La vaccinazione contro il Covid-19 richiede tempo: sia per l’arrivo delle dosi, che per l’organizzazione delle vaccinazioni che si protrarrà per mesi, dovendo coinvolgere milioni di persone.
È stata già sollevata la questione per le priorità da seguire. La discussione sta orientandosi in due tesi: partire da chi ha più bisogno (personale medico e infermieristico…) e per chi ha più speranza di vita (cf. Huffingtonpost, 30.12.2020).
Mentre per il personale medico non c’è discussione, pericolose sono le giustificazioni di chi suggerisce di dare possibilità a quanti hanno maggiore speranza di vita. Si sono già espressi, in tal senso, il Presidente della Consulta Biomedica Maurizio Mori, il quale sostiene che tra i primi dovrebbero essere vaccinati i parlamentari poi i liceali che hanno una lunga aspettativa di vita. Per questi ultimi si sono espressi anche il segretario dello Snals (sindacato autonomo della scuola ) e il segretario generale di Cisl Scuola.
È una discussione pericolosa, perché questa seconda ipotesi si orienta a tutelare chi ha già sufficienti elementi di difesa, a svantaggio di chi è fragile e quindi destinato a morire rapidamente.
Contro tale ipotesi credo sia necessario opporsi in modo netto e aperto. La regola da seguire nella pandemia è quella di tutelare chi è a più rischio. La storia della pandemia ha dimostrato che le vittime maggiori sono stati gli anziani, soprattutto quelli rinchiusi nelle RSA. Non solo essi, ma anche i due milioni di anziani e disabili che in Italia sono stati dichiarati invalidi al cento per cento.
A fronte dell’uguaglianza di tutti a proposito di salute, la strada da seguire è quella del rispetto della persona. Se si appella all’efficienza, significa accettare la disuguaglianza. È l’orientamento soprattutto dei paesi del nord Europa. Una filosofia che disprezza chi non ha risorse da mettere in campo: il celebre “scarto” di cui parla spesso papa Bergoglio.
È una filosofia senza memoria. Se il mondo è progredito, lo si deve a chi, nelle generazioni, ha contribuito ai risultati raggiunti.
La visione dell’onnipotenza del presente è suggerita purtroppo di spinte efficientiste, onnivore, alla fin fine devastanti.
Non si può non allargare lo sguardo all’economia, al rispetto del creato, alle disuguaglianze, alla parità dei diritti.
Come cristiani non è possibile tacere: nel tempo c’è stata sottovalutazione delle tendenze in atto. Rinchiusi nei piccoli-grandi problemi della vita interna della Chiesa, sono state sottostimate le radici dello sviluppo distorto dell’occidente.
In silenzio si sono accolte migliorie che non erano a costo zero. Consumi, possessi, arrangiamenti hanno portato maggiori squilibri: il prezzo più grande è stato pagato da chi aveva già poco.
Se la dottrina sociale della Chiesa ha sempre difeso il rispetto di ogni persona, il popolo dei cristiani non ha voluto troppo vedere, dimenticando che chi salva il povero salva se stesso. Nessuno infatti può prevedere che un giorno non sarà costretto – Dio non voglia – a chiedere aiuto.
È giunto il tempo di non parlare più degli ultimi, dei diseredati, dei poveri, perché la globalizzazione e le condizioni della mondo dicono che occorre riscoprire, con il contributo di tutti, l’armonia: la condizione in cui l’ambiente, le relazioni, le risorse contribuiscono a creare comunità.
L’illusione di avere in mano le sorti del mondo si scontra nella realtà con gli squilibri portatori di impoverimento.
Il cristianesimo è una grande religione, perché orientata al benessere senza eccezioni, in un progetto che comprende ogni esperienza degli esseri viventi.
Il Dio creatore dell’Eden, testimoniato da Cristo salvatore, è una luce benefica perché offre alla limitatezza della natura, la prospettiva di una beatitudine senza limiti, iniziata e portata avanti già sulla terra.