Recenti drammatici fatti di cronaca, quali il delitto di via Gavelli a Pesaro e il delitto di Nembro (BG), hanno confermato che non può esserci una buona cura delle persone con disturbi mentali senza il coinvolgimento delle famiglie di appartenenza e delle comunità locali, con il coordinamento degli operatori dei Servizi sanitari e sociali. Se ne è parlato a Trieste a metà dello scorso mese di ottobre nell’incontro promosso dall’Ufficio Regionale dell’OMS per l’Europa[1].
Risorse familiari
In premessa, va detto che nella grande totalità dei casi, per molte altre malattie, a garantire esiti positivi, basta un’adeguata informazione sulla persona paziente, circa i trattamenti e i farmaci da assumere. Nel caso di un disturbo mentale non è sufficiente fare una diagnosi e prescrivere un trattamento, perché è indispensabile conoscere e tenere conto delle risorse, in particolare della famiglia e delle sue relazioni sociali, oltre che delle condizioni di vita del portatore del disagio.
Perciò è indispensabile, in ogni singolo caso, il lavoro di squadra degli operatori dei Servizi di salute mentale (non solo i medici), i famigliari, gli amici, gli eventuali datori e colleghi di lavoro. L’obiettivo della buona cura, infatti, non è riducibile alla sola riduzione/scomparsa del sintomo, poiché va sempre considerata la qualità delle relazioni affettive, sociali, intra e interpersonali, che, nella maggioranza delle situazioni, è risultata compromessa.
Nel lavoro di equipe, capillare, persona per persona, i familiari devono, quindi, essere coinvolti, non solo tenuti informati ma soprattutto ascoltati quali testimoni, latori di preziose informazioni e punti di vista di fondamentale importanza per la conoscenza della persona con la sua storia, in vista della individuazione, non solo delle difficoltà, ma anche delle positive risorse di ripresa disponibili.
Per tali ragioni, il lavoro dei Dipartimenti di Salute Mentale vede, da tempo, protagoniste non solo le singole famiglie, ma anche le associazioni dei famigliari e degli amici dei pazienti.
Questione politica
Vi sono certamente anche famiglie con problemi che, per le più varie ragioni e ataviche storie, «non funzionano» e non sono in grado di collaborare nella gestione dei percorsi del congiunto verso una maggiore «salute mentale». In questi casi, sempre scambiando le informazioni e sempre ricercando il consenso di tutti i protagonisti, il servizio pubblico ha il mandato di operare per ridurre la sofferenza e prevenire l’aggravamento e la cronicizzazione, anche interrompendo – per tempi e modi concordati – convivenze cariche di dolore e di rabbia, sino a offrire le risorse abitative e di ospitalità di cui dispone o dovrebbe disporre: opportunità di vita fuori dal contesto domestico.
Quest’ultimo aspetto ci dice che non è sufficiente che un buon Servizio di salute mentale di territorio disponga di ambulatori, letti ospedalieri e una buona squadra di operatori medici, infermieri, psicologi, educatori professionali, assistenti sociali, bensì deve poter contare su spazi di continuità e ospitalità diurna e notturna, messi a disposizione anche dagli enti locali, chiese e privato sociale: Terzo e Quarto Settore.
Per questo le associazioni dei famigliari e degli utenti dei Servizi di salute mentale hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale di difesa e di promozione dei diritti delle persone con disturbo mentale, in grado di coniugare spesso legami tra Servi sanitari e sociali delle amministrazioni dei territori di riferimento: la promozione della salute mentale della popolazione è anche, dunque, una questione politica, nella pienezza di questo termine.
Mentre gli operatori si prodigano a ripetere, con convinzioni suffragate da «mille» dati, queste stesse cose, la Giunta della Regione Friuli-Venezia Giulia sta smantellando i servizi del DSM di Trieste, radicati su questi principi e da sempre riconosciuti una vera eccellenza mondiale, da Basaglia in poi.
[1] Convegno OMS Capacity building workshop on best parctices for community based mental health services, Trieste 17-19 ottobre 2023.