Dialogo curato da Andrea Grillo con Pietro Piro, studioso attento alle dinamiche di disumanizzazione radicale del nostro tempo. Ha pubblicato di recente L’uomo nell’ingranaggio. Occasioni di critica, Palermo, Edizioni La Zisa, 2019.
- Caro Pietro, anche i filosofi, come è giusto, prendono la parola sulla crisi che stiamo vivendo. Tra questi Giorgio Agamben ha assunto una posizione singolarmente dura, forte, recisa. Come pensi sia giusto reagire alle sue parole?
Agamben è un filosofo autorevole e la sua posizione deve essere accolta con il massimo rispetto. Occorre provare a ragionare con Agamben, non contro di lui. Per capire se da questo ragionare si può giungere a un nuovo assetto generativo. A nuove “aperture di senso”.
- Quindi non contro, ma oltre. Se capisco bene, tu assumi anzitutto un atteggiamento di ascolto, e ti lasci provocare dalle sue parole, anche quando sembrano eccessive o ingiuste. È così?
Questo è possibile se accettiamo parte delle preoccupazioni di Agamben come legittime. Noi ragioniamo “in aggiunta” e non per sottrarre terreno ad Agamben. È una questione di metodo. La verità è dialogica e in movimento e non possiamo mai dire: ecco è tutto. Agamben ha torto. Noi abbiamo ragione. Occorre superare questo atteggiamento di chiusura. Ora proviamo ad analizzare punto per punto il pensiero di Agamben.
Lo stato del paese
- Mi sembra un metodo molto saggio per procedere. Occorre esaminare ogni singola affermazione e valutarne precisamente la portata. Allora cominciamo dalla prima affermazione: 1) Il Paese è crollato di fronte alla malattia?
Assolutamente no. Il Paese resiste, è quasi immobile come nella preghiera dei monaci contemplativi. A volte, occorre quasi restare immobili per poter resistere alle correnti. In questa semi immobilità si sono attivate potenze spirituali inaudite. Veri “poteri”. Il potere di cura, quello di solidarietà e quello di responsabilità. Sono tre giganti.
- Ma è giusto chiedersi, a contrario: il Paese poteva crollare?
Sì. A causa di scelte scellerate e di tagli alla spesa della sanità pubblica. E allora come fa a resistere? Dove nascono queste energie per “resistere alla resa”? Resiste perché la pandemia dimostra che esistono, al di là delle ideologie, delle appartenenze ai partiti, delle logiche di potere, uomini e donne di buona volontà che sono capaci di mettere il bene degli altri anche davanti al proprio. Non è forse questo un segno di inaudita Speranza? Non è forse questa ennesima prova di bene speso e donato il segno tanto atteso? Non è la “resistenza al male” una categoria fondamentale della teologia?
- Certo. Fare fronte al male nel modo più partecipato è, propriamente, una forma decisiva di “comunione”. Ma qui veniamo alla seconda obiezione di Agamben: 2) Il rischio era davvero “imprecisato”?
Assolutamente no. Il rischio era preciso, calcolato e calcolabile. Fondato su esperienze pregresse (grazie alla Cina). Vietare movimento, assembramenti, funerali è dunque un vero e proprio gesto di pietas. Una forma di cura e responsabilità – diciamo anche di rispetto e amore per il prossimo – assolutamente necessaria. Altrimenti sarebbe stata una forma diabolica di rischio sulla vita degli altri. Sarebbe stato terribile sapere che, pur coscienti del grave rischio, nessuno ci avrebbe tutelato.
Il sapere scientifico
- Veniamo così alla terza affermazione: 3) I nostri rapporti di amicizia e amore si sono interrotti? Abbiamo permesso, in altri termini, di essere violati nelle nostre più intime relazioni?
No. Sono entrati nella dimensione del desiderio, della mancanza e della nostalgia. Sentimenti fondamentali per dare peso e sostanza alle relazioni.
- E allora veniamo al quarto punto critico: 4) La medicina ha causato una scissione? Qui, di sicuro, siamo al confine tra una “misura sociale” e il rischio di una caduta nella “irrilevanza del singolo”: è una dimensione estremamente delicata, che investe la condizione di solitudine che minaccia, soprattutto in regime di isolamento, il malato, il morente e il defunto. D’altra parte, l’esclusione del lebbroso dalla comunità sociale non è un’invenzione della medicina moderna…
La medicina sta dimostrando che, per dare ossigeno allo spirito, è necessario curare il malato e riportarlo a una condizione di equilibrio che gli permetta di “vivere degnamente”. Potrebbe essere entrata in una nuova epoca più spirituale e politica – forse anche inconsciamente: non dobbiamo scindere la dimensione corporea dalla cura dell’anima altrimenti facciamo lo stesso errore che cerchiamo di denunciare.
- C’è poi il quinto punto, ossia 5) Il distanziamento sociale e il suo impatto complessivo sulla nostra forma di vita.
Passato il dolore iniziale, impareremo che le distanze dei corpi possono essere colmate da una maggiore intensità di sentimento. Prima ci lamentavano tutti della freddezza dei rapporti. Delle passioni tristi. Eppure, potevamo toccarci senza nessuna remora. Credo che le culture dove le distanze sociali sono marcate non hanno certamente prodotto minore capacità di compassione e amore. È una partita aperta…
Chiesa e giuristi
- Si presenta poi, delicatissimo, il punto 6) la Chiesa, che Agamben accusa di aver perso la fede perché avrebbe tradito il prossimo. Papa Francesco avrebbe contraddetto san Francesco…
La tanto criticata Chiesa non ha dimostrato una volta per tutte di tenere di più all’uomo in carne ed ossa che al suo apparato liturgico e devozionale? Non ha dimostrato di sapere soffrire “alla pari” privandosi di ogni forma di superiorità? Questa è una grande opportunità per la teologia, per spogliarsi dei suoi orpelli più astrusi ed elaborare forme nuove di presenza nel mondo di oggi…
- Infine, 7) Il ruolo dei giuristi: hanno davvero ceduto a logiche incontrollate, che hanno imposto lo stato di eccezione come arbitrio e sopruso dei diritti della persona?
Compito di chi fa le “leggi” è di creare le basi per l’emergere di una cultura della responsabilità collettiva. Mi pare che il Paese abbia dato prova di “legge morale interiore” di grande livello…
- Alla fine, caro Pietro, esaminando ogni singolo punto del ragionamento di Agamben, mi pare che tu abbia raccolto le sue provocazioni negative in modo molto positivo, quasi cambiandole sistematicamente di segno. Mi pare che tu colga l’occasione delle critiche di Agamben per scoprire che quanto lui ha segnalato, quasi con scandalo, può scandalizzare in senso contrario: non come una occasione di male, ma come apertura inattesa al bene.
Agamben ci aiuta a ragionare su alcuni pericoli a cui andiamo incontro. Però dobbiamo evitare letture troppo in negativo. Altrimenti non diamo giustizia allo sforzo di chi sta dando tutto per il bene. Dobbiamo sforzarci di trovare un punto di convergenza equilibrato per dare avvio all’antropologia dell’homo dignus (Rodotà). Questo punto di convergenza è dentro e fuori la teologia, ma non può mai essere fuori dell’ecologia profonda, che riguarda radicalmente tutti.
In dialogo con Giorgio Agamben, Una domanda:
- Redazione, Il sovrano e la barchetta.
- Andrea Grillo, Una domanda sbagliata.
- Francesco Sisci, L’interessante cortocircuito.
- Giovanni Zambotti, Il lato positivo.
- Davide Baraldi, Raccogliere la provocazione.
Dopo aver letto questo testo, non so se si debba essere più ammirati o più desolati. Vorrei scegliere l’ammirazione, ma mi afferra più potente la desolazione. Ecco perché.
1) Apprezzo molto lo stile pacato e puntuale, sia del prof. Grillo che pone le domande, sia del prof. Piro che porge le risposte. Limpidi ed efficaci entrambi.
2) Apprezzo ancora di più, se possibile, l’attitudine di fondo che muove questa “intervista/dialogo”: cercare in ogni modo di cogliere le possibili “anime di verità” delle varie affermazioni – e della tesi complessiva – dell’ormai noto testo del prof. Agamben. Ascoltare, lasciarsi interrogare, provocare: benissimo. A dire il vero, l’evidenza dell’assurdo di fondo ( = irrealismo sfrenato ) delle tesi di Agamben balzava agli occhi senza lasciare molto spazio a indugi dubitativi, interrogativi ma…tant’è, concediamo una generosa misura suppletiva al dubbio sulle proprie evidenze.
3) Tutto – sottolineo: tutto – il testo dell’intervista/dialogo Grillo/Piro è una puntuale ripresa e smentita delle tesi di Agamben: dissezionata, analizzata, ripercorsa, ogni tesi di Agamben viene puntualmente contraddetta. Ossia: di ogni tesi si enuncia la non plausibilità, la non sostenibilità.
Ma allora chiedo: c’era proprio bisogno di dedicare tempo ed energie a ribadire che le tesi di Agamben non sono sostenibili? Cosa aggiunge questo testo che già non fosse emerso dai precedenti interventi critici? A scanso di equivoci: il sottoscritto ha in massima considerazione finezze dialettiche e approcci di stile. Ma valeva la pena dedicare ancora energie a tesi che sin dal loro sorgere ognuno ha visto, a seconda dei propri assunti di riferimento, come inaccettabili o, al contrario, condivisibili? Insomma: non è una perdita di tempo quello che ci viene riproposto?
Mi permetto infine di segnalare – ne chiedo venia, ma è solo per indicare che tempo da perdere con inutili giri dialettici oggi non ve n’è – pena che il sottoscritto, a causa del Coronavirus, ha perso TOTALMENTE (non un poco e neppure molto, ma TOTALMENTE) il proprio lavoro e dunque reddito almeno fino alla primavera del 2021, se tutto va bene. Mi guadagno da vivere come guida turistica e … non ho bisogno di dimostrare perché e per come il lavoro, per me e molte altre decine, centinaia di migliaia di colleghi e operatori del settore, sia ZERO per un anno. Fortunati coloro che han tempo per discutere, analizzare e dimostrare ulteriormente che l’acqua è davvero bagnata… Sia detto con ogni sincero rispetto e stima per gli autori del testo.