È con un escamotage letterario che il vescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, si rivolge alla Chiesa affidata alle sue cure. “Il giovane che seguiva Gesù. Lettera di san Marco ad una Chiesa adulta” è il titolo della sua lettera per l’anno pastorale 2017-2018. In essa il vescovo invita l’evangelista Marco a parlare ai goriziani. Non direttamente ai giovani – scrive mons. Redaelli nelle pagine introduttive –, «quanto piuttosto alle comunità adulte…, affinché imparino maggiormente ad accogliere, accompagnare e rendere protagonisti i giovani».
E lo fa ripetere a san Marco: «Dovreste dare più spazio e più fiducia ai giovani, alla loro ricerca, alla loro creatività, al loro coraggio e imparare da loro». La stessa comunità cristiana «dovrebbe essere più coraggiosa, più innovativa, più snella». Oggi – constata san Marco – «tante comunità sono come bloccate e soffocate da usanze, attaccamenti, pregiudizi, chiusure… che rendono meno disponibili a vivere con semplicità e scioltezza il Vangelo», mentre io, la sera del Getsemani, «avevo indosso solo un lenzuolo».
Agli adulti che si radunano a riflettere sui giovani san Marco pone una domanda diretta: almeno una volta in vita, avete fatto qualche ”pazzia” per Gesù?
Famiglia e comunità
Quanto ai luoghi in cui far crescere la fede, l’evangelista/scrittore ne ricorda due in particolare: la casa e la comunità.
«Nella mia famiglia – dichiara – è cresciuta e maturata la mia fede», perché la famiglia non generava solo alla vita fisica, ma anche alla fede e «i bambini entravano in contatto con la comunità cristiana, avendo già conosciuto Gesù». È vero che la comunità cristiana ampliava la loro esperienza di fede attraverso la catechesi, la liturgia e la carità, «ma non doveva partire da zero».
Cosa succede oggi? Che la famiglia delega l’educazione alla fede alla comunità cristiana, la quale “ridelega” questo compito a «pochi ed “eroici” catechisti». Mentre aumentano in modo preoccupante la famiglie “cristiane” che «non fanno alcuna proposta di fede ai bambini», rinviando il battesimo «a quando saranno grandi».
E anche le parrocchie e le associazioni sono invitate a interrogarsi quanto siano “belle”, “gioiose” e “attraenti” per i giovani, come sostengono la fede delle famiglie, cosa trovano i giovani del dopocresima, quali cammini sono previsti per i giovani che chiedono il battesimo o la cresima. «Le famiglie e le comunità – ammonisce san Marco – sono cristiane se i loro componenti sono cristiani convinti e credibili», cioè se «per loro la realtà più importante è Gesù».
E il tema dell’amore? Questo tema – ammette san Marco – «ai vostri giorni è molto complesso». Diminuiscono i matrimoni e aumentano le convivenze. Molti giovani hanno i genitori divisi, divorziati, risposati o impegnati in una nuova unione. «Questo destabilizza anche le loro scelte e li fa dubitare sulla possibilità di un amore fedele e duraturo».
Che fare? Non si può non riproporre ai giovani il Vangelo dell’amore, come dono e come possibilità. L’esortazione postsinodale Amoris laetitia è un’ottima traccia di riflessione, anche per quei giovani che, pur impegnati in ambito ecclesiale, praticano la convivenza, «senza farsi, almeno in apparenza, molti problemi».
La figura di Barnaba
A questo punto, l’evangelista/scrittore della lettera alla Chiesa di Gorizia, fa entrare in scena Barnaba, definendolo «l’adulto che ogni giovane vorrebbe avere come riferimento», perché «coerente, carico di passione e autenticità, che pagava di persona». Egli amava i giovani, li ascoltava, si fidava di loro, perché vedeva la grazia di Dio «dove gli altri vedono solo problemi».
Il richiamo alla figura di Barnaba diventa l’occasione per un serrato confronto con gli adulti delle comunità cristiane. Le domande sono incalzanti: «Come vedete i giovani? Come “forza lavoro” per portare avanti le tradizioni (le feste, le processioni, le sagre…), gli impegni parrocchiali (coro, servizio liturgico, catechesi…) e missionario-caritativi (gruppo missionario, centro ascolto caritas, san Vincenzo…), purché rispettino l’autorità…?».
Oppure (la domanda è sempre “come vedete i giovani?), «come persone che non credono più in niente, non vanno in chiesa, convivono, non si impegnano…?».
Sarebbe più giusto, suggerisce san Marco, voler bene ai giovani, ascoltarli, comprenderli, incoraggiarli, apprezzarli, dare loro fiducia e spazio, dare credito alle loro istanze, mettersi in ascolto delle loro idee.
I giovani hanno le loro paure: della vita, del futuro, della solitudine. Hanno paura anche di testimoniare la propria fede vedendo molti coetanei abbandonare la fede. Talvolta si portando dentro esperienze dolorose. È innegabile che vivono in un mondo molto più complesso di quello che, a suo tempo, hanno vissuto gli adulti di oggi. Riguardo alla scuola, al lavoro, ai mezzi di comunicazione, riguardo allo stesso contesto ecclesiale: «La società non sostiene più l’appartenenza e la pratica religiosa e, se non la ostacola, la circonda però di indifferenza».
Anche in fatto di morale il sentire dei giovani è mutato. Oggi si vive di emozioni. Non è facile per i giovani discernere ciò che è male da ciò che non lo è, ciò che è di moda da ciò che conta, ciò che soddisfa immediatamente da ciò che riempie davvero il cuore.
Le proposte possibili
Cosa possono fare le comunità? Quattro i suggerimenti forniti da san Marco:
- vivere il Vangelo con semplicità e coerenza
- non mettere condizioni per accettare i giovani al loro interno: essi hanno bisogno di sentire che sono amati, che stanno a cuore a qualcuno, che sono importanti
- aprirli alla dimensione universale della Chiesa, componendola saggiamente con la dimensione locale
- offrire la possibilità di fare intense esperienze di carità, di preghiera, di silenzio, di partecipazione.
Sì, è vero, ci sono anche i giovani che abbandonano la pratica cristiana. Fa male, ma ricordiamoci che «nessuno è obbligato a credere», perché «la fede resta sempre una scelta di libertà». Piuttosto, laddove è possibile, sarebbe opportuno venire incontro a quei giovani che chiedono il sacramento della confermazione nella maggiore età. Questo sì è un tempo propizio per proporre loro un cammino di approfondimento della fede.
Agli adulti un invito: «leggere per intero e di seguito il Vangelo che ho scritto… immaginando di non sapere niente di Gesù, come se fosse la prima volta che sentite parlare di lui».
E un invito anche ai giovani: scrivere durante quest’anno «un commento al mio Vangelo».
Terminano così le parole che l’evangelista Marco ha rivolto alla Chiesa di Dio che è a Gorizia. Ora attende una risposta.