L’approvazione di nuove leggi estremamente ristrettive in materia di aborto negli stati della Georgia e dell’Alabama ha portato all’implosione di qualsiasi possibilità di dare forma a un dibattito politico in merito negli Stati Uniti. In un lucido editoriale, i redattori della rivista dei gesuiti America rimarcano come la matrice originaria di questo massimalismo giuridico, che impedisce un onesto confronto politico sul profilo morale dell’aborto, sia insita nella sentenza stessa che per la prima volta lo ha legalizzato negli Stati Uniti (Roe v. Wade, 1973).
Offriamo qui ai lettori una nostra traduzione italiana dell’editoriale di America. Ringraziamo la redazione della rivista per la gentile disponibilità ad acconsentire alla traduzione e pubblicazione su SettimanaNews (originale inglese/English version).
Le leggi sull’aborto recentemente approvate in Georgia e Alabama hanno portato la temperatura del dibattito nazionale in materia praticamente al punto di ebollizione. La legge della Georgia, incentrata sul rinvenimento di attività cardiaca fetale, limiterebbe l’aborto dopo la sesta settimana di gravidanza. Essa definisce, inoltre, l’essere umano nel grembo materno a ogni stadio di sviluppo come «persona naturale».
La legge dell’Alabama proibisce l’aborto in ogni fase della gravidanza. Mentre entrambe le leggi prevedono eccezioni in caso di pericolo per la vita della donna se portasse a termine la gravidanza, nessuna delle due fa delle eccezioni che permettano l’aborto in caso di stupro o incesto.
Estremismo legale
Gran parte della discussione su queste leggi le ha descritte come «estreme», dimenticando quasi completamente di indicare la causa maggiore di questo «estremismo». Molti commentatori riconoscono che queste nuove leggi sono pensate per muovere una sfida legale a Roe v. Wade. Al tempo stesso, però, non riconoscono che le brusche restrizioni che queste leggi comportano sono un’immagine speculare del rifiuto, insito nella sentenza di Roe v. Wade, di porre qualsiasi limite pratico o effettivo all’aborto.
Quando coloro che propugnano i diritti all’aborto, difendono Roe per rigettare ogni proposta restrizione all’aborto, allora assumono essi stessi una posizione estrema. I legislatori pro-life vanno incontro alla medesima opposizione armata fino ai denti sia nel caso mirino a interdire totalmente l’aborto, sia in quello recentemente visto al Senato dove si è tentato di ordinare che i neonati nati vivi durante un aborto vengano assistiti a livello medico.
Opinione pubblica: un panorama complesso e sfumato
Nel corso dei decenni, i sondaggi mostrano con regolarità che una maggioranza significativa degli americani è a favore di restrizioni più ampie, per quanto concerne l’aborto, rispetto a quelle consentite sotto la sentenza Roe v. Wade. Senza con questo intenderle in maniera così ampia come quelle imposte dalle recenti leggi.
L’opinione pubblica americana sull’aborto è conflittuale e contradditoria. Stando a un sondaggio svolto questo mese, metà degli elettori ritiene che una legge «del battito cardiaco» di sei settimane sia «appena giusta» o addirittura «troppo indulgente». Un altro sondaggio ha potuto constatare come due terzi degli statunitensi adulti si oppongono a un ribaltamento della decisione presa con Roe.
Ma sotto il regime di Roe e della sua decisione successiva (Casey v. Planned Parenthood), le limitazioni all’aborto che molti americani vogliono, pur mantenendo l’aborto legale, sono rese incostituzionali. Circa il 60% degli americani è a favore della legalità dell’aborto nei primi tre mesi di gravidanza; ma molti di meno, qualcosa al di sotto di 1/3, è a favore dell’aborto fino al sesto mese di gravidanza.
Ma lo standard del «carico indebito», contemplato dalla sentenza Casey, respinge ogni restrizione all’aborto prima della capacità di vita del feto al di fuori dell’utero materno con debita assistenza medica (ossia, intorno al sesto mese di gravidanza) – cosa che non corrisponde a quello che molti americani sceglierebbero.
Il divario fra sfera giuridica e quella delle persuasioni
Via è una grande fossato tra quello che Roe richiede e ciò che gli americani credono in materia di aborto. Ma affrontare il tema di questo divario rimane politicamente inimmaginabile per coloro che sono pro-choice, se essi allo stesso tempo presentano la possibilità di un ribaltamento della sentenza Roe v. Wade come una profonda crisi politica.
In realtà le cose vanno nel senso opposto. La continua crisi politica che viviamo è la conseguenza del fallimento duraturo di Roe e Casey nel regolare la questione dell’aborto, da un lato, e del fallimento della Corte Suprema nell’offrire un qualsiasi segno che questi casi mai lo saranno, dall’altro.
Il fallimento della Corte Suprema
Nella sua opinione per la maggioranza, sostenendo Roe all’interno della sentenza Casey v. Planned Parenthood, il giudice della Corte Suprema Sandra Day O’Connor ha affermato che «l’interpretazione della Costituzione da parte della Corte chiama le parti contendenti in una controversia a livello nazionale a porre termine alla loro divisione accentando un mandato comune radicato nella Costituzione».
Per quanto concerne l’aborto, questa chiamata è palesemente ed espressamente fallita per più di 45 anni, deformando la politica nazionale e contribuendo alla divisione all’interno del paese.
I rottami di questi casi, e la devastazione che essi hanno creato, devono essere sgomberati affinché il paese possa andare avanti.
Le leggi dell’Alabama e della Georgia sono ben lontane dall’essere perfette. Esse avrebbero dovute essere accompagnate da un altrettanto forte supporto per le donne che si trovano in una situazione conflittuale con la propria gravidanza.
Queste leggi verranno quasi sicuramente sospese per ingiunzione prima di diventare effettive; e anche se mai dovessero eventualmente giungere di fronte alla Corte Suprema è molto improbabile che esse vengano confermate in tutti i dettagli della loro attuale formulazione.
Farsi carico con onestà delle divisioni politiche
Se queste leggi venissero confermate e Roe fosse modificata in senso inverso, esse dovrebbero comunque venire cambiate per poter essere messe in vigore in maniera viabile e giusta.
A questo punto però il lavoro legislativo di dare risposta alle questioni morali inerenti l’aborto potrebbe diventare alla fin fine possibile.
Questo non farebbe certo cessare le divisioni politiche sull’aborto, ma ci permetterebbe di farcene carico con maggiore onestà.
Ringrazio vivamente per aver consentito a tutti di conoscere quanto scritto, più che opportunamente, dai gesuiti di America, sempre puntuali e soprattutto profondi conoscitori della realtà della loro Nazione americana.
Se poi si pensa che solo ieri la governatrice dell’Alabama ha promulgato la legge che obbliga la castrazione chimica con tutto quello che comporta anche in termini di danni fisici irreversibili …
Senza dubbio l’atteggiamento da talebani non ha altro risultato che creare divisioni e fomentare conflitti, senza dimenticare la contro-testimonianza evangelica che si mostra quando un simile atteggiamento viene da parte di cristiani: mi viene in mente, per tornare a casa nostra, il presepio antiabortista allestito il Natale scorso a Rovereto (Trento) con i feti di plastica davanti alla capanna, gli stessi feti diventati poi gadget ad un Convegno sulla famiglia … e che dire dell’invito a pregare il Rosario davanti all’Ospedale perché i medici e il personale ospedaliero vadano all’Inferno?
In realtà profondamente maschiliste e misogine togliere ogni eccezione in caso di stupro o, peggio, pedofilia; significa aprire una diga di violenza difficilmente arginabile in futuro anche a livello familiare: non dimentichiamo la realtà, ancora oggi, di Stati, per dire un eufemismo, non proprio attenti all’uguale dignità delle persone (il presidente Lincoln avrebbe molto da aggiungere, ma anche il contemporaneo Obama e tutti gli afroamericani che vivono, e soffrono, lì).
Anche lo spagnolo Rahoy aveva tentato di portare avanti un disegno di legge molto simile, ma a Barcellona abbiamo visto tutti com’è andata a finire la sua democrazia .. talebana.
Gentile signora,
sarebbe così gentile di spiegare a noi cattolici cosa trova di così “maschilista” e “misogino” nel considerare l’aborto (cioè la volontaria soppressione di un nascituro) un male assoluto e quindi da condannare senza se e senza ma anche “in caso di stupro o, peggio, pedofilia”?
Di fronte al più grande crimine contro l’umanità di tutti i tempi (aborto: più di 56 milioni di vittime innocenti ogni anno) cavillillare sugli aspetti negativi delle recenti leggi “estremamente restrittive” in USA mi sembra un chiaro esempio di strabismo politicamente corretto.