Definirsi “in ricerca” è oggi un po’ di moda, osserva il vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, nella sua ultima lettera pastorale dal titolo Che cosa cercate? (Gv 1,38). Ma è vero che domande e aspirazioni affiorano nel cuore di ogni persona, soprattutto nel cuore dei giovani: quale itinerario scolastico o accademico intraprendere, quale lavoro, quali amicizie, quale la persona giusta da amare…
Sono i giovani (e le comunità cristiane in cui essi vivono) i destinatari dello scritto di mons. Pizziol, in sintonia con il sinodo dei vescovi previsto per il prossimo anno sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
“Che cosa cercate?”
L’icona biblica che fa da filo conduttore della lettera è Gv 1,35-42, quando i discepoli di Giovanni il Battezzatore incontrano Gesù e si fermano presso di lui. L’intento è di portare i giovani dal “che cosa cercate?” al “chi cercate?”.
Le prime parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni sono una domanda: «Che cosa cercate?». Niente affermazioni o proclami, niente risposte rapide. «La domanda – annota il vescovo – rispetta l’altro, apre al confronto e valorizza la libertà… Il cammino di fede e di sequela è proprio così: alle nostre domande, inquietudini e desideri Gesù non offre soluzioni immediate, ma risponde con un invito».
Rilevante in quel brano – lo sappiamo bene – è il verbo “rimanere”. «La convivenza con il Signore, scrive il vescovo, non può essere considerata come un’esperienza che si vive in qualche momento della vita». C’è bisogno di intimità, di calma interiore, di tempi prolungati da dedicare a se stessi, mentre invece «troppe esperienze sono vissute all’insegna del “mordi e fuggi”».
La stessa pastorale giovanile non sarà efficace se non scaturisce da un’intensa, prolungata contemplazione del volto di Gesù.
I giovani non vanno lasciati soli nella ricerca di ciò che conta nella vita. Apprezzano se qualcuno li aiuta a guardarsi dentro: «Per prendere il coraggio e lanciarsi nell’avventura della vita e nel dono generoso di sé, i giovani hanno urgente necessità di qualcuno che offra loro uno sguardo autentico, amorevole, ispirato alla verità e non alle mode».
Nell’icona prescelta si racconta che Andrea, una volta incontrato e conosciuto Gesù, conduce da lui suo fratello Simone. «Andrea attiva il “passaparola”… si fa guida, pastore, si prende cura del fratello». Potrebbe essere un’indicazione per la pastorale giovanile? Sì, secondo il vescovo: «L’annuncio del Vangelo può e deve entrare nel mondo giovanile mediante il “passaparola”: giovani che invitano altri giovani all’incontro personale con Cristo».
Buone pratiche pastorali
La lettera si chiude suggerendo alcune “buone pratiche pastorali”:
- «guardare i giovani con stima e fiducia, offrendo uno sguardo capace di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadente o minaccioso»
- «ascoltare le domande dei giovani fatte con un linguaggio diverso dal nostro, che a volte ci spiazza e ci disorienta… Si tratta di ascoltare “una fede” che si esprime in modo diverso»
- «interrogarsi sulla fede dei giovani, fiutarla nei suoi processi di cambiamento, di espressioni nuove»
- «trovare tempi e spazi di dialogo con i giovani, percepire la bellezza e il sapore della loro presenza, delle istanze che portano, di quanto hanno da dire»
- «rileggere e mettere mano alle “pratiche pastorali” che segnano la vita delle nostre parrocchie e realtà ecclesiali», chiedendosi sinceramente quale Vangelo e quale fede consegniamo ai giovani, quale volto di Dio comunichiamo loro e cosa i giovani possono capire dalla fede praticata dagli adulti.
Talenti e punti deboli
Intervistato dal direttore del settimanale diocesano La Voce dei Berici (3 settembre 2017) sulle scelte qualificanti per il nuovo anno pastorale, mons. Pizziol è tornato sul tema giovani.
Quali sono i talenti che i giovani portano alla Chiesa e quali i loro lati deboli?
I talenti individuati dal vescovo sono: la giovane età caratterizzata da energie fisiche e mentali, la loro facilità nell’uso dei moderni mezzi di comunicazione, una buona formazione culturale e una possibilità di movimento, di incontro e di conoscenze che in passato non c’era. Lati deboli: una ridotta esperienza lavorativa e soprattutto quel “narcisismo individualista” che chiude la vita in orizzonti angusti.
La comunità cristiana non rischia di parlare ai giovani utilizzando schemi e linguaggi ormai desueti?
Sì, risponde il vescovo, soprattutto se si usa il criterio della distinzione tra quelli che stanno “dentro” o ”fuori” la vita della comunità: «Dobbiamo assumere una logica inclusiva che sa leggere la presenza delle “impronte di Dio” in qualsiasi avvenimento, anche i più opachi e dolorosi». Occorre perciò guardare i giovani «con occhi diversi, più accoglienti e meno selettivi».
Buon lavoro, diocesi berica!