Nel corso dell’annuale Assemblea plenaria delle Pontificia accademia per la vita si è svolto il workshop «Roboetica. Persone, macchine, salute». Nello stile e nei contenuti si è trattato di una pratica di Chiesa capace di corrispondere alle potenti sollecitazioni di papa Francesco.
La capacità di convocare competenze e professionalità a livello globale, allestendo uno spazio di riflessione e confronto libero e sereno (senza mete predeterminate da raggiungere, o parametri di pensiero a cui attenersi strettamente – se non, appunto, pensare bene e seriamente), intrecciando tra loro in una dimensione non competitiva patrimoni di esperienza personale raccolti sul campo delle pratiche quotidiane.
Il tutto in un clima cordiale, con formalità ridotte al minimo, piatto in mano per il buffet e coda per il caffè… Un bagno di sana umanità, con la possibilità di trattare di questioni serissime in una cornice di possibili relazioni davvero fraterne.
Dare nome alle cose
Ma anche la messa a disposizione di un ambiente affidabile, in cui poter dare nome ad ambivalenze e problemi legati a un orizzonte complessivo, quello della tecnica e delle biotecnologie, in cui si sta già giocando la partita dell’umano che verrà. Dire esplicitamente, apertamente, il peso della posta in gioco: senza demonizzare o esaltare, ma con rigore e passione.
Non abbiamo tanti luoghi simili a questo nel frangente attuale della storia umana. Troppe volte non l’università, da cui provenivano molti dei relatori, oramai risucchiata dal vortice di una dipendenza economica rispetto agli interessi del privato. Non le grandi corporation o le aziende di settore, preoccupate di massimizzare il più rapidamente possibile il ritorno dei loro investimenti. Non il dibattito pubblico, che si fa sempre più misero di idee e aggressivo nei toni.
Spazi di una Chiesa possibile
Che un luogo così possa essere oggi offerto dalla Chiesa cattolica, traballante nelle sue strutture, litigiosa nei suoi schieramenti, stremata nel rincorrere affannosamente decenni di errori nelle politiche del personale ecclesiastico, potrebbe sorprendere i più (anche tra i suoi).
Eppure, i due giorni di workshop su «Roboetica. Persone, macchine, salute» (25-26 febbraio), incastonati nel quadro dell’Assemblea plenaria della Pontificia accademia per la vita, hanno avuto proprio questo fecondo e sapiente profilo.
Quando mette in campo la sua passione per l’umano, il suo desiderio di accompagnarne gli slanci di cui è capace e di pensare criticamente insieme gli angoli ciechi che ogni progetto inevitabilmente porta con sé, la Chiesa può essere questo spazio ospitale che raccoglie il meglio dell’umana intelligenza, dedizione e conoscenza.
Ciò che la Pontificia accademia per la vita è divenuta in pochi anni, come snodo di interlocuzione con la cultura e i processi di trasformazione più avanzati che espongono l’umano all’incerto mai pienamente controllabile, è a mio avviso il buon frutto di una ricezione cordiale e competente delle assunzioni di responsabilità che Francesco ha reso possibili, e alla fin fine esige, per ogni credente.
Oltre ogni guerra di civiltà
Una fede ben in-formata dalla storia di Gesù, abituata a frequentare la quotidianità della vita umana, educata al lento e faticoso apprendimento della migliore intelligenza possibile del Vangelo, non è mai aggressiva e ostile nei confronti della cultura umana.
Non lo è neanche quando quest’ultima con arroganza pensa di poter liquidare la fede come la follia infantile di un umano aggiogato da una potenza arcaica e un po’schizoide.
Quando non sei lì a difendere a oltranza le tue ragioni per garantirti un qualche residuale monopolio di potere, ma ti disponi ad ascoltare fino in fondo le ragioni e le motivazioni delle imprese dell’umano, stai tranquillo che i cervelli più fini e le anime più sensibili ti sentiranno come partner affidabile per una buona alleanza a favore dell’umano che tutti condividiamo – come auspicato da papa Francesco nel suo discorso ai membri della Pontificia accademia per la vita.
Il sogno di regredire a un’epoca pre-tecnica non è solo una chimera, ma contiene in sé un tratto di violenza nei confronti della storia umana pari a quella che essa ha saputo produrre nei suoi tornanti peggiori. Non è solo questione di realismo, ma di riconoscere l’uomo capace e, al tempo stesso, la drammatica inscritta in questo suo originario poter/saper fare.
Questo è il lavoro della fede, e su questa base la Chiesa cattolica può diventare luogo di una cura spirituale sui fondamentali dell’umano presso cui convocare, di volta in volta, la qualità migliore delle competenze professionali in circolo nel nostro mondo.
Per un ethos dell’ambivalenza
Gli esiti dei processi tecnologici e delle procedure biotecnologiche rimangono, a tutt’oggi, aperti. I mutamenti raggiunti chiedono, però, già ora nuovi codici e nuove istanze. Chiedono al diritto, alla morale, e alla teologia stessa, lo sviluppo di un immaginario inedito, capace di reggere la parzialità delle soluzioni più adeguate allo stato attuale delle cose.
L’intreccio disciplinare delle competenze è imprescindibile se si vuole dare forma a qualcosa del genere. Ma è anche possibile, se si creano luoghi e spazi che non sono assoggettati alla logica corporativa del sapere e dell’economia. In essi trova oggi tranquillamente spazio anche una teologia effettivamente all’altezza del sapere e dell’intelligenza richiesta; e non certo come Cenerentola sopportata, ma come sapienza della ragione criticamente ascoltata.
Chiudo con una piccola nota di merito. Nel corso dei due giorni del workshop mi è parso che la questione delle macchine (e quindi della roboetica), alla fin fine, sia strettamente innestata su quella dell’intelligenza artificiale (a cui la PAV dedicherà la prossima Assemblea generale nel 2020). La membrana tra i due settori e ben più che porosa, e i travasi dall’una all’altra sono stati continui nel corso dei lavori; eppure si sente l’esigenza di distinguerli tra loro, senza riuscire però a delinearne fino in fondo il rapporto, da un lato, e le regole che lo declinano, dall’altro.
Insomma, una sorta di dialettica costitutiva abbozzata sul filo di una sempre possibile deriva dicotomica. Probabilmente, i lavori del prossimo anno ci aiuteranno a comprendere meglio anche questo campo di relazione/distinzione che la PAV ha voluto tematizzare.
Le trasformazioni biotecnologiche e algoritmiche della condizione umana rappresentano uno dei luoghi sui quali si misura la qualità, ad un tempo culturale ed evangelica, della fede cristiana. SettimanaNews cerca di mapparne i tratti principali, nelle varie discipline del sapere come nelle produzioni artistiche e mediatiche. Di seguito un piccolo percorso di letture possibili:
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Robot-soldati: i nuovi mercenari
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