Toccherà al vescovo di Gorizia, Carlo Redaelli, tracciare le linee operative delle unità pastorali, al termine di un cammino di due anni che la diocesi si è data per prepararsi a questo nuovo modo della Chiesa di stare sul territorio.
Tutto l’anno pastorale 2014-2015 è stato dedicato alla riflessione e alla formazione indirizzata ai presbiteri e ai consigli pastorali parrocchiali. Gorizia – scrive don Sinuhe Marotta, vicario episcopale per l’evangelizzazione e i sacramenti, sul settimanale diocesano Voce Isontina del 23 aprile 2016 –, sulla linea di papa Francesco, ha ritenuto “il tempo superiore allo spazio”. Questo principio permette di lavorare sui tempi lunghi senza l’assillo di risultati immediati. Eppure, anche in ambito ecclesiale, c’è chi è portato a «privilegiare gli spazi al posto dei tempi».
In riferimento alle unità pastorali – annota realisticamente il vicario episcopale – «cadere nella trappola di fermarsi allo spazio significa preoccuparsi innanzitutto di dividere a fettine la nostra Chiesa, decidere di rimodellare i confini dei diversi territori, convocare il consiglio pastorale parrocchiale per dire “chi sta di qua e chi sta di là”».
Ecco perché la chiesa isontina ha deciso di darsi «un anno intero di riflessione e di formazione», chiamando teologi e pastoralisti di altre Chiese locali e ascoltando l’esperienza di una diocesi non lontana (Treviso), per rendersi conto che «altre Chiese già da lungo tempo stanno facendo collaborare assieme le parrocchie, e non le più piccole, ma le più grandi».
Si è quindi riflettuto su come essere presbitero in una mutata geografia ecclesiastica, su come impostare la collaborazione nelle nuove realtà che nasceranno, sul modo di ristrutturarsi dei consigli pastorali parrocchiali, sugli atteggiamenti psicologici da curare in ordine a questo nuovo ordinamento di Chiesa.
Il cammino percorso – secondo don Marotta – è un metodo «di assoluto interesse per la valenza ecclesiale sinodale di cui è portatore». Esso, infatti, evita di «banalizzare il discorso e di ridurlo a “fusioni” o “accorpamenti” tra parrocchie», ma lo apre alla «collaborazione pastorale» che, a questo punto, appare a tutti come «inevitabile».
Non si parte dal nulla. Ad alcune parrocchie che già collaborano è stato distribuito un questionario, chiedendo loro di analizzare come e perché sono nate queste collaborazioni e quali sono le modalità con le quali questa collaborazione viene gestita.
Entro questo mese di maggio i presbiteri dei diversi decanati sono chiamati a delineare i criteri pastorali con i quali dar vita alle unità pastorali. A riprova della difficoltà di alcuni presbiteri a “convertirsi” a queste nuove forme di corresponsabilità e di collaborazione, si è notata la preoccupazione di molti di “gestire gli spazi”, «saltando a piè pari – scrive il vicario episcopale – il più difficile lavoro di riflessione teologico-pastorale».
La prossima attenzione sarà rivolta ai consigli pastorali parrocchiali, perché anch’essi si sintonizzino sulle nuove realtà da creare in diocesi.
Poi toccherà al vescovo tracciare autorevolmente il cammino. Ma non sarà – ricorda don Marotta, riprendendo il titolo di un quotidiano locale – “la riforma del vescovo”, bensì «un cammino sinodale di una comunità intera».