L’Unione Giuristi Cattolici di Bologna organizza il secondo degli incontri sul tema della dignità umana. Dopo quello dello scorso 11 giugno, dedicato alla condizione dei carcerati[1], si è inteso promuovere una riflessione sulla salute mentale in un incontro dal titolo «La dignità delle persone con disturbi mentali. Stigma sociale, bisogni terapeutici e partecipazione alla comunità»[2].
L’incontro sarà l’occasione per ricordarci che la salute mentale è un diritto fondamentale dell’uomo e che l’esperienza della sofferenza necessita di qualcuno che la condivida, per garantire che i servizi a ciò preposti siano basati sulla comunità e per restituire dignità e diritti alle persone con disturbo mentale [3].
Ognuno di noi, lì dove si trova, è chiamato a fare la propria parte.
Creazione e amore
Nella Genesi il primo compito che Dio affida ad Adamo è dare nomi alle cose: nel linguaggio biblico ciò significa entrare in relazione, coglierne l’unicità, prendersene cura, portarle a compimento: «dare del tu» alle cose, da un fiore a un pianeta. Si può amare solo ciò che incontriamo e a cui diamo un nome. Il racconto dice infatti che l’uomo è a immagine di Dio: creatore e libero, cioè capace di amare (l’azione che unisce le due caratteristiche).
Era l’inizio del 1890 quando Vincent Van Gogh, ricoverato nel manicomio di Saint-Rémy, in Provenza, ricevette una lettera dal fratello Theo che gli annunciava la nascita del figlio a cui avevano dato il nome dello zio: Vincent. Il pittore, felice, dipinse allora un quadro per il neonato: Rami di mandorlo in fiore.
La bellezza del quadro dipinto in manicomio nasce proprio per dominare la malattia che lo porterà, nel luglio di quello stesso anno, a spararsi all’addome in circostanze non del tutto chiare, morendo due giorni dopo tra le braccia dell’amato fratello. Aveva una forma di psicosi d’origine incerta (schizofrenia, epilessia, sifilide?), con crisi di durata variabile accompagnate da allucinazioni e deliri, e seguite da profonda prostrazione.
Il mandorlo, albero i cui fiori per primi annunciano la primavera, dipinto su uno sfondo azzurro quasi laccato, in quelle condizioni di dolore ribadiva quanto il pittore scrisse al fratello: «L’infinito e il miracoloso ci sono necessari ed è giusto che l’uomo non si accontenti di qualcosa di meno e che non sia felice finché non li ha conquistati. Questo è il credo espresso nell’opera di tutti gli uomini buoni, di tutti coloro che hanno scavato più a fondo, cercato di più e amato più degli altri, scandagliato il fondo del mare della vita»[4].
Chi visita il museo dedicato a Van Gogh[5] all’inizio lo incontra nei molteplici autoritratti: un uomo diverso in ogni tela, ma che, come scrive al fratello, ha la sua costante nello scavare, per scoprire se al di sotto del dolore c’è una nascita, come il mandorlo dopo il rigore invernale.
L’atto creativo è per lui, immerso nella natura sino a sfinirsi, incontro appassionato con la realtà, per trovare l’infinito perché, come dice lui stesso, l’uomo non può essere felice se vi rinuncia: chi cerca e ama di più «mette al mondo» qualcosa che prima non c’era, non rassegnandosi al decadere di tutte le cose. Tutti siamo chiamati a trasformare la ferita della finitezza in creazione e amore.
La vocazione alla gioia
Tutto ciò che cerca bellezza salva il mondo, perché creare è la vocazione umana alla gioia: creando noi attingiamo a un livello di realtà da cui abitualmente ci escludiamo per la paura di esser finiti, creare ci fa invece scoprire che siamo in-finiti.
Per questo dobbiamo impegnaci per un sistema di salute mentale inclusivo che aiuti l’altro a scoprire la propria originalità creativa, perché l’impegno creativo dà il coraggio di venire sempre più al mondo. Più creiamo, più cresciamo, più gioiamo, come il mandorlo in fiore.
La cultura dominante ci invita invece a rispondere alla fame di vivere con il consumo delle cose e degli altri: sacrificare invece di creare. Consumare cibo, oggetti, video non dà gioia ma eccitazione, è passività, mentre la gioia è uno stato attivo dell’essere: ogni giorno dovremmo chiederci come «creare» nel modo a noi proprio, perché nella vita c’è gioia nella misura in cui creiamo.
Van Gogh non dipinse «perché» era malato, dipinse perché amava la vita più di quanto ne soffrisse, non fece della malattia o dell’insuccesso un alibi per smettere di creare. Non si illudeva: la vita è ferita dal male, ma creare è curarla, e per lui creare era tornare. Dove? In quel regno a cui «credeva» e che «metteva al mondo»: il regno in cui tutto diventa bellezza, perché tutto è ricerca e amore.
A noi oggi l’artista ricorda di cercare di più, amare di più, creare di più.
Per partecipare all’iniziativa, è gradita la prenotazione scrivendo a ugc.bologna@gmail.com
[1] Cf. B. Capparelli, Giuristi cattolici: dignità umana come concetto giuridico, in Avvenire – Bologna Sette, 28 aprile 2024, p. 4, reperibile on line a questo link, ultimo accesso: 21 agosto 2024; Id., Giuristi Cattolici: carcere e dignità della persona, in Avvenire – Bologna Sette, 9 giugno 2024, p. 4, reperibile on line a questo link, ultimo accesso: 21 agosto 2024.
[2] L’incontro si terrà presso la parrocchia di San Procolo, a Bologna, il 26 novembre 2024, alle ore 18. All’iniziativa prenderanno parte il card. Matteo Zuppi, presidente della CEI e arcivescovo di Bologna; Angelo Fioritti, già direttore del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche di Bologna e Stefano Canestrari, professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Bologna e membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Introduce e modera Renzo Orlandi, professore di procedura penale presso l’Alma Mater.
[3] Di recente, il tema è stato ampiamente dibattuto al Meeting di Rimini 2024; per approfondire, cf. l’efficace resoconto di G. D. Giorgione, Il sistema perverso della salute mentale in Italia, in Vita, 21 agosto 2024, reperibile on line a questo link, ultimo accesso: 23 agosto 2024.
[4] Lettera scritta a Teo nel 1878.
[5]Il sito del Museo è consultabile a questo link, ultimo accesso: 21 agosto 2024.