I tempi cambiano (si sa, non ci sono più le mezze stagioni… specie dopo questa torrida estate…), le sensibilità sociali e culturali mutano e si modifica il senso del “peccato” (ne appaiono di nuovi… vecchi peccati diventano graviora…), le possibilità offerte dalle tecnologie aumentano e le scelte che ognuno può fare si trasformano nel più geloso simbolo dell’individualità di ciascuno.
A partire da due notizie
In che modo ne è coinvolta la Chiesa?
Si potrebbe riflettere a partire da due notizie.
La prima: la richiesta del superiore dei Fratelli della Carità – su richiesta del papa – ai suoi confratelli belgi che siedono nel consiglio di amministrazione della struttura che somministra l’eutanasia come pratica medica ordinaria, di avviare una rapida revisione e smetterla. Una situazione complessa, a quanto pare, perché la congregazione non gestisce direttamente la struttura, ma lo fa attraverso un consiglio di amministrazione con laici e religiosi insieme.
La seconda: la raccomandazione della Commissione australiana che indaga sui casi di pedofilia, affinché venga meno il segreto confessionale da parte del sacerdote quando ha di fronte un penitente macchiatosi di tali crimini.
Due notizie molto diverse. Simboleggiano tuttavia – a mio avviso – il cambiamento che stiamo attraversando
In primo luogo, la centralità dell’idea in base alla quale dover decidere in tutto e per tutto della nostra vita è parte integrante di una società occidentale dove la libertà di scelta è considerata un valore assoluto e fondante per l’individuo. Posso e devo e voglio decidere della mia morte, visto che non posso decidere della mia nascita (però già le biotecnologie me la dicono lunga sulla possibilità di decidere come e quando e in che modo far nascere un figlio…).
Il secondo caso ha a che fare con la particolare riprovazione e ripugnanza verso gli abusi commessi ai danni dei minori. Emerge una nuova consapevolezza legata alla gravità di tale scandalo, cui non è estranea la reticenza avuta dalla Chiesa in passato. E le nuove procedure messe in atto non bastano a incidere sull’opinione pubblica, specie nel mondo anglosassone.
Un sacerdote con cui ho parlato di queste due situazioni ha commentato trattarsi di due questioni non assimilabili e di fronte alle quali possono darsi comportamenti diversi. Ad esempio, un sacerdote sensibile e competente potrebbe accompagnare una persona nel percorso verso l’eutanasia, pur non approvando e dandosi attivamente da fare per dissuaderlo ma, alla fine, accettando la decisione. Nel secondo caso mi ha spiegato che, personalmente, andrebbe in carcere piuttosto di fare il nome del penitente, qualora uno stato legiferasse in tal senso.
Il diritto in una mentalità che cambia
Certamente le questioni sono diverse, tuttavia assimilabili nel senso che danno l’idea dei cambiamenti e delle sfide da affrontare. E di quanto sia imperativo e, nello stesso tempo, difficile spiegarsi e farsi comprendere dal mondo occidentale contemporaneo.
Intendo sollevare una domanda più di fondo (a mio avviso): di fronte ai cambiamenti di mentalità, in che modo la teologia e il diritto canonico possono attrezzarsi?
Di fronte all’idea che alcuni delitti vadano perseguiti e non sia ammessa alcuna tutela, neppure nella confessione, perché evidentemente tutto il privato è pubblico e ha rilevanza penale, come ci si deve attrezzare per salvaguardare il “foro interno”? E soprattutto: come non dare l’impressione di aiutare i colpevoli facendo ricorso al “foro interno”? In altri termini: quale “punizione” somministrare? Quale atto riparatorio proporre? E come fare affinché le buone pratiche ecclesiali vengano comprese da società individualiste e oramai poco sensibili a valori che durano più tempo di un post sui social?
A me sembra l’aspetto comune alle due situazioni citate. Per la prima, in cui si ha a che fare con l’idea che ogni decisione sia segno dell’inviolabile individualità del singolo individuo, ci dovremmo chiedere quali risposte forti, decise, stringenti, debba dare un’evangelizzazione capace di entrare nelle pieghe delle scelte e delle mentalità. E avere il coraggio di dialogare con tutti per davvero, e non per finta, stabilendo con misericordia delle linee di comportamento e aprendo un dibattito permanente.
Su Chiesa e nuovi diritti vedi Chiesa e diritti umani e Chiesa alla prova dei “nuovi diritti”.