La scelta, per certi versi imprevista, nonostante alcune dichiarazioni degli scorsi mesi, della campionessa paraolimpica Marieke Vervoort, 40 anni, che pochi giorni fa ha deciso di mettere fine alla propria vita attraverso l’eutanasia, legale in Belgio dal 2002 nelle Fiandre, a Diest, ripropone l’attualità del discorso bioetica.
La Vervoort aveva vinto medaglie d’oro e d’argento alle Olimpiadi Paraolimpiche di Londra nel 2012 e a quelle di Rio de Janeiro in Brasile nel 2016, vincendo la T52 400 metri (medaglia d’argento).
Proprio nel 2016, la campionessa, affetta da una malattia spinale degenerativa e incurabile diagnosticata a 15 anni, che nel tempo l’aveva portata a diventare paraplegica, aveva affermato di aver intenzione di ricorrere all’eutanasia nel suo paese di origine dal momento che il dolore era ormai insopportabile e le condizioni di vita quasi impossibili da sopportare: «Ogni anno è peggio. Ogni giorno è peggio. Se mi aveste visto anni fa, io potevo disegnare cose bellissime, ora è impossibile. Ora vedo solo al 20%. Cosa sarà di me in futuro? Sono veramente impaurita».
A confermare la sua volontà sembra essere stato un importante un episodio di epilessia vissuto nel 2014 nella sua abitazione, mentre cucinava della pasta che l’ha portata a rovesciarsi acqua bollente e a trascorrere ben quattro mesi in ospedale.
Nelle stesse ore della tragedia Vervoort, usciva in Francia un documento dei vescovi proprio sul tema della bioetica di cui vogliamo offrire una breve sintesi.
Bioetica: che mondo vogliamo?
Già il titolo (“Bioetica: che mondo vogliamo?”) sembra indicare una direzione precisa: dalle posizioni in materia di bioetica noi mostriamo le nostre convinzioni sulla convivenza futura nelle società occidentali.
È del 25 settembre il pronunciamento della Consulta del nostro Paese in merito alla non punibilità di chi aiuta un ammalato a porre fine alla propria esistenza, a patto che intercorrano alcune precise condizioni.
Ma c’è molto di più nello scritto dell’episcopato d’oltralpe, soprattutto in materia di bioetica per l’inizio della vita, in quanto i vescovi francesi si occupano del nascere.
Messo a punto da Pierre d’Ornellas, vescovo di Rennes e presidente del Gruppo di Bioetica della Conferenza episcopale, il documento (che esce per i tipi delle Edizioni Du Cerf) si avvale dei contributi di altri vescovi ed esperti, quali: Pierre-Antoine Bozo di Limoges, Nicolas Brouwet e Tarbes di Lourdes, Olivier di Germay, Ajervé ed Hervé Gasselin di Angoulême, Vincent Jordy, vescovo di Saint-Claude, Matthieu Rougé, vescovo di Nanterre, padre Brice de Malherbe della diocesi di Parigi (Collège des Bernardins), padre Bruno Saintôt, gesuita del Centre Sèvres.
Lo scritto prende lo spunto dalla revisione in materia di bioetica della legislazione statale di Francia, un capitolo che si è aperto da mesi e non trova ancora convergenze di rilievo a livello socio-culturale, se si escludono alcuni interventi in campo cattolico.
Perché i vescovi hanno voce in capitolo
Sulle ragioni per cui un vescovo o dei vescovi possano prendere la parola in materia di bioetica ha argomentato il vescovo di Parigi, Aupetit, lo scorso 4 ottobre sul quotidiano della capitale francese Le Figaro: «Tribuna del vescovo Michel Aupetit sulla legge di bioetica – Alcuni potrebbero essere sorpresi dal fatto che un vescovo parli di questioni politiche. È davvero il suo ruolo? Un vescovo della Chiesa cattolica deve proclamare il Vangelo, consentire a tutti di incontrare Dio e offrire a tutti l’opportunità di entrare nella vita eterna che Cristo ha aperto con la sua risurrezione.
Esattamente, con la sua incarnazione, Cristo, il Figlio di Dio, è arrivato a trasfigurare la nostra visione dell’uomo conferendogli una dignità innegabile, qualunque sia la sua origine etnica, la sua situazione sociale, il suo sesso, la sua cultura o la sua età. San Paolo lo spiega molto bene quando scrive ai cristiani di Galazia: “Non ci sono più ebrei o pagani, né schiavi né uomini liberi, né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Questa unità dell’umanità che deve realizzare una fraternità universale è un’opera essenziale della Chiesa. Questo è il motivo per cui i vescovi si permettono di parlare su questioni sociali che incidono sulla dignità umana quando questa viene gravemente attaccata.
Il disegno di legge bioetico in discussione tocca le basi più essenziali su cui sono costruite le nostre società umane: la filiazione, la non commercializzazione del corpo umano, il rispetto di tutta la vita dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, l’interesse superiore del bambino, una medicina filantropica e non commerciale, un’ecologia umana in cui il corpo non è uno strumento, bensì il luogo dell’edificazione della personalità.
Il presidente della Repubblica desiderava un dibattito calmo e consensuale. Introdotti gli Stati Generali, numerose consultazioni da parte del Consiglio di Stato, l’opinione del Comitato consultivo nazionale di etica, numerosi interventi di esperti. Cosa è accaduto in tutto questo? Alla fine, molto poco.
I partecipanti agli Stati Generali, dopo aver approfondito la questione, hanno deciso con molta chiarezza contro l’estensione della PMA (procreazione medicalmente assistita) fuori dal campo propriamente medico senza che ciò avesse il minimo effetto sui redattori del disegno di legge. Siamo stati ampiamente consultati e, dobbiamo dirlo per onore di cronaca e verità, ascoltati cortesemente. Ascoltati, ma non compresi. Le uniche risposte che abbiamo ricevuto dal Ministro della Sanità agli argomenti presentati e basati sulla ragione sono argomenti autorevoli.
Il comitato etico ha tuttavia rivelato alcune debolezze metodologiche negli studi sui bambini cresciuti da madri single o da coppie di donne. Molti esperti di psichiatra infantile confermano che questi studi, molti dei quali anglosassoni, commettono errori sul rigore scientifico del metodo. Ancora una volta, nessuna risposta.
Sono state inoltre respinte le serie questioni sollevate da filosofi non sospettati di ideologia e relative alla filiazione, in particolare la privazione del figlio di un’affiliazione bilaterale senza possibilità di ricorso. L’Accademia di Medicina, che ha appena deciso con argomenti scientifici molto seri, è stata messa all’angolo dal Ministro della Salute, che, senza vergogna, li ha definiti come “datati” e “forse ideologici”. Senza alcun altro argomento razionale. Lo stesso vale per la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia firmata dal nostro Paese.
Questo atteggiamento sdegnoso, perfino arrogante, è caratteristico di ciò che è stato osservato dall’inizio di questa consultazione. Un ascolto apparentemente benevolo, ma un’inflessibilità che riflette un atteggiamento ideologico purtroppo privo di fondamenti antropologici realistici. Eppure nessuno è il padrone della vita, nemmeno i suoi figli. Trasmettiamo la vita, ma questa non ci appartiene. Mio figlio viene da me, ma non è “il mio bene”. Non posso rivendicare un diritto al bambino, così come un diritto alla casa. Un bambino è sempre un dono che deve essere accolto senza renderlo un prodotto fabbricato grazie alla tecnologia umana e soggetto al potere del denaro. Bisogna imparare ad essere un figlio, cioè a capire che la nostra vita non viene da noi stessi, che la riceviamo, che dobbiamo imparare a viverci. A questa condizione possiamo essere dei veri genitori che sono abbastanza umili da trasmettere la vita e far venire una persona alle prese con la propria libertà. Non è possibile sfruttare un bambino con il pretesto di soddisfare un desiderio individuale. Se la frustrazione provoca sofferenza, che deve essere accompagnata, essa non può giustificare una pretesa genitoriale».
I vescovi erano intervenuti un anno fa
Sugli stessi temi i vescovi erano intervenuti poco più di un anno fa con un altro documento dal titolo “Un problema di umanità”: «La Chiesa è sempre stata presente ai dibattiti che incidono, in un modo o nell’altro, sulla dignità della persona umana. Questa presenza è costitutiva della sua missione al servizio dell’uomo come “la strada fondamentale della Chiesa”. [1] Secondo la bella espressione del Concilio Vaticano II, “non c’è nulla di veramente umano che non trovi eco” [2] nei cuori dei cristiani. Molte domande sono così riecheggiate nel cuore della Chiesa nel corso dei secoli, come la “questione sociale” del diciannovesimo secolo che portò Leone XIII a pubblicare l’enciclica Rerum novarum (1891), un vero atto fondante della Dottrina sociale della Chiesa.
Negli ultimi decenni, una nuova “questione sociale” è emersa in relazione allo sviluppo della biotecnologia nella misura in cui rischia di forgiare una certa concezione dell’uomo e della società. Pur incoraggiando il progresso delle scienze biomediche che aprono nuove prospettive terapeutiche [3], la Chiesa ci invita a un discernimento. Si tratta di mettere in discussione il significato stesso di questi progressi, soprattutto perché ampliano costantemente la gamma di possibilità; la domanda può quindi essere posta in questi termini: quanto è tecnicamente possibile è accettabile da un punto di vista etico? In altre parole, quali sono i limiti al progresso della biotecnologia? La nostra responsabilità è quindi impegnata se vogliamo che questi progressi rimangano al servizio della persona umana nel rispetto della sua inalienabile dignità, e soprattutto dei più vulnerabili: il nascituro, i genitori affetti da infertilità, la persona malata o disabile… È quindi una sfida dell’umanità che ci troviamo di fronte.
Senza cercare di formulare soluzioni già pronte a problemi così complessi di sofferenza, la Chiesa propone parametri di riferimento per il discernimento personale nella coscienza. Questo è il significato dei documenti presentati in questa sezione del sito. Esprimono il punto di vista della Chiesa e il suo contributo al dibattito sulle diverse questioni della bioetica: ricerca sugli embrioni, aborto, procreazione medicalmente assistita, maternità surrogata, donazione di organi, diagnosi prenatale ecc.
Nota che, se questo contributo è illuminato dalla fede, si basa anche sulla ragione, come tale è accessibile a qualsiasi persona, credente o no. Può quindi alimentare il dialogo a cui anche i cattolici devono prendere parte, nel rispetto dei loro interlocutori. Lungi dal costituire un semplice confronto di opinioni soggettive, il dialogo è “il servizio del logos, vale a dire, la verità che i partner ammettono di non confiscare ma di voler sinceramente cercare insieme”. [4] Dobbiamo impegnarci insieme in questa ricerca di una verità che ci sorpassa e ci precede: la verità sull’essere umano, l’unica misura del progresso della biotecnologia. Possano i documenti sottostanti aiutare tutti a partecipare meglio a questo dialogo “che unisce l’amore con la verità e la verità con l’amore”». [5]
Riconoscere la dignità del nascere
Lo scorso mese di settembre si registrava un intervento di Eric de Moulins Beaufort, arcivescovo di Reims e presidente del CEF, al Collège des Bernardins: «Per mesi ci siamo espressi in molti modi: le carte sono state pubblicate l’anno scorso e inviate ai parlamentari, abbiamo incontrato le autorità dello Stato. Abbiamo coltivato un atteggiamento di ascolto e di dialogo. Lo riconosciamo: siamo stati ascoltati e anche ascoltati con attenzione e rispetto. Ma possiamo solo notare che i nostri politici e molti dei nostri parlamentari rimangono ciechi sulle questioni di ciò che decideranno perché sono affascinati dalle promesse di tecniche mediche e tecniche legali.
Sono come molti dei nostri concittadini, specialmente quelli che soffrono e ascoltano le promesse che ricevono. Ma il buon senso esiste anche nel nostro paese; ha parlato l’anno scorso durante gli Stati Generali di Bioetica, come aveva espresso in condizioni simili durante la precedente revisione delle leggi sulla bioetica e possiamo vederlo solo oggi come ieri, ci rifiutiamo di prestargli molta attenzione.
Permettetemi di dirlo con forza: sentiamo, capiamo la sofferenza di coloro che non possono avere figli dalla loro unione con una persona dell’altro sesso che ha deciso di amarli. Sentiamo e comprendiamo la sofferenza delle donne omosessuali che aspirano ad avere un figlio. Perché, sicuramente, avere un figlio è il modo più sicuro per essere tirato fuori da se stesso, per essere attratto dall’amore incondizionato e per sperare di essere amato in cambio. È precisamente una tragedia per la nostra società che non possiamo incoraggiare uomini e donne ad amarsi l’un l’altro decentrando ciascuno da se stesso.
Ma la bellezza dell’amore di un genitore per i suoi figli non è sufficiente per giustificare la procreazione alla manipolazione medica e la filiazione al fai-da-te che l’abilità di sofisticate disposizioni legali ha immaginato. Non intendiamo affermare che i bambini concepiti in questo modo saranno fatalmente infelici: l’essere umano ha una straordinaria capacità di aprire percorsi di felicità tanto quanto è in grado di lamentarsi. Ma diciamo che le nostre società sono collettivamente sbagliate quando affermano di risolvere la sofferenza reciproca con tecniche mediche e legali e quando trasformano la medicina fatta per guarire e curare se possibile in risposta a richieste e frustrazioni. Siamo preoccupati quando ci rendiamo conto che non siamo più in grado di far fronte ai limiti e ai dolori della condizione umana senza creare costantemente nuovi diritti alla domanda. Lascerò che i nostri relatori elaborino le nostre preoccupazioni e tristezze nel disegno di legge dinanzi al Parlamento. Il signor Vincent Neymonvi mostrerà la marcia di questa sera. Preghiamo che la ragione prevalga sul desiderio».
Il nuovo scritto di queste ultime settimane rappresenta – a detta dei vescovi – «un ulteriore sforzo per unire la riflessione in corso dei parlamentari che dovranno decidere e anche ciascuno dei nostri concittadini».
Il dono di un figlio
Quando ascolti il vescovo di Rennes, d’Ornellas, si comprende come «la parola della Chiesa è prima di tutto un sì: un sì alla bontà e alla bellezza dell’unione coniugale degli sposi, il riflesso più espressivo della relazione che Dio vuole avere con l’umanità, un sì ai bambini che vengono in questo mondo perché sono un dono, con le promesse che ognuno porta e i limiti che esprimerà, un dono per l’intera umanità; un sì alla scienza che scopre le incredibili potenzialità del nostro cosmo, del nostro corpo, della straordinaria varietà di elementi che rendono possibile la nostra esistenza a tutti e un sì alla tecnica con cui gli esseri umani usano questo cosmo, questo corpo, di questi elementi per costruire un mondo sempre più ospitale e migliore per loro e per gli altri. È questo sì risoluto che ci obbliga a mettere in guardia l’umanità dai percorsi pericolosi e insignificanti in cui si impegna».
Invitiamo i cittadini a prendere atto degli impegni reciproci secondo cui il nostro paese non accetterà mai ABM – scrive il documento –. Su una nota personale, esprimo i miei più forti dubbi. Non sospetto nessuno di coloro che sono così assertivi sulla duplicità, ma dubito della capacità del sistema politico, sociale, economico e culturale in cui viviamo di resistere all’attrazione. Le stesse ragioni che portano oggi a una forte accettazione della PMA per tutte le donne serviranno inevitabilmente all’AAP nel prossimo futuro. E come resisterà la nostra comunità perché è caduta nella trappola della risposta alla sofferenza e alla frustrazione con le tecniche mediche e legali?
Siamo certi che la PMA, di per sé, non porta all’eugenetica. Tuttavia, ci viene anche detto che la diagnosi prenatale o pre-impianto lo fa. Tuttavia, la diagnosi prenatale si sta espandendo. Gli esperimenti sugli embrioni sono controllati, ma ad ogni revisione delle leggi sulla bioetica viene ampliata una parte o poco dell’ambito, il che porterà necessariamente alla preoccupazione di fornire embrioni per la ricerca. Permettiamo il congelamento degli ovociti e poi vediamo solo che, inevitabilmente, prima di usarli, li controlleremo. Secondo quali criteri? Senza dubbio il nostro potere politico collettivo non prevede l’eugenetica statale ma prepara la strada per un’eugenetica liberale, quella dei cittadini, mi dispiace dirlo, non tutti senza dubbio, ma di alcuni uno, necessariamente, che sceglierà i gameti da cui verrà concepito il bambino per il quale avrà preso un contratto e rilasciato una dichiarazione preliminare. Stiamo anche preparando, senza guardarlo completamente in faccia, ci ha spiegato il vescovo Aupetit, sacrificare gli embrioni per poter produrre droghe che ci vengono promesse meraviglie.
Ci viene assicurato che la legge della filiazione sarà solida e chiara, e ci stiamo preparando, da un lato, a permettere ai bambini di essere concepiti con un genitore che non può essere il loro padre, mentre l’altro organizza la possibilità di quelli che vogliono incontrare questo genitore. È perché questo “genitore” è necessariamente anche il loro padre, cioè qualcuno da cui discendono, non solo biologicamente ma anche spiritualmente. Nell’umanità, l’uomo e la donna che sono la fonte di un bambino non gli forniscono semplicemente dei geni; così facendo, gli trasmettono, che gli piaccia o no, anche una storia; lo mettono in una linea di umanità. L’apertura di un mercato di ovociti prepara l’esistenza di spawner per innumerevoli discendenti. Gli specialisti della legge sulla genitorialità possono ottenere i capelli bianchi e alcuni avvocati non mancano di prepararsi a profitti interessanti.
Il peso di essere un genitore viene fatto valere sulla volontà chiara e distinta, espressa in documenti, e si diventa incapaci di gioire del corpo, dei suoi dinamismi, delle sue opacità, del suo mistero, attraverso i quali esprime in noi lo spirito.
Apparteniamo a paesi molto ricchi, ci stiamo preparando a mobilitare considerevoli risorse, mentre ci sono persone povere nel nostro paese e ci sono paesi poveri nel mondo che hanno bisogno della nostra parte di politica cooperazione più determinata».
Lunedì 16 settembre, la Conferenza episcopale francese ha pronunciato le sue posizioni sul progetto di legge sulla bioetica in un evento al Collège des Bernardins (Parigi) alle 18,30, alla presenza di Pierre d’Ornellas, arcivescovo di Rennes, capo del gruppo di lavoro sulla bioetica, Eric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims, presidente del CEF, e mons. Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi.
L’interesse del bambino e quello dei genitori
Nella stessa serata, sempre al Collège des Bernardins, si registra l’intervento di Bertrand e Gabrielle Lionel-Marie, una coppia senza figli, entrambi avvocati cattolici, che spiegano ai vescovi le loro ragioni a favore della procreazione medicalmente assistita: “Serata di bioetica ai Bernardini: intervento di Gabrielle e Bertrand Lionel-Marie e leader nazionali del settore bioetico delle associazioni familiari cattoliche” (CFA).
«Cari fratelli vescovi, cari pastori, cari fratelli e sorelle, il tema dell’assistenza medica alla procreazione e le questioni etiche che solleva, compresi i limiti necessari alle tecniche, possiamo dire che ci riguarda e ci tocca da vicino: siamo sposati da 24 anni, non abbiamo figli e non è una nostra scelta, bensì una prova e anche una sofferenza. D’altra parte, ciò che è una scelta è decidere di essere felici, anche senza figli, e di essere padre e madre in modo diverso da quello biologico.
Ci amiamo, è già molto, e siamo grati a tutti i fratelli e sorelle che Dio ha messo in cammino. Se siamo una coppia infertile dal punto di vista medico, non sentiamo di aver perso la vita e speriamo di essere socialmente fecondi. (Insomma, si può essere felici, anche senza figli, e non sono i nostri fratelli vescovi che ci contraddiranno, lo speriamo!)
Con questa dichiarazione di apertura, ci limiteremo a tre osservazioni legali necessariamente brevi nel tempo a noi assegnato.
Prima osservazione: il falso argomento sull’uguaglianza, argomento centrale di coloro che difendono l’apertura della “PMA a tutti” è quello dell’uguaglianza.
Questo argomento è infondato dalla legge per la semplice ragione che le coppie maschi e femmine si trovano, in relazione alla procreazione, in una situazione diversa da quella delle coppie dello stesso sesso, in modo che la differenza di trattamento (in relazione diretta con lo scopo della legge che lo istituisce) non è in contrasto con il principio di uguaglianza (ad esempio, CE, n. 421899, 28 settembre 2018, decisione del Consiglio costituzionale n. 2013-669 del 17 maggio 2013).
Poiché la riproduzione della specie umana è sessuata e circoscritta nel tempo, una coppia di donne non può avere figli allo stesso modo di una coppia uomo-donna che non è più in età fertile. Non c’è rottura dell’uguaglianza. Fare appello all’uguaglianza è quindi errato e persino partecipare, direi, a una forma di manipolazione dell’opinione pubblica. D’altra parte, tra un bambino che può dire “mio padre” e qualcuno che non può, ci sarebbe una rottura di uguaglianza. Infine, come possiamo seriamente sostenere e garantire legalmente che questa invocazione del principio di uguaglianza non condurrà mai, come si afferma oggi, alla legalizzazione da parte della Repubblica francese di madri surrogate su richiesta di coppie o di uomini single?
Solo una costituzionalizzazione dell’indisponibilità del corpo umano sarebbe in grado di garantirci contro tale minaccia. Ciò è necessario e legalmente possibile. Un disegno di legge costituzionale del 12 settembre 2013 è già pronto. Richiede solo coraggio politico! A breve termine, la Corte di cassazione sarà in grado di resistere alla richiesta di una trascrizione completa del certificato di nascita straniero nel registro civile francese per i bambini nati da surrogati all’estero? Il divieto francese sulla pratica delle madri surrogate sarebbe reso ancora più inefficiente.
Seconda osservazione: l’interesse superiore del bambino ci obbliga. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (del 20 novembre 1989, ratificata dalla Francia nel 1990) stabilisce nel suo articolo 3 che “in tutte le decisioni riguardanti i bambini… l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione primaria”.
Questa convenzione è stata riconosciuta come di effetto diretto dal Conseil d’Etat nel 1997 e dalla Corte di cassazione nel 2005, quindi ha un valore sopra-legislativo. In altre parole, è superiore alla legge. Questo concetto di miglior interesse del bambino, che non è ben definito dalla legge, mira a proteggere il bambino che è intrinsecamente fragile e vulnerabile, facendo prevalere il suo interesse su quello degli adulti.
L’articolo 7, paragrafo 1, del CRC stabilisce inoltre che ogni bambino ha “per quanto possibile il diritto di conoscere ed essere curato dai suoi genitori”. Pertanto, da una lettura combinata degli articoli 3 e 7§1 del CIDE risulta che è nell’interesse di un bambino conoscere i propri genitori e crescere da loro, quindi conoscere suo padre e essere cresciuto da lui.
L’apertura dell’AMP a donne single e coppie di donne e l’istituzione di una filiazione sbilenca, basata esclusivamente sulla volontà degli adulti, viola chiaramente queste disposizioni, facendo prevalere la volontà degli adulti sui migliori interessi dei bambini.
«Allo stato attuale del disegno di legge, è sorprendente notare che l’interesse del nascituro è evocato solo per quanto riguarda le uniche esigenze di età per la procreazione medica assistita [che sarà fissato con decreto del Consiglio di Stato e probabilmente sarà, come in effetti oggi, un massimo di 43 anni per la madre e di 59 anni per il padre – se esiste – come se fosse l’interesse del bambino ad avere “giovani genitori” (o piuttosto non troppo vecchi!) ma era perfettamente indifferente se avesse o meno un padre…
I bambini privati di un padre dalla legge possono, inoltre, chiedere un risarcimento per il danno subito a causa di questo fatto: tale danno morale, collegato all’assenza definitiva di un padre, essendo riparabile da un giudice (come stato processato dalla Corte di cassazione il 14 dicembre 2017).
(Infine, vale la pena notare che l’articolo 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 stabilisce che “ogni bambino ha il diritto di intrattenere relazioni personali e contatto diretto con entrambi i genitori…”).
Terza osservazione: la dignità dell’uomo maltrattato. Il principio di dignità è un principio con valore costituzionale (DC 1994-343 / 344 del 27 luglio 1994, confermato da DC 2013-674 del 1° agosto 2013) ed è la pietra angolare della legge della bioetica e, più in generale, oltre i diritti umani. Il disegno di legge così com’è non viola, per molti aspetti, questo principio di dignità.
Cosa, in effetti, sarà della dignità del bambino intenzionalmente privato del padre e amputato della sua discendenza paterna? Cosa accadrà alla dignità umana quando si ridurrà ad essere un fornitore di risorse biologiche nelle parole del CCNE nel suo parere 126 del 15 giugno 2017?
Quale sarà la dignità della donna a cui il suo capo gli ha fatto credere che la conservazione dei suoi ovociti gli garantirà di avere un figlio una volta avviata la sua carriera? Quale sarà la dignità dell’uomo quando il principio degli elementi liberi del corpo umano sarà scosso a causa della scarsità di gameti?
Cosa accadrà alla dignità umana se la legge favorisce gli eccessi eugenetici consentendo la selezione di donatori, gameti ed embrioni e se consente la creazione di embrioni transgenici e chimerici?
L’ora è quindi seria. Il modello di bioetica francese sta sprofondando, nel corpo e nell’anima. Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore. Dio ci chiederà: cosa hai fatto con tuo fratello, il più piccolo e il più fragile dei miei, il piccolo uomo? Gli risponderemo: ma Signore, avevamo altre cose da fare, e poi a che serve? O gli risponderemo: Signore, lo sai, eravamo molto poveri ma ci siamo formati e, come richiesto dal Presidente della Repubblica qui ai Bernardini, ci siamo interrogati».
Non è indifferente notare le convergenze tra vescovi e laici cattolici, una convergenza che potrebbe condurre ad una sintesi in vista delle decisioni dei legislatori…
[1] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptor hominis, n. 14.
[2] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 1.
[3] Vedi, ad esempio, il discorso di Benedetto XVI del 31 gennaio 2008.
[4] Mons. Pierre d’Ornellas e Altri, Domande per un discernimento, Lethieulleux-DDB, 2009, p. 10.
[5] Ibid, p. 11.