«Non possiamo più sperare in un sostegno continuativo o, almeno, un aiuto alla vita cristiana da parte della politica, della società, della cultura, della scuola e della famiglia».
È a partire da questa constatazione che l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Maria Redaelli, ha tratto le conclusioni della tre giorni dell’assemblea diocesana alla fine di giugno, esortando tutti ad essere «più esplicitamente cristiani lì dove vivete», ad essere cristiani «nei giorni feriali, nel quotidiano», tema del prossimo anno pastorale.
Egli ha brevemente ripercorso il suo itinerario magisteriale condensato nelle tre lettere pastorali: “Chi è il cristiano?”, “Chi è la Chiesa?” e “Chiesa che ascolta e accoglie”, in sintonia con il cammino della Chiesa italiana, la quale «cerca da tempo, anche se a volte con una certa fatica e non sempre con esiti del tutto insoddisfacenti, di sottolineare l’incarnazione del Vangelo nella vita ordinaria». I cinque ambiti del convegno di Verona e i cinque verbi del convegno di Firenze stanno a indicare il venir meno (o la fatica) dei “segni” della fede (o della religiosità) ad imporsi nel nostro tempo.
Come rispondere? «Non avendo paura di essere cristiani e che gli altri lo sappiano», non fuggendo le responsabilità «anche se faticose e perfino fastidiose», vivendo concretamente «i valori dell’onestà, della giustizia, della solidarietà, del rispetto delle persone», ricordando che «non si è cristiani per andare a messa, ma si va a messa per essere cristiani».
La proposta di vivere il Vangelo nei giorni feriali («non è altro che la proposta della santità nella vita quotidiana») va fatta non solo ai cristiani “impegnati”, ma anche a quelli che, più o meno regolarmente, frequentano la messa domenicale.
Quattro i propositi che l’arcivescovo ha in animo:
- scrivere una lettera «semplice e non troppo lunga al “cristiano della domenica», da diffondere e da distribuire a coloro che sono presenti alla messa domenicale;
- pensare un cammino di tipo catecumenale per gli adulti che chiedono la cresima e anche il battesimo. «Vedo con gioia – annota l’arcivescovo – che non si propone a questi “ricomincianti” o “incomincianti”… una dottrina, un catechismo preconfezionato, ma il Vangelo e la scoperta di Gesù»;
- utilizzare i percorsi di preparazione al matrimonio per rilanciare l’attenzione al tema della famiglia. Come frutto del giubileo della misericordia si pensa di dar vita a un “punto famiglia”;
- coinvolgere maggiormente i genitori dei bambini e dei ragazzi che si preparano ai sacramenti dell’iniziazione.
L’ultima parte del discorso di mons. Redaelli è indirizzata alle comunità cristiane. Ecco le sue indicazioni:
- «valorizzare al massimo la domenica. Anzitutto la messa domenicale». Sarebbe auspicabile arrivare a celebrare «un’unica messa comunitaria domenicale» o almeno accordarsi tra parrocchie viciniori allo scopo di evitare «la moltiplicazione delle celebrazioni»;
- potenziare, da parte dei presbiteri, ma anche dei ministri straordinari dell’eucaristia, la visita alle famiglie e ai malati;
- «meno messe e più accompagnamenti», vale a dire che «non ha senso che un sacerdote passi di corsa da una celebrazione all’altra, magari partecipate da pochissimi fedeli, e non abbia il tempo per ascoltare, accompagnare, aiutare le persone»;
- porre maggiore attenzione agli orari delle celebrazioni (messe, confessioni…) allo scopo di facilitare la partecipazione dei fedeli.
La proposta del Vangelo vissuto nella vita feriale – è convinzione dell’arcivescovo – può essere un utile antidoto alla a-religiosità diffusa.