Il 12 novembre scorso si è spento Stan Lee, fumettista e sceneggiatore statunitense che insieme a Jack Kirby e Steve Ditko è stato il padre dei più famosi supereroi dell’universo Marvel. Quest’ultimo è diventato un media franchise di ineguagliabile successo in tutto il mondo e si può pensare che la Marvel pianga il suo creatore in questo momento, visto e considerato che proprio la saga cinematografica degli eroi Marvel ha come motore narrativo il conflitto generazionale tra padri e figli, vecchi e nuovi eroi, mentori e allievi.[1]
Ultimamente la febbre dei supereroi si è estesa a diversi immaginari anche extra-occidentali, dando vita a riletture e nuovi sguardi sul tema come solo una cultura differente può fare. Tra questi tentativi uno fra i più interessanti va riconosciuto a My Hero Academia, un manga (parola con cui si indicano i fumetti in Giappone) scritto e disegnato da Kohei Horikoshio, edito in Giappone dal 2014 e in Italia dal 2016 per Star Comics. Dall’aprile 2016 il fumetto è diventato una serie animata e conta al momento tre stagioni e una quarta in lavorazione, mentre il lungometraggio My Hero Academia: Two Heroes è stato rilasciato nei cinema giapponesi all’inizio di agosto di quest’anno e in settembre negli Stati Uniti.[2]
Il manga di Kohei Horikoshi ha conquistando un gran numero di fan e una fama diffusa, non soltanto grazie al successo ottenuto con la terza stagione della serie animata ma anche per via delle vendite del nuovo volume del manga negli Stati Uniti. Esso è riuscito a conquistare il secondo posto nella classifica delle 20 migliori graphic novel per adulti di BookScan negli USA per il mese di ottobre 2018, superando addirittura titoli come Batman e The Walking Dead. Inoltre il film d’animazione ha incassato cifre mai viste prima in America, un traguardo impressionante per il franchise nipponico, che quest’anno è diventato uno dei più celebri a livello mondiale.
Il successo straordinario ottenuto dal franchise di My Hero Academia deve fare pensare, perché il fumetto di Horikoshi guarda certamente con venerazione al mondo dei supereroi americani, ma al tempo stesso ne costituisce una delle satire più intelligenti e acute. Vediamo come.
La storia My Hero Academia è ambientata in un mondo in cui l’80% della popolazione nasce con la capacità di sviluppare superpoteri denominati Quirk (Unicità), che nei bambini si manifestano entro l’età di quattro anni. Questo ha però portato anche a un aumento di criminali dotati di superpoteri, così molti soggetti dotati di Quirk sfruttano le loro capacità per combattere il male come veri super eroi, tanto da fare diventare quest’ultima una professione riconosciuta dallo stato e preparata in apposite scuole, per futuri supereroi professionisti. In questo mondo seguiamo le vicende di Izuku Midoriya, un ragazzino che sogna di poter diventare a sua volta un eroe, pur essendo nato senza Unicità.
In My Hero Academia assistiamo inoltre alla lotta tra due unicità molto particolari: la prima è quella del temibile e malvagio All For One, dotato di un potere capace di rubare le unicità altrui e farle proprie, la seconda è invece chiamata One for All; essa non nasce con il suo possessore e nemmeno rimane per sempre a chi la possiede, ma deve essere necessariamente passata, come un testimone, ad un successore che dovrà farla crescere e sviluppare secondo le sue capacità personali. Detentore di One for All è All Might, l’eroe numero uno.[3]
Ma All Might, muscoloso e sorridente davanti ai riflettori, nasconde un segreto: egli può mantenere questa forma soltanto per poche ore prima di trasformarsi in un uomo magro e malato. All Might troverà proprio in Midoriya il suo erede e nuovo detentore di One For All. Ma il passaggio di consegna del potere non è immediato e nemmeno facile: Midoriya dovrà dare tutto se stesso e superarsi continuamente per comprendere come far crescere dentro di se il potere donatogli da All Might.
Sotto questo aspetto My Hero Academia mette in scena il rapporto maestro e allievo (ma anche padre e figlio), in un modo che non solo commuove ma che supera per intensità quello che spesso ci viene offerto nel sopra citato universo Marvel e in altre produzioni famose.[4] Nell’opera di Horikoshi non è centrale il conflitto tra adulti e adolescenti ma bensì la bellezza e la fatica di una reciprocità, quella tra maestro e allievo appunto, che viene costruita passo passo senza facili scorciatoie, distacchi repentini o ribellioni adolescenziali.
Frutto di una sensibilità tutta nipponica, la figura di All Might rimane centrale nell’opera di Horikoshi e affascina per la sua disponibilità nel lasciarsi sorprendere positivamente dalle risorse messe in campo da Midoriya e da chi come lui ha deciso di intraprendere la strada dell’eroe. Il più grande insegnamento dei maestri – e dello stesso All Might – è quello di offrire la possibilità ai propri allievi di liberarsi dall’idea stessa che ci facciamo di loro, evitando così di trasformare l’ammirazione in un modello, in un vincolo che inibisce lo sviluppo delle loro unicità. Siamo curiosi di sapere come la storia di Midoriya si svilupperà; per adesso ci accontentiamo di un’opera che intrattiene e diverte ma che soprattutto ci invita guardare al rapporto tra adulti e ragazzi con ottimismo e speranza.
[1] Vedi articolo Avengers: infinity war su SettimanaNews.
[2] Il film è uscito nelle sale giapponesi il 3 agosto 2018, mentre, negli Stati Uniti, il 25 settembre. Il titolo uscirà inoltre in Inghilterra a dicembre, in Francia e Germania verso febbraio 2019. In Italia l’uscita è prevista invece per marzo 2019.
[3] Il design atipico e grottesco di All Might, eroe non più giovane e chiara parodia di Capitan America, ha destato numerose perplessità anche tra i collaboratori dello stesso Horikoshi, che proprio grazie a queste reazioni ha deciso di non cambiare la fisionomia del personaggio.
[4] Vedi Star Wars episodio VIII su SettimanaNews.