Aborto e bioetica globale

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La proposta di Riccardo Cristiano (“Uscire dalla guerra civile bioetica”, pubblicato da SettimanaNews il 6 luglio qui) è suggestiva, anche opportuna per la problematica suscitata e tuttavia estremamente carente (purtroppo). Perché la “guerra civile bioetica” che attraversa il mondo cattolico non è quella descritta. Lo ribadisco: non è quella descritta.

Oggi la bioetica è “globale”

La guerra civile bioetica comincia in modo diverso, quando papa Francesco fa suoi un’espressione e un approccio alla bioetica che nascono nel mondo laico e si chiamano “bioetica globale”. Per chi volesse saperne di più il riferimento è il libro Global Bioethics. An Introduction di Henk ten Have (2016, riassume oltre un decennio di studi), tradotto in italiano nel 2020 (Piccin Editore).

E l’enciclica Laudato si’, ponendo i temi della bioetica in connessione con i temi ambientali, si avvicina alla “bioetica globale”, che diventa poi il centro della riflessione di un’istituzione vaticana come la Pontificia Accademia per la Vita (non a caso ten Have è uno degli Accademici).

Oggi la bioetica è “bioetica globale”. Tema inaccettabile per i settori tradizionalisti cattolici (e non solo), che stanno abbarbicati all’etica dei comportamenti e alle risposte preconfezionate da dare a problemi specifici (fertilità, fecondazione, sessualità e vita coniugale e così via).

Questo approccio non è possibile, oggi, di fronte alle sfide della tecnologia applicata al settore medico-sanitario e non è possibile di fronte alla vastità dei problemi ambientali che mettono a rischio l’esistenza di ognuno di noi sull’intero pianeta.

La bioetica globale, non a caso, discute anche di equità dei sistemi sanitari, di possibilità di accesso a farmaci e cure, tutte questioni che aprono ad una visione non occidentale della medicina, come la pandemia ha dimostrato.

Quindi: primo punto. Il terreno di dibattito (scontro) è la bioetica globale.

Di fronte alle nuove tecnologie

Secondo. Non è più possibile – oggi – di fronte alle tecnologie che abbiamo, parlare di vita umana dal concepimento alla morte naturale. Prima di tutto perché la bioetica globale si interessa di quello che c’è nel mezzo, cioè di come vivere gli anni a disposizione. E poi perché “concepimento” non ha il senso immediato che possiamo percepire, se pensiamo alle tecnologie cui si rivolgono singoli e coppie quando “naturalmente” non riescono ad avere dei figli.

Poco importa che la “dottrina” le proibisca: le tecniche di fecondazione assistita esistono e vengono usate, cambiando profondamente i parametri della genitorialità (riferimento e autocitazione per sintetizzare le problematiche: si veda il mio Curare la vita, EDB).

E anche sulla “morte naturale” non ha molto senso usare tale espressione di fronte alle possibilità di rianimazione fino all’ostinazione irragionevole (altrimenti detta “accanimento terapeutico”), che vogliono ritardare il più possibile il momento finale e i dibattiti politici di questi mesi – destinati ad aumentare – con l’accapigliarsi sulle definizioni e sul chi deve decidere che cosa. E in Italia, con una legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento che è larghissimamente non conosciuta e non applicata.

Aggiungiamo poi gli stati che sono intervenuti con leggi (divisive e controverse) a favore di forme di eutanasia e di suicidio assistito (Belgio, Olanda, Spagna – per restare in Europa), oppure quando non è capace di farlo (Italia) si ricorre ai tribunali che devono far applicare una sentenza della Corte Costituzionale (in mancanza di una legge) e dunque si dà il via a furiosi dibattiti ideologici.

Quindi, secondo punto: i termini dei problemi sono cambiati profondamente e non è possibile restare fermi alle sole questioni relative all’aborto e a quando comincia e finisce la vita umana.

La Chiesa, da questo punto di vista, sconta una scarsa capacità di confrontarsi con la scienza e il suo avanzare. Basta guardare a quei settori che ancora (ancora!!!!) non accettano la definizione di morte nel senso di morte cerebrale e quindi neppure i trapianti, e restano saldamente attaccati alla definizione di morte nel senso dell’arresto cardiaco.

In dialogo con i saperi

Dunque, come si esce dalla “guerra civile bioetica”? Come direbbe un poeta (caro a padre Antonio Spadaro), il siciliano Bartolo Cattafi: con un taglio netto. E chi volesse saperne di più prenda la riflessione confluita nel libro-dibattito Etica teologica della vita (Libreria Editrice Vaticana), curato dalla Pontificia Accademia per la Vita.

Si deve riprendere il dialogo con la scienza e approfondire, smettendo gli occhiali dei pregiudizi antiscientifici per fare avanzare la riflessione etica e trovare soluzioni (nel volume sono indicate).

Il Magistero dirà la sua quando crede, nel frattempo teologi, umanisti, scienziati, discutano. Sapendo che in questo settore ogni vicenda medica ed umana è un caso unico (il che fa saltare in aria i tradizionalisti, per i quali tutto si riduce ad applicazione di princìpi, meglio se immutabili), perché le condizioni di ognuno sono specifiche e particolari.

E meglio farebbe la Chiesa a uscire dalla guerra civile non fomentandola ma mettendosi seriamente a lavorare verso un’etica condivisa della vita umana, riconoscendo anche i limiti dei nostri saperi.

Ma questo è un altro più ampio discorso, da fare in seguito.

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