Abolire il Concordato? Forse non è una buona idea

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Sull’onda dello sdegno per l’ingerenza, vera o presunta, della Santa Sede in merito al DDL Zan iniziano ad alzarsi le voci che suggeriscono un’abolizione del Concordato – come piena e raggiunta maturità dello Stato italiano.

La critica mossa da un altro stato sovrano appare essere intollerabile e fuori luogo, bene quindi riporre nel cassetto ciò che, in un qualche modo, le può dare una parvenza di legittimità.

Procediamo dall’ultima questione, per poi passare a qualche riflessione sulla prima. Non mi sembra che ci siano state ondate di sdegno quando il presidente del consiglio Draghi ha mosso ben più che una critica nei confronti di Erdogan; né tanto meno, proprio ieri, quando si è fatto portavoce del severo monito dell’Unione Europea in merito alla legge ungherese sull’omosessualità.

Come giustamente ricordava, l’Ungheria ha firmato documenti fondamentali dell’Unione di cui fa parte – di qui la base per una critica alla legge del governo Orban a livello di relazioni multilaterali.

La disparità di trattamento sembra lasciar trasparire un duplice assioma: uno stato, tranne quello della Città del Vaticano, può criticare un altro stato; la critica è legittima quando rappresenta le nostre idee, altrimenti diventa ingerenza. Questo il rischio che si corre quando si abbandona il piano normativo degli accordi (bi- o multi-laterali che siano) che impegnano i partner firmatari.

Torniamo ora al Concordato, eventualmente da abolire. Paolo Prodi ricordava che andiamo avanti a chiamare con un nome vecchio qualcosa di completamente diverso nella sua sostanza. Quello del 1984 non era, a suo dire, un documento che poteva essere inquadrato secondo il modello moderno dei concordati (per tante ragioni, che si possono trovare nei suoi scritti in materia). Lasciamo a giuristi e storici il giudizio formale su questa sua posizione.

Limitiamoci a guardare come il cosiddetto Concordato ha funzionato in Italia: un accordo bilaterale, fra Stato italiano e Santa Sede, che ha aperto la strada a tutta una serie di altri accordi bilaterali con comunità religiose e confessionali diverse da quella cattolica – nella misura in cui esse riuscivano a darsi quella rappresentanza unitaria, non statuale, di cui lo stato (non solo quello italiano, chiedi ai francesi per ciò che concerne l’islam) ha bisogno per arrivare a un accordo normativo per entrambi i firmatari.

Il Concordato classico non avrebbe mai prodotto qualcosa di questo genere. Quello che si vuole abolire, dunque, è uno dei molti accordi bilaterali che lo Stato italiano intrattiene con le comunità religiose presenti sul territorio nazionale. Se si agisse di conseguenza, abolito quello con la Chiesa cattolica si dovrebbero abolire anche tutti gli altri. E se non lo si fa, la politica e le istituzioni dovranno spiegare il perché.

Anche nel caso si riuscisse a trovare una risposta adeguata, rimarrebbe da chiedersi se, abolito il “modello base”, gli altri accordi bilaterali possano continuare a funzionare come se nulla fosse successo. Ammesso che qualcosa del genere fosse possibile, non si potrebbe fare a meno di imbastire con la Santa Sede un (altro) accordo bilaterale come fatto con le altre confessioni e comunità religiose presenti in Italia.

Ossia, torneremmo esattamente a quello che abbiamo abolito (un Concordato che non è tale) – magari con meno spazi di libertà concessi alla Chiesa cattolica, almeno questo sarebbe il sogno… Con il solo problema, però, che a quest’ultima si dovrebbero garantire le medesime libertà e riconoscimenti che sono stati concessi alle altre confessioni e comunità religiose…

Insomma, un cane che si morde la coda.

Per quanto possano guardare con simpatia, e qualche senso di rivalsa, all’ammiccamento della proposta abrogativa, anche le altre confessioni e comunità religiose dovrebbero avere una qualche preoccupazione davanti all’eventuale abrogazione del cosiddetto Concordato fra Stato italiano e Santa Sede.

Lo dovrebbero fare, perché in Italia non abbiamo ancora una legge quadro sulla libertà religiosa – che non è questione che riguarda esclusivamente i credenti, ma interessa obiettivamente tutti i cittadini: perché in essa vanno a concentrarsi dimensioni fondamentali dei diritti umani come la libertà di espressione, di coscienza e di parola.

In mancanza di tale legge fondamentale sulla libertà religiosa, l’abolizione di uno o più accordi bilaterali con le confessioni e comunità religiose sarebbe rischiosa non solo per le fedi, ma temo anche per la qualità costituzionale della convivenza civile in Italia.

Rimane un ultimo punto: eliminata la forma dell’accordo bilaterale, in quale modo lo Stato italiano intende rapportarsi con la Chiesa cattolica (che è fatta di suoi cittadini)? Prenderli uno per uno, come consentirebbe un’eventuale legge sulla libertà religiosa, non è sufficiente e non funziona – perché i credenti (non solo quelli cattolici) continueranno comunque ad associarsi, cioè a essere più e altro dalla mera somma dei singoli.

Infine, sarebbe bene sorvegliare con estrema cautela ogni linguaggio e proposta che favorisce il farsi carico della questione specificamente “cristiana”, e non di quella più ampiamente religiosa, da parte delle rappresentanze politiche illiberali. Una giuntura, questa, che potrebbe rivelarsi fatale per quel che rimane della democrazia e dello stato di diritto. Orban oggi è in Ungheria, ma ben presto potrebbe essere anche a Palazzo Chigi.

Bisogna essere ben miopi per non accorgersi che la Chiesa di Francesco sta combattendo una battaglia a tutto campo per evitare questa deriva. Costi quel che costi – anche il non placet di trequarti dell’episcopato americano che, insieme a quello dei paesi di Visegrad, collabora già attivamente al nuovo regime politico illiberale della democrazia uscita dalla democrazia.

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Un commento

  1. Francesco 25 giugno 2021

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