È costituzionale la previsione della normativa italiana che determina l’attribuzione automatica del solo cognome paterno al figlio naturale, qualora di comune accordo i genitori vogliano assegnare invece il cognome della madre?
Semplificando, è questo l’interrogativo posto alla Corte Costituzionale nell’ottobre 2019 dal Tribunale di Bolzano nel corso di un procedimento in cui i genitori, non uniti in matrimonio, intendevano attribuire alla figlia il solo cognome della madre, contrariamente a quanto stabilito dalla vigente legislazione ispirata alla regola della prevalenza del cognome paterno declinata nelle sue diverse esplicazioni, come l’attribuzione, in certi casi, del doppio cognome (paterno e materno).
Vicenda trentennale che non ha ancora trovato un’organica soluzione
Con una scelta rarissima sotto il profilo procedurale, la questione – dibattuta in Italia da tempo e mai affrontata in termini risolutori dal legislatore – è stata (nuovamente) trattata dalla Consulta con l’ordinanza n. 18 dell’11 febbraio 2021.
Pronuncia, quest’ultima, finalizzata non a dare immediata risposta all’interrogativo posto dal Tribunale di Bolzano, ma a risolvere pregiudizialmente la questione di legittimità costituzionale dell’attuale sistema di attribuzione del patronimico ritenuto non più coerente con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna e con i principi dell’ordinamento che ha abbandonato la concezione patriarcale della famiglia.
Il modo in cui occasionalmente sono poste le questioni incidentali di legittimità costituzionale non può impedire, infatti, al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite.
È il motivo per cui la Corte, con l’ordinanza dell’11 febbraio 2020, a partire dalle sollecitazioni del Tribunale di Bolzano – ma andando anche oltre le medesime –, solleva davanti a se stessa la questione di legittimità costituzionale sull’attribuzione obbligatoria ai figli del cognome del padre, non in presenza ma in mancanza di un accordo tra i genitori. È a quel livello, infatti, che opera lo squilibrio e la disparità tra i genitori. Così facendo, la Consulta dimostra di essere intenzionata questa volta a risolvere il problema alla radice, mettendo in discussione la più ampia questione che ha ad oggetto la generale disciplina dell’automatica attribuzione del cognome paterno.
L’ordinanza n. 18 del 2021 rappresenta il quarto atto della vicenda giurisprudenziale riguardante la norma sull’attribuzione del cognome paterno ai figli naturali, legittimi o adottivi, oggetto di diverse pronunce della Consulta adottate nel corso degli ultimi tre decenni.
Atto primo: è possibile introdurre criteri più consoni all’evoluzione della coscienza sociale
Risale infatti all’11 febbraio 1988 la prima pronuncia del giudice delle leggi (ordinanza n. 176) che dichiarò inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Trento sull’impossibilità di consentire ai genitori di attribuire al proprio figlio legittimo non il solo cognome del padre ma entrambi i loro cognomi.
Una successiva ordinanza – la n. 586 del 19 maggio 1988 – dichiarò la manifesta inammissibilità di due analoghe questioni sollevate dal Tribunale di Lucca.
Nell’occasione, la Corte ebbe modo di affermare che la sostituzione – con un criterio diverso, più rispettoso dell’eguaglianza e dell’autonomia dei coniugi – della regola vigente che prevede l’attribuzione del cognome del padre al figlio o alla figlia, pur ritenendosi «probabilmente consentaneo all’evoluzione della coscienza sociale», rappresenta un’opzione di politica legislativa riservata al Parlamento, dal momento che l’esclusione dell’automatismo dell’attribuzione del cognome paterno lascia aperta una serie di opzioni da valutare attentamente sotto il profilo della tecnica legislativa.
Atto secondo: concezione patriarcale della famiglia che il legislatore deve superare
Il secondo atto della vicenda si ebbe con la sentenza n. 61 del 16 febbraio 2006 e con la successiva ordinanza n. 145 del 27 aprile 2007.
La Consulta, mutando il proprio orientamento, affermò, facendo altresì riferimento ad alcune fonti normative internazionali e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
Alla pur accertata illegittimità costituzionale dell’insieme di norme disciplinanti l’attribuzione del cognome non seguì, però, un dispositivo di accoglimento della questione sollevata dalla Corte di Cassazione, stante la preclusione, per il giudice delle leggi, di optare, con una propria sentenza, per una tra le varie soluzioni astrattamente adottabili da parte del legislatore.
Con la conseguenza che, grazie alla pronuncia di incostituzionalità accertata ma non dichiarata per rinvio alla discrezionalità del legislatore, la normativa all’epoca vigente ha continuato a trovare applicazione.
Atto terzo: esigenza di una riforma organica indifferibile
Il terzo atto della vicenda è rinvenibile nella sentenza n. 286 del 21 dicembre 2016, a ragione definita “storica” dalla dottrina.
Con essa a mutare non è l’orientamento sostanziale della Corte Costituzionale, ma la forma della propria decisione. Nel senso che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova viene accolta limitatamente al caso sottoposto all’esame dei giudici: una copia di coniugi italo-brasiliani che chiede di poter registrare il figlio, titolare di doppia cittadinanza, con il cognome sia del padre sia della madre, ritenendo illogico che il figlio venga identificato diversamente nei due Stati dei quali è cittadino (in Italia con il solo cognome del padre e in Brasile con il doppio cognome, paterno e materno).
Con la suddetta sentenza:
- viene preliminarmente affermato che l’attribuzione automatica del cognome paterno al momento della nascita, pur non presente in una norma scritta, è desumibile dalla lettura delle disposizioni «che implicitamente la presuppongono», la cui legittimazione deriva dall’essere presupposta da varie norme contenute nel codice civile e nella legge avente ad oggetto lo stato civile;
- di tali norme viene dichiarata l’illegittimità costituzionale «nella parte in cui non consentono ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno»;
- la regola dell’attribuzione automatica del cognome del padre non viene riscritta, ma si introduce la possibilità di aggiungere a quello paterno, fin dalla nascita, anche il cognome della madre, in presenza di concorde richiesta in tal senso dei coniugi;
- viene estesa in via conseguenziale la declaratoria di illegittimità costituzionale ai casi del tutto analoghi, del figlio naturale, legittimo e adottivo;
- si prende atto che, in via temporanea, in attesa di un «indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia secondo criteri consoni al principio di parità» dei genitori, sopravvive la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno destinata a operare in mancanza di accordo espresso dei genitori;
- si prende altresì atto che, nelle more del giudizio, la Corte europea dei diritti umani – con sentenza 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia – ha affermato che l’impossibilità per i genitori di attribuire al figlio o alla figlia, al momento della nascita, il cognome della madre, anziché quello del padre, integra violazione del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita privata e familiare previsti rispettivamente dagli articoli 14 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Atto quarto: se il legislatore non interviene…
L’ordinanza dell’11 febbraio 2021 costituisce il quarto (ma probabilmente non ultimo) atto della complessa vicenda che si trascina ormai da 33 anni, nonostante i numerosissimi tentativi compiuti, nel corso delle varie legislature, per innovare la materia.
Di fronte al nulla di fatto in tema di riforma organica del cognome, definita «indifferibile» nella sentenza 286 del 2016, la Corte Costituzionale decide, con la recente ordinanza (il cui redattore è il giudice costituzionale Giuliano Amato che aveva firmato la sentenza del 2016), di inviare al legislatore una sorta di ultimatum.
Se in tempi ragionevoli la vigente disciplina dell’automatica acquisizione del solo patronimico non verrà organicamente modificata in modo da garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio garantendogli la possibilità di essere identificato sin dalla nascita anche con il cognome materno, la salvaguardia dell’unità della famiglia che si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi o i conviventi sono governati dalla solidarietà e dalla pari dignità, il rispetto della vita privata e familiare, sarà il giudice delle leggi a cancellare dal nostro ordinamento «l’attuale sistema di attribuzione del cognome» che «è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna», propria ormai della nostra cultura giuridica.
Il nome: diritto umano inviolabile
Quale segno distintivo dell’identità di una persona nel contesto sociale, il diritto al cognome, soprattutto a seguito della parificazione fra figli nati dentro e fuori del matrimonio, costituisce un tipico diritto inviolabile della persona umana.
Protetto dall’articolo 2 della Costituzione, esso è garantito nell’ambito di quella formazione sociale primaria che è la famiglia, nella duplice direzione, del diritto anche della madre di trasmettere il proprio cognome e di quello del figlio di acquisire segni di identificazione rispetto ad entrambi i genitori, testimoniando la continuità della sua storia familiare anche con riferimento alla linea materna.
In conclusione, e in attesa di una probabile prossima decisione definitiva, la questione, nei termini in cui è stata sollevata e delineata dalla Corte Costituzionale, è di fondamentale importanza per il nostro Paese e ci fa capire che le pietre miliari del cammino di una società rispettosa della pari dignità della donna e dell’uomo spesso passano per le aule giudiziarie.
Scriveva Salvatore Pugliatti, eminente giurista e accademico italiano, oltre che musicista e letterato: «Quando la società e la storia bussano alla porta del giurista, egli non può fingersi sordo, o tentare di abituarsi al rumore, per non subirne più la molestia» (S. Pugliatti, Grammatica e diritto, Giuffrè, Milano 1978, p. 89).
Il giurista per antonomasia, cioè il giudice delle leggi, dopo essersi limitato, dal 1988 al 2016, a ricordare che il tema dell’attribuzione del cognome è di competenza del legislatore, ha deciso, persistendo l’ingiustificabile inerzia di quest’ultimo, di confermare la propria determinazione ad abbattere un altro anacronistico profilo di mentalità patriarcale.
Sarà un motivo in più per litigare fra marito e moglie.
Scusate… fra coniuge 1 e coniuge 2…. scusate fra genitore 1 e genitore 2… pardon fra genitori in numero imprecisato.
Comunque aumento della conflittualità e della confusione.
Adelmo, trovo la tua annotazione “la più geniale e condivisibile” nel generale disorientamento/disordine creatosi negli ultimi quarant’anni!
La Corte Costituzionale italiana, dove sono tutti italiani, sembra esprimersi con il tono sapiente di quelle determinazioni della Corte Europea contro il Crocifisso nelle scuole, argomentando che violava i diritti dei genitori di educare i figli anche a non credere ,dove però poi, la stessa Corte, firmando la sentenza ,la dato’ 3 novembre 2009 calcolando il tempo trascorso dalla nascita di Cristo stesso.
La semplice ragione che i fratelli e le sorelle di madre si conoscono sempre ,indipendentemente che poi nella realtà naturale siano anche in effetti fratellastri e sorellastre, dimostra che la apposizione del cognome materno ai figli è assolutamente inutile se non confusoniaro e nocivo. Tutti ,ed anche Amato, dovrebbero,Tridentinamente, portare sempre il cognome del padre proprio per riconoscersi in futuro ,tra fratellastri e sorellastre ,ed evitarsi nella consapevolezza, terribili peccati.
È singolare ,a Roma, che si possa costituzionalmente dichiarare che
“l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia ROMANISTICO, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
Che cosa è cambiato a Roma e nel mondo lo comprende solo la Consulta.Altrimenti il figlio di Maria Bianchi può, chiamandosi Bianchi incontrare la figlia di Anna Rossi che si chiama Rossi, ma , se sono occultamente i figli di Giuseppe Verdi e dovrebbero ROMANISTICAMENTE chiamarsi Verdi, la Consulta,con il cognome materno, li induce senza perplessità patriarcale a commettere ciò che è vietato ,e non solo dalla nostra Religione.