Notre-Dame e le aspirazioni umane più profonde

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Notre-Dame è ben più di un magnifico monumento. Fedelmente ricostruita grazie alla collaborazione delle autorità pubbliche, dei donatori e di meravigliosi artigiani, è finalmente restituita al culto. Vorrei mostrare – al di là dell’interesse mondiale che la ricostruzione della cattedrale ha suscitato – che essa è un’immagine della comunità umana totale. Ben oltre le credenze di ciascuno, esprime alcune delle aspirazioni umane più profonde.

Anzitutto, mi sembra che la comunità umana desideri fortemente un luogo che esprima le sue aspettative. Essa deve potersi rappresentare, «contenuta», in un luogo che le si addice, un po’ come lo sarebbe un modello in scala, un luogo bello, accogliente e forse ancora più prezioso per aver rischiato di scomparire.

Poi, se penso che Notre-Dame sia il luogo migliore per esprimere queste aspirazioni, è perché riflette ciò che la madre di Gesù esemplifica. Serve qui un passaggio attraverso il celebre racconto dell’Annunciazione, dove Luca ritrae la giovane Maria che riceve l’improbabile visita di un angelo per annunciarle che sarà la madre del Signore.

Più che la madre di Cristo

Maria avrebbe potuto semplicemente essere la madre di Cristo, e sarebbe stata onorata per questa ragione decisiva. Ma c’è qualcos’altro nel profilo di questa giovane a cui Luca ci rende sensibili: il racconto evangelico presenta una stranezza che si rivela più difficile da percepire di quanto si possa pensare: è senza testimoni.

Certo, possiamo cercare di scoprire chi possa aver raccontato a Luca ciò che è accaduto nella stanza della ragazza, ma a parte il fatto che la cronologia difficilmente si presta a questo, siamo autorizzati a supporre che Luca abbia deliberatamente scritto questo racconto perché gli dava una giustificazione diversa da quella narrativa.

In effetti Luca descrive questa giovane con gli stessi termini usati in un altro libro della Bibbia – del Primo Testamento – il libro del Deuteronomio, per esprimere le qualità che presiedono alla relazione tra Dio e il suo popolo, Israele. Egli attribuisce alla giovane Maria i tratti stessi del popolo che Dio definisce dei suoi desideri: è visitata dall’angelo, è piena di grazia, è in ricerca e il suo sì è segno del suo desiderio di alleanza con Dio. Allo stesso tempo, Dio visita il popolo che ha scelto e che lo ascolta e stringe un’alleanza per venire a vivere in mezzo a loro.

L’accoglienza e l’ascolto di Maria

Ci sono dunque delle valide ragioni per paragonare la giovane descritta da Luca a un Israele diventato totalmente docile alla volontà di Dio. Maria è questo Israele che Luca auspica. Diventata figura collettiva, la giovane porta in sé tutte le qualità che il racconto le riconosce: esprime l’accoglienza, l’ascolto, l’attesa, la disponibilità e anche il consenso a qualcuno più grande di sé, imprevedibile, sconcertante, ma che si realizza, come il bambino che porta in grembo senza ancora sapere nulla di lui, come sarà sconcertante il Cristo delle Beatitudini.

Tutte queste aspirazioni della comunità credente sono incarnate da Maria, che nel Medioevo ricevette il titolo eminente di Notre Dame, Nostra Signora (Domina), l’equivalente di Dominus per Cristo, e che ha dato il suo nome al monumento eretto sull’Île de la Cité. È quindi legittimo dire che Notre-Dame è la «Casa di Maria», figura collettiva delle aspirazioni umane di cui sopra. E l’accoglienza che promuove è quella di Cristo.

Accogliere chi è più grande di sé

Tale speranza collettiva, rivolta all’accoglienza di qualcosa di più grande di sé, non solo non è intaccata dalla secolarizzazione, ma la trovo molto attuale. A patto che si allarghi adeguatamente il quadro giudaico-cristiano per designare l’aspirazione dell’intera comunità umana, quella di saper accogliere ciò che non è evidente, ciò che è sconcertante, ma il cui seme è già stato gettato in ogni essere umano.

A Istanbul, nell’antico monastero di San Salvatore in Chora, Maria è chiamata «dimora dell’Incontenibile», termine che designa il Cristo. Notre-Dame vuole essere questo: il luogo di accoglienza dell’incontenibile. Credo che il cuore umano abbia in sé questa aspirazione all’incontenibile.

Mi spiego così l’intenso sentimento di perdita provato durante l’incendio dell’aprile 2019, e il gioioso sollievo di fronte alla folgorante ricostruzione, di fronte a questo luogo ormai aperto a un’attesa umana discreta come il granello di senape, ma che nulla può contenere ne reprimere. Senza tale attesa, nessuna libertà, nessun soggetto, nessuna mano tesa verso l’altro, nessuna esplorazione audace.

Notre-Dame del «benvenuto»

Notre-Dame sarebbe quindi il luogo in cui diciamo «benvenuto» a tutto ciò che ci viene incontro, a partire dal mio prossimo, continuando con coloro che mi sono sconosciuti o lontani, e passando per quell’intimo «io» che ancora non conosco. Benvenuto ai mondi sconosciuti, all’infinitamente grande come all’infinitamente piccolo.

Lungo queste colonne che salgono verso un altrove inafferrabile, il mio sguardo è attratto dalla stessa promessa che un tempo ricevette la giovane figlia di Nazareth, quella di un altrove, di un altro e di un domani. Notre-Dame del benvenuto… a tutto ciò che mi supera e mi realizza.

Anne Soupa, teologa, è autrice con Sylvaine Landrivon del volume Marie telle que vous ne l’avez jamais vue, Salvador, Paris 2024. Articolo pubblicato sul sito de La Croix il 12 dicembre 2024. Nostra traduzione dal francese (qui il testo in lingua originale)

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