Omelia tenuta da mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, nel corso della celebrazione della messa in Coena Domini.
Mi spiace, ma devo pronunciare in questo triduo le parole intollerabili, devo dire le parole che sono costate la vita a Gesù, le parole che la gente del tempo di Gesù non poteva sopportare, le parole che hanno offeso e provocato i capi dei sacerdoti e i potenti che hanno tramato la condanna di Gesù.
Devo dire quindi parole che forse anche oggi risultano intollerabili, parole di fronte alle quali la gente del nostro tempo reagisce con fastidio, con sufficienza, con sospetto, con irritazione. Ci sono infatti parole che i discepoli di Gesù non possono tacere, ma per molti tra coloro che le ascoltano risultano intollerabili.
Mi riferisco alle parole del Vangelo, non a qualche deduzione successiva; mi riferisco alle parole principali, non a qualche espressione marginale. Quando risuonano le parole intollerabili, chi le ascolta reagisce in tanti modi diversi perché non tollera che vengano pronunciate. Alcuni arrivano al punto da perseguitare chi le pronuncia, mettono a tacere il messaggero, con le buone o con le cattive, fino a condannare a morte, a crudele morte colui che le annuncia, così come è stato condannato a morte, a crudele morte Gesù che ha inviato il messaggero.
Per questo ci sono stati e ci sono tanti martiri. Molti si difendono con l’indifferenza, cercano di non ascoltarle, si allontanano da coloro che le pronunciano. Per questo può succedere che le chiese si svuotino, anche se si argomenta con presti, sulla mancanza di credibilità degli uomini di Chiesa, sulla scarsa cura per la liturgia, sulla testimonianza dei cristiani. Il fatto è che non si vogliono ascoltare le parole intollerabili.
Molti cercano di convincere i messaggeri a non pronunciare più le parole intollerabili: dicono che sono parole superate, arcaiche, giustamente cancellate dal vocabolario moderno; dicono che chi parla di quelle cose si rende ridicolo, diventa noioso, si espone al disprezzo. Forse per questo ci sono molti cristiani che parlano di tutto e si rendono simpatici a tutti, ma tacciono con astuzia le parole intollerabili che li renderebbero impopolari.
Ma io non posso tacere il messaggio che sono incaricato di portare a costo di rendermi noioso e impopolare, specialmente in questo momento centrale dell’anno liturgico, in questo triduo santo in cui celebriamo il fondamento della nostra speranza.
La parola intollerabile è il centro di questa celebrazione: «questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (1Cor 11,25); «questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti per il perdono dei peccati» (Mt 26,28).
Quello che è intollerabile è la determinazione di Dio di cui Gesù si è fatto mediatore di fare alleanza con gli uomini, di stringere un patto che renda definitivo il rapporto di reciproca appartenenza: Dio vuole essere alleato degli uomini e chiama gli uomini a vivere con lui un rapporto di alleanza, non solo una legge da osservare, non solo una dottrina da imparare, ma proprio una vita da condividere.
L’alleanza è stata celebrata e poi contraddetta, ma Dio ricomincia da capo, non si stanca delle contraddizioni, non si lascia vincere dal risentimento verso coloro che hanno tradito l’alleanza, si ostina a restare fedele e anzi vuole stringere un patto tale che l’alleanza diventi partecipare della stessa vita, dello stesso sangue; vuole una comunione che renda tutti una cosa sola con lui.
L’alleanza è stata disprezzata e snobbata, ma Dio anche se vede disprezzata la sua offerta non la ritira e continua a offrire il suo dono, anzi manda il suo Figlio unigenito perché effonda lo Spirito, la stessa vita di Dio. Molta gente trova intollerabile questa intenzione di Dio, questa insistenza e questa pazienza. Molta gente insinua sospetti: Dio deve avere un secondo fine.
Possibile che offra la sua vita così, senza farcene pagare il prezzo. Molta gente manifesta insofferenza: come si può pretendere di fare alleanza con Dio? Va bene qualche sacrificio, qualche penitenza, qualche fioretto, qualche festa comandata, qualche edificio maestoso da edificare alla gloria di Dio, ma addirittura una comunione di vita, una appartenenza totale è una cosa esagerata!
Molta gente avverte il dono come un peso insostenibile: preferiamo legami provvisori, preferiamo mantenerci liberi di vivere di esperimenti, preferiamo stabilire piccoli trattati convenienti secondo i momenti e secondo le circostanze, non possiamo sopportare di stabilire un legame definitivo e totalizzante come una alleanza.
Ebbene che faremo noi? Noi siamo di quelli che sono commossi dalla sollecitudine, tenacia, pazienza, prontezza nel perdono, disponibilità a ricominciare sempre da capo che Dio manifesta proponendo la sua alleanza. Perciò siamo di quelli che si radunano per mangiare la cena del Signore, dire sì al dono della vita di Dio e invocare la grazia di diventare un cuore solo e un’anima sola per il dono dello Spirito che ci fa Chiesa.
+ Mario Delpini,
arcivescovo di Milano