Spesso associamo l’idea di natura ai suoni o ai rumori: il ronzio di una vespa, il canto dell’usignolo, il fruscio delle foglie, il boato che precede un terremoto o un’eruzione vulcanica. Una ragazza italiana alla scoperta dell’Islanda, tuttavia, nota che lì la natura sembra quasi l’unica protagonista e che, nello stesso tempo, quei paesaggi vastissimi e silenziosi trasmettono inquietudine. Come se vi fossero troppa calma, troppo silenzio.
Proviamo a comprendere, alla luce soprattutto della lezione ineguagliabile di André Neher. I silenzi islandesi paiono somigliare al “silenzio-inerzia”, quello della notte e della morte. La “calma piatta” e, insieme, cupa, a suo modo silenziosa e caotica. Il silenzio, suggerisce Neher, evocato nei primi due versetti della Genesi, prima che compaia il dire.
Forse, però, quel silenzio surreale e quella natura sconfinata alludono pure al “silenzio-energia”. Non, comunque, al silenzio che prelude a un discorso o un’esecuzione musicale o a una rappresentazione teatrale, quanto a quello che precede la catastrofe: l’improvvisa eruzione di un vulcano, ad esempio. O, comunque, il cataclisma. Come se quella natura inverosimilmente “trattenuta” e “contratta” portasse in grembo il tragico. Il volto tragico del sublime, potremmo aggiungere. Un “silenzio-energia” sinistro che Neher non tocca.
E vi è poi la dimensione del silenzio metasilenziale, più silenzioso del silenzio, con i suoi due volti. Da un lato quello divino: «tenue mormorio», «silenzio sottile», «voce più tenue del silenzio», segno «della Vita, della Presenza, della Parola», della pienezza. Dall’altro il vuoto siderale, l’abisso spaventoso: «è la caduta del silenzio in uno strato più profondo del nulla». Qui «parola e silenzio si perdono insieme nel nulla».
Ecco, forse, l’inquietudine della nostra “islandese”, e di ciascuno di noi: il timore di perderci, dello smarrimento. Paesaggi infiniti e silenziosi con i quali rischiamo di con-fonderci, perdendo noi stessi. Paesaggi e silenzi d’Islanda che risuonano con i nostri paesaggi e i nostri drammi interiori, con i quali pure dovremmo provare a porci in ascolto.