Sette straordinari racconti di Roberto Piumini, dedicati alla pittura, vengono per la prima volta raccolti da Marietti 1820 in un solo volume dal titolo Gli sguardi (pagine 288, 20 euro).
Con una scrittura sapiente e delicata, l’autore si avventura in atmosfere del passato, tra Prato e Loreto, Costantinopoli e un indefinito ducato di Francia, la Parigi bohémienne e la Vienna di fine Ottocento. E, tra ritratti che diventano specchi e volti dipinti di nascosto con la complicità della notte, osserva l’inquieto e vitale Filippo Lippi, entra nel laboratorio di Piero della Francesca, accompagna nel suo sorprendente viaggio in Oriente il veneziano Gentile Bellini. Tra i maggiori scrittori italiani, Piumini è stato insegnante, attore, burattinaio e ha pubblicato libri per ragazzi, testi poetici, romanzi e tradotto Shakespeare, Milton e Plauto. È stato fra gli autori e ideatori della trasmissione televisiva della Rai L’Albero Azzurro e ha scritto e condotto trasmissioni radiofoniche. Dal volume Gli sguardi proponiamo l’introduzione.
Chi si prendesse la briga di cercare, nei miei racconti e romanzi, le ricorrenze gestuali, più numerose delle fronti corrugate, che mi si rimprovera di usare troppo, conterebbe gli sguardi.
Contrariamente alle fronti corrugate che vado coscienziosamente espungendo prima dei si stampi, togliere dai miei testi le infinite declinazioni di ciò che gli occhi umani si dicono, si danno, si fanno, non sarebbe un’utile potatura, ma una disastrosa mutilazione.
Non intendo lo sguardo-visione, in cui il singolo, attraverso gli occhi, prende unilateralmente atto di spazi, oggetti, colori e luci del mondo: intendo lo sguardo–scambio fra le persone, l’atto vicendevole degli occhi: anche, in apparente contraddizione, lo sguardo di qualcuno a un oggetto, una bellezza, un paesaggio, un orrore: ma solo se un altro lo vede, lo dipinge, lo fotografa, lo descrive, lo immagina, lo canta.
Lo sguardo di qualcuno, in qualsiasi modo, presente a qualcuno. Nelle storie di questo libro, che li ha nel titolo, gli sguardi sono tanto presenti, attivi e decisivi, da generare vertigine, e richiedere una breve riflessione.
Se si accetta, con qualche incertezza, di mettere gli esseri umani al vertice delle facoltà comunicative, e si cerca, in questa generale eccellenza, l’intensità e la varietà più grande, la si può individuare nello sguardo. Più veloce, variabile, diretto, meno facilmente mendace, meno costantemente equivoco, più istantaneamente efficace della parola, persino quella poetica, lo sguardo-atto ha, secondo me, il primato nella comunicazione-con-senso. Nella scala antropologica del valore espressivo lo sguardo è al vertice.
Se, poi, si è nel campo di incandescenza emozionale che è la pittura, nel suo variatissimo teatro di situazioni (commissioni, preparazioni, contrasti, rivalità, codici, compensi, nascondimenti, materiali, luoghi, scadenze, scelte, ruoli, identità, complicazioni, transfert), gli sguardi diventano una drammaturgia assoluta.
Quello che passa tra soggetti, pittori, amatori, committenti, nel gioco sempre fisico e sempre spirituale della pittura, è il motivo principale per cui, non particolarmente ferrato in estetica pittorica e storia dell’arte o frequentatore di mostre e pinacoteche, ho scelto così spesso la pittura come terra e spazio narrativo. Altrettanto certo che, all’interno di quel favorevole ambiente, mi ha ulteriormente attratto, anche questo sempre fisico e sempre spirituale, lo sguardo.
Scrivendo di sguardi, ho trovato persino occasioni perché i miei personaggi potessero, opportunamente, corrugare la fronte.