Sul finire del 2014, istituendo le “équipes pastorali vicariali”, il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, aveva dichiarato che esse non dovevano nascere «per urgenza o per disperazione», ma per dar vita ad una nuova visione di Chiesa, nella consapevolezza, però, che «la parrocchia, così come l’abbiamo conosciuta, in futuro non esisterà più». Nel presentare il progetto “équipes vicariali”, il vicario per la pastorale, don Danilo Barlese, segnalava la necessità che nelle singole comunità nascessero alcune “figure fondamentali” in vista della crescita della comunità cristiana e del suo radicamento nel territorio.
Entro la primavera di quest’anno il progetto va verso la sua fase operativa chiamata “collaborazione pastorale”. Viene ribadito il punto iniziale: non collaboriamo «perché abbiamo l’acqua alla gola», ma perché «la collaborazione è un valore». L’intento è formare «soggetti ecclesiali che vivono in un territorio e portano ad esso il Vangelo», persone riconosciute e presenti «anche dove non potrà più esserci la presenza stabile di un sacerdote a tempo pieno». E ciò non come un’emergenza, ma come «un vero progetto di Chiesa».
Ciò comporta di essere laici e preti «in modo nuovo, con rinnovato spirito di comunione». In particolare si punta ad un laicato (singolo o associato) «che si fa carico della pastorale del territorio e degli ambienti», lasciando spazio alla presenza delle donne e al loro specifico contributo.
Ma dove nascono questi “soggetti ecclesiali” di cui si accennava sopra? Quale il loro terreno di coltura? Il progetto “collaborazione pastorale” pensa a dei “cenacoli” locali, cioè a «piccole comunità che diventano nuclei iniziali per formare il soggetto ecclesiale», piccole comunità che si riuniscono non per distribuire incarichi ma «per amare e far amare di più Gesù». Da un forte sentire ecclesiale deve nascere un forte impegno ecclesiale. Naturalmente tali “cenacoli” non saranno lasciati a se stessi, ma saranno chiamati a condividere momenti formativi, anche in vista degli ambiti di evangelizzazione in cui saranno impegnati.
In queste “collaborazioni pastorali” non dovranno mancare figure di riferimento che seguano e coordinino i settori pastorali maggiormente in difficoltà.
Quale rapporto tra le “équipes vicariali” e le “collaborazioni pastorali”? L’équipe vicariale è la fase iniziale, l’innesto. La piccola comunità interparrocchiale, chiamata “cenacolo”, è il passo successivo, «è il seme della presenza di una Chiesa missionaria», è il luogo privilegiato in cui “fioriranno” figure di laici capaci di comunione e di corresponsabilità.