Ambrogio aveva fatto edificare una basilica in una zona cimiteriale fuori dalle mura della città di Milano perché fosse il luogo della sua sepoltura. Tale zona cimiteriale era già consacrata al ricordo di alcuni martiri che lì erano stati sepolti; Ambrogio vi si recava spesso a celebrarvi l’eucaristia e lui stesso afferma che è giusto che un vescovo venga sepolto dove era stato solito offrire il sacrificio.
È la basilica che già vivente Ambrogio la gente chiamava «Ambrosiana» e che anche oggi è universalmente nota come basilica di Sant’Ambrogio. Sennonché nel 386 Ambrogio, per un presentimento o quasi per ispirazione, ma anche sostenuto dal vago ricordo dei più anziani tra i milanesi, rinvenne proprio nelle adiacenze della sua basilica i corpi dei santi martiri Gervaso e Protaso. Egli stesso afferma di aver trovato due corpi di straordinaria statura e di aver rinvenuto segni probanti del loro martirio, probabilmente da collocarsi nella metà del secolo III durante le persecuzioni di Decio e Valeriano.
Alle origini della Chiesa ambrosiana
Dopo l’esumazione dei resti dei due martiri questi furono collocati da Ambrogio sotto l’altare della Basilica Ambrosiana, dove lui stesso fu deposto dopo la morte avvenuta il 4 aprile 397. E qui i corpi dei tre santi riposarono fino al secolo IX, quando l’arcivescovo di Milano Angilberto II fece erigere sulla loro tomba uno splendido altare d’oro, cesellato dal maestro orefice Volvinio, e che ancor oggi è il fulcro dell’intera basilica.
Al di sotto i corpi dei tre santi vennero collocati in un unico sarcofago di porfido rosso, probabile riutilizzazione medioevale di un antico e prezioso sarcofago imperiale. Nel 1864, in occasione di una accurata ricognizione, il sarcofago venne aperto: i tre scheletri risultarono intatti, immersi in acqua limpidissima; e non fu difficile identificare quello di Ambrogio (di statura più modesta) rispetto agli altri due che risultavano infatti di statura più elevata (proprio secondo quanto Ambrogio aveva testimoniato nei suoi scritti).
Di lì a dieci anni, nel 1874, anno centenario dell’elezione di Ambrogio a vescovo di Milano (7 dicembre 374), i tre corpi vennero ricomposti in un’ampia e solenne urna d’argento e di cristallo.
Gli scheletri dei santi
L’ultima volta che tale urna fu aperta fu nel 1974, per il XVI centenario dell’elezione di Ambrogio, ma sui resti dei tre santi non venne fatta alcuna indagine specifica. Cosa che invece è avvenuta in questi mesi, per una «mirabile alleanza tra scienza e comunità cristiana», come ha sottolineato l’attuale arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, nella sua lettera alla diocesi in occasione di tale evento.
Infatti, la basilica di Sant’Ambrogio con il suo abate mons. Carlo Faccendini, grazie all’interessamento e al sostegno convinto della diocesi, ha avviato una accurata ricognizione sui corpi dei tre santi, che da più di milleseicento anni riposano nel cuore della basilica stessa. Ma per far questo occorreva affidarsi a personale altamente specializzato: ed ecco che all’appello ha risposto con generosa disponibilità il dipartimento di medicina legale dell’Università degli studi di Milano e il Laboratorio di antropologia e odontologia forense diretto dalla professoressa Cristina Cattaneo, ordinario di medicina legale presso il medesimo ateneo.
Il coinvolgimento della città
Le monache benedettina dell’isola di San Giulio sul Lago d’Orta, esperte nel restauro dei tessuti antichi, hanno religiosamente recuperato i paramenti e le vesti di cui i tre scheletri erano rivestiti; e i tre scheletri sono stati portati, grazie ai servizi messi a disposizione dal Comune di Milano, all’Istituto Ortopedico Galeazzi per essere sottoposti a indagini specifiche con le migliori attrezzature che la scienza radiologica oggi ci mette a disposizione.
Tutto ovviamente sotto la supervisione attenta della Soprintendenza nella persona dell’architetto Antonella Ranaldi. Insomma, si può dire che l’intera città di Milano si è mobilitata in un evento straordinario che ha accomunato autorità civili, accademiche, culturali, gli operatori comunali e quelli ospedalieri a vari livelli, ma tutti coinvolti in questa iniziativa di alto significato storico e religioso.
E numerose sono state le testimonianze della compartecipazione finanche emotiva di tutti coloro che hanno lavorato e collaborato, nel sapere che stavano dando il loro contributo (dal luminare accademico con i suoi collaboratori all’autista del veicolo per il trasporto dei tre scheletri, fino ai tecnici dell’ambulatorio radiologico) per meglio conoscere i tre patroni della città di Milano e farne rivivere nell’oggi la memoria.
Sorprendenti conferme
E in effetti sono straordinari i risultati di questa indagine. Innanzitutto, troviamo la riconferma di quello che Ambrogio dice di se stesso, quando in una lettera alla sorella Marcellina lamenta dolori e difficoltà a camminare: il suo scheletro infatti, quello di un uomo di circa sessant’anni e con un a statura attorno ai 170 centimetri, rivela che per un trauma si era procurato una brutta frattura alla clavicola destra.
Ma tale trauma con ogni probabilità aveva coinvolto anche il volto, procurandogli una certa asimmetria delle orbite oculari. E questo particolare collima perfettamente con il più antico ritratto a noi pervenuto di sant’Ambrogio, che si trova nella cappella detta «sacello di San Vittore in Ciel d’Oro» ora annessa alla Basilica Ambrosiana, un bellissimo mosaico datato al secolo V, quindi a ridosso immediato dell’epoca in cui visse il santo.
Ambrogio vi compare rivestito degli abiti tipici dei magistrati romani dell’epoca tardo-antica (IV secolo), ha un aspetto quasi dimesso, la barba rada, il volto raffigurato con tratti realistici e per nulla idealizzati; ma soprattutto risalta una asimmetria ben rimarcata delle due orbite oculari, esattamente come messo in evidenza dagli esami specialistici ora portati a termine sul teschio.
E ciò viene a comprovare l’ipotesi (che ormai è sempre meno tale) che davvero il mosaico di San Vittore in Ciel d’Oro ci trasmette il ritratto reale di Ambrogio, derivato probabilmente da un ritratto ufficiale fattogli mentre era ancora in vita, come si usava fare del resto per gli alti magistrati dell’impero (e Ambrogio, prima di essere eletto vescovo, era stato governatore di Milano e apparteneva a nobile famiglia di rango senatorio).
Anche per i due martiri arrivano alcune interessanti conferme. Innanzitutto, la loro giovane età (tra i ventitré e i ventisette anni) e soprattutto la loro considerevole statura (più di un metro e ottanta), esattamente come dice Ambrogio quando li rinvenne nel 386.
Ma le indagini sulle ossa fanno sospettare che fossero tra di loro fratelli, proprio come dice la Passio, cioè il racconto del loro martirio, datata al secolo V (e quindi anch’essa molto vicina all’epoca in cui visse sant’Ambrogio). Ma non solo. Secondo tale Passio uno dei due fratelli fu decapitato, mentre l’altro fu martirizzato tra le torture sotto i colpi dei flagelli.
E anche in questo caso troviamo una qualche conferma: perché uno dei due martiri risulta in effetti decapitato, mentre l’altro presenta fratture costali e lesioni compatibili con il tentativo di difendersi da colpi provenienti ad esempio da una flagellazione. La prima impressione insomma è quella di un interessantissimo accordo con quanto la tradizione ci ha conservato nella narrazione del loro martirio. Narrazione nella quale potranno senz’altro essere intervenuti anche alcuni elementi leggendari e storicamente poco controllabili, ma che a questo punto si rivela come portatrice di un substrato storico che si è mantenuto inalterato pur attraverso successive rielaborazioni.
Scienza, città e devozione
Questi almeno sono i primi risultati delle indagini condotte sui resti dei tre santi; il 30 novembre di quest’anno (data significativa anch’essa, perché Ambrogio fu battezzato il 30 novembre 374, una settimana prima di ricevere l’ordinazione episcopale) in un convegno i risultati della ricognizione saranno presentati in maniera più precisa, dettagliata e analitica. E tutta questa messe di dati sarà di enorme importanza per gli storici, al fine di ricostruire una fase della storia della Chiesa e della città di Milano, l’epoca appunto di Ambrogio, che tutti riconoscono essere determinante e fondativa.
Ci si potrebbe chiedere infine che significato può rivestire uno studio scientifico su queste antiche reliquie di santi per il nostro mondo del XXI secolo. La risposta è stata data acutamente dall’arcivescovo Mario Delpini, proprio quando, parlando della già citata «alleanza tra scienza e comunità cristiana», ha voluto ricordare che le reliquie dei santi aiutano «a non dimenticare mai che il Cristianesimo è una fede costruita sull’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazaret: la dimensione storica nel cristianesimo è irrinunciabile».
E per noi ambrosiani la presenza delle reliquie di sant’Ambrogio e dei martiri Gervaso e Protaso, oggetto di una venerazione oggi resa più consapevole e storicamente fondata, sono eloquente richiamo alle radici della nostra tradizione e della nostra storia, come Chiesa e come città.
Marco Navoni è dottore della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, dove è direttore della Pinacoteca e della Classe di Studi Ambrosiani.