cronologia d’esistenza. La teoria processuale assume il divenire come importante ma lo lega a uno scopo, a una teleologia o come ci piace dire, riprendendo un termine della tragedia greca a una Teogonia.
Suoi esponenti principali sono: il filosofo antico Plotino, che vede il mondo non come creazione di Dio ma come sua emanazione, cioè come una mutazione del suo stato originario; Alfred North Whithehead che vede il mondo come un’altra faccia di Dio e in evoluzione e Teilhard de Chardin, che vede l’approdo dell’evoluzione dell’Essere in noi esseri umani, che apparteniamo oltre che alla biosfera alla Noosfera, cioè alla sfera del pensiero che ha caratteristiche eminentemente immateriali e una sua dimensione precipua.
Io unisco le tre prospettive sopra delineate in questo modo: L’essere del mondo è un progetto incompiuto perché confinato in una dimensione spazio-temporale che ha prodotto la biosfera ma all’ultimo stadio della sua evoluzione aggiunge la noosfera, dimensione tipicamente umana, che potenzialmente supera i limiti del divenire materiale in un nuovo salto evolutivo che si compirà fuori dallo spazio-tempo.
Nel nostro appartenere già in parte alla noosfera sentiamo i limiti della biosfera, li giudichiamo soprattutto moralmente per l’indifferenza della natura al destino dei singoli che sono solo funzionali alla sua perpetrazione come Tutto. Per liberarci appieno come individui abbiamo il bisogno di entrare a pieno in una dimensione che valorizzi in modo assoluto ogni vita, ogni coscienza, cioè nella noosfera pura al di là dello spazio e del tempo. La noosfera pura ci permetterà la riparazione della realtà che abbiamo subito e di realizzare compiutamente quello che abbiamo cominciato a creare nella nostra vita terrena, ed ecco perché affermiamo, con ottimismo, che il nostro destino indefettibile è la Creatività.
In conclusione la processualità dell’Essere risolve il problema della Teodicea perché vede il male come imperfezione della storia dell’Essere che attraverso la natura umana può essere corretta: le coscienze unite porteranno alla realizzazione del bene, finalmente senza il male.
Creatività e destino
In aggiunta ci si potrebbe chiedere che ne è, in questo impianto teorico, del vecchio concetto della religione classica della giustizia divina con il suo principio di redistribuzione delle colpe e dei meriti degli esseri umani nella vita terrena, con la divisione degli stessi per la loro destinazione al Paradiso o all’Inferno?
Bene, nella mia prospettiva non mitica la questione si pone e dipende da quanto nella vita terrena si è coltivata la propensione spirituale della creatività rispetto alla dimensione dei bisogni puramente materiali.
Ma prima di affrontare di petto la questione voglio fare un esempio di quanto la prospettiva qui proposta possa diventare risolutiva anche in casi che sembrano contraddire la strutturalità della dimensione mentale nella vita umana già ora e qui; parliamo della disabilità mentale: chi ha avuto lesioni fisiche al cervello che gli hanno impedito di esercitare la facoltà creatrice del pensiero quando sarà liberato dalle costrizioni fisiche della biosfera e accederà alla noosfera vedrà liberato il potenziale inespresso nella vita terrena e potrà creare liberamente.
Per quanto riguarda chi ha potuto esercitare liberamente le potenzialità benefiche del pensiero c’è la questione se abbia scelto di farlo o meno. Chi ha scelto di seguire la strada dei soli bisogni materiali nella prospettiva totalmente immateriale della noosfera troverà evidenti difficoltà ad adattarvisi e dovrà esercitarsi in un lavoro su se stesso per colmare il gap di crescita accumulato. Il disagio di questa condizione è quello che corrisponde all’inferno della vecchia concezione, ma come si evince da quanto accennato questa condizione non sarà eterna e qui voglio ritradurre un vecchio concetto della teologia cristiana: l’Apocatastasi.
Per alcuni teologi, in omaggio al messaggio di redenzione per tutti di Gesù Cristo, la dannazione non può essere eterna e la salvezza è il destino finale dell’umanità. Tradotto in termini laici: nella noosfera c’è sempre un percorso possibile per ogni coscienza di elevazione allo stadio superiore di verità e giustizia.