Sono arrivato in via Nosadella, comunità del Centro Editoriale Dehoniano, nel luglio del 1971, destinato, per decisione del provinciale, condivisa dalla comunità, a lavorare metà tempo al Regno e metà tempo al settore volumi. in giugno, la comunità si era spaccata sulla linea del Regno tra chi appoggiava incondizionatamente il dissenso ecclesiale e chi chiedeva più senso critico. Pensavo di entrare in un gruppo di lavoro, mi trovai tra due gruppi contrapposti.
Tra luglio e settembre fu un susseguirsi di incontri, difficili, faticosi e imbarazzanti, presenti i padri della comunità e i redattori della rivista al momento sospesa (difatti si saltò un numero dell’annata). Il 4 ottobre tenemmo l’ultima riunione e votammo un testo chiuso in cui si ritrovava la maggioranza della comunità: «questa è la linea della rivista; essa continua con i redattori che la condividono». Ci furono cocci rotti, amicizie ferite, abbandoni pesanti. Ma si ripartì.
Da quel momento p. Franchini e il segretario di redazione, Battista Giusti, furono i miei punti di riferimento «professionale». Nel senso che loro sapevano come si confeziona una rivista e io, direttore, dovevo imparare. Il nostro rapporto è stato di reciproco riconoscimento nella distinzione dei ruoli e nella diversità di carattere e di formazione.
Padre Enzo mi è stato accanto, ha avuto fiducia in me, mi ha spinto e aiutato a fare il direttore in una comunità che era divisa e smarrita. Un tratto della sua vita è stato quello di valorizzare le persone; non mi ha mai dato l’impressione che qualcuno gli facesse ombra.
Nella redazione ha sempre favorito nuovi inserimenti, così da creare una rotazione positiva di sensibilità e di interessi diversi.
Ha intuito i filoni nuovi emergenti nella società e nella Chiesa: la sua ricerca sulle nuove comunità, sui movimenti e i gruppi ecclesiali ha anticipato e poi accompagnato in modo critico una stagione ecclesiale propria e feconda della Chiesa italiana.
Ha sempre insistito che solo sulla base di informazioni serie e documentate poteva nascere una riflessione utile nella Chiesa: dall’informazione alla riflessione è stata da sempre la linea del Regno e ha segnato anche le altre riviste che presero vita all’interno e attorno al CED:
La sua passione per la catechesi è nata nella scuola (ha steso un testo di religione quando ancora la materia era agli inizi); egli l’ha poi è trasferita in ambito pastorale, appoggiando in modo convinto il movimento catechistico nella Chiesa italiana. Fu chiamato a far parte del gruppo di redazione del Catechismo degli adulti pubblicato dalla CEI e ne curò in gran parte la prima stesura. Fu per lui un momento di grande lavoro e di profonda soddisfazione.
Intuitivo e imprevedibile, si inseriva nei gruppi di lavoro e ne accettava la dialettica dell’insieme. La sua asistematicità e le sue intuizioni si accompagnavano alla facilità del dire. Ne nascevano a volte situazioni paradossali e divertenti, «alla don Chisciotte», come diceva p. Albiero. E il tutto si trasformava in allegria del lavorare volentieri insieme.
È stato generoso nel suo impegno pastorale diretto in diverse parrocchie (Santa Teresa in quartiere Mazzini, Sasso Marconi…), ove ha raccolto molte soddisfazioni dalla gente, meno dai parroci che aiutava.
Era del tutto disinteressato di fronte a incarichi, riconoscimenti e carriera. Scherzava di se stesso, dicendo che in tutte le consultazioni pubbliche per le nomine in provincia il suo successo più clamoroso fu quando ricevette due voti (dìcesi 2) per l’indicazione dell’economo provinciale.
Ha avuto, come tutti, la sua parte di sofferenza nella vita. Mi sorprese e commosse la prima volta che mi coinvolse in un vissuto personale molto doloroso. E lui fu contento e tolse il freno a mano quando lo portai alle sagre di montagna o alle feste allargate dei miei familiari.
Abbiamo dato e ricevuto scambievolmente. Guardando indietro, questo «dato e ricevuto» è motivo di benedizione e di ringraziamento alle persone e al Signore.
Poche parole ..per Padre Albiero..